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martedì 3 luglio 2018

Armi leggere, crimini pesanti
di Carlo Tombola* e Francesco Vignarca*



La scorsa settimana nel Palazzo di Vetro delle Nazioni unite a New York gran parte dei partecipanti alla terza Conferenza di revisione del Programma di Azione Onu sul traffico illecito di armi leggere ha indossato qualcosa di arancione. È il modo di aderire alla campagna “Wear Orange”, perché l’arancio è il colore del movimento americano contro le armi da fuoco sin da quando venne usato dagli amici di Hadiya Pendleton, ragazzina di quindici anni uccisa a Chicago nel 2013 durante una sparatoria tra gang rivali.
I dati sulle vittime di pistole e fucili negli Usa sono davvero quelli di un bollettino di guerra: quasi 6.000 morti e 11.000 feriti nei primi cinque mesi del 2018 e un trend che cresce inesorabile. Si è passati dai 12.500 morti del 2014 ai 15.600 del 2017, con il «salto» avvenuto nel 2016: 15.100 uccisi a fronte dei 13.500 del 2015. Forse è per questo che nella prima settimana di dibattito alle Nazioni Unite uno dei momenti più significativi e di maggiore attenzione è stato la testimonianza di Mei-Ling Ho-Shing, una giovane studentessa sopravvissuta al massacro di Parkland in Florida. A guidare gli sforzi della società civile internazionale per limitare la diffusione della violenza armata c’è IANSA, movimento globale di centinaia di Ong e individui in tutti i continenti.
«Nel 2001, quando concordarono il Programma di Azione Onu sul traffico illecito di armi leggere, tutti gli Stati si dicevano gravemente preoccupati per la fabbricazione, il trasferimento e la circolazione illecita di armi leggere e di piccolo calibro e per il loro eccessivo accumulo e diffusione incontrollata. Queste parole sull’eccessiva circolazione sembrano essere scomparse dal dibattito, eppure riflettono una problematica realtà di violenza» ha sottolineato Rebecca, Peters coordinatrice IANSA.
Certamente le organizzazioni presenti (tra cui Opal Brescia a Rete Italiana Disarmo) sono ben consapevoli delle molte ed ardue difficoltà a cui deve sottostare ogni percorso di regolazione internazionale, in particolare nel settore altamente sensibile del commercio/traffico degli armamenti leggeri.
C’è intanto da adeguarsi alla cornice internazionale, entro cui si deve formare il consenso su questo tipo di programma. Di conseguenza, è abbastanza improbabile che possa entrare in questa revisione ciò che era stato escluso dal Trattato sulle armi convenzionali (ATT) del 2013, segnatamente le questioni spinose riguardanti il controllo delle munizioni e l’attività dei broker. Poi c’è il merito stesso di cui si sta discutendo, cioè il commercio illecito di armi leggere in tutti i suoi aspetti, e tutti gli elementi dell’oggetto di discussione presentano ampi margini interpretativi. Commercio è qualsiasi trasferimento. Illecito è alla lettera molto più che illegale, comprendendo anche ciò che non è espressamente proibito ma può causare gravissime violazioni dei diritti umani o delle leggi internazionali.
Quanto alla categoria delle armi leggere, è meglio descritta dall’acronimo SALW (small arms and light weapons) che include tutte le armi «portatili», al limite anche un micidiale lanciagranate anticarro Rpg o un missile terra-aria del tipo Stinger. E non si può ignorare che tra gli aspetti principali ci sia anche quello delle munizioni delle armi leggere. Ma qui non è tanto un problema di definizione bensì di quantificazione: cioè di dati insufficienti. I soli dati globali su cui oggi si può basare ogni considerazione e ogni politica contro le armi illecite sono forniti dalla Small Arms Survey che si fonda solo in parte su ufficiali. Quante sono le SALW in circolazione nel mondo? Circa 857 milioni sono nelle mani dei civili, 133 milioni delle forze armate, 23 milioni delle polizie: in totale un miliardo e 13 milioni.
Sono cifre da prendere con le molle. Solo metà dei Paesi hanno una qualche registrazione delle armi civili, per il resto ci sono solo stime (indirette). Non adottano registrazione gli Stati Uniti, il paese più armato del mondo. In Canada la registrazione è stata addirittura abolita nel 2012. Com’è abbastanza prevedibile, non si sa nulla delle armi in possesso privato in Libano, Giordania, Afghanistan, Congo Rdc, Venezuela, Yemen, se non che sono sicuramente molte. E ancora peggio è per molti Stati in cui le leggi sul possesso di armi sono ampiamente aggirate (Pakistan, Turchia, Messico, Kenya; si dice che in Cina ne circolino 50 milioni non registrate, ma con scarse prove in mano). Per l’Italia? La stima delle licenze è di oltre 1.100.000 ma come Opal ha già denunciato molte volte il dato esiste ma non viene reso pubblico dal Ministero dell’Interno per non causale, ma strumentale, disorganizzazione.

[*Direttore Scientifico di Opal Brescia
*Coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo]

Alcuni dati
Armamenti. Nel mondo sono un miliardo e 13 milioni le armi leggere, 857 milioni quelle in mano ai civili. Alla Conferenza Onu la protesta «arancione», il colore del nuovo movimento Usa contro le armi da fuoco. Negli Stati uniti 15.600 vittime nel 2017. In Italia oltre 1.100.000 licenze: il Ministero «tace»
USA: nel 2017 15.600 vittime d'armi leggere, nei primi 5 mesi del 2018 6.000 vittime e11.000 feriti. Mondo: 857 milioni armi leggere dei civili,133 milioni delle forze armate, 23 milioni delle polizie: totale 1.013.000.000. Italia: 1.100.000 porto d'armi.