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giovedì 12 luglio 2018


DEMOCRAZIA DIRETTA E CORPORATIVISMO
di Franco Astengo


 L’intervento svolto dal prof. Panebianco e pubblicato dal Corriere della Sera del 10 luglio sotto il titolo “ Il potere dello stato corporativo” va segnalato all’attenzione di chi si sta misurando con l’analisi delle trasformazioni imposte al sistema politico italiano dall’esito delle elezioni del 4 marzo scorso e dalla formazione del governo Lega- M5S. Ribadisco, per introdurre il discorso, un dato già esaminato in altra sede e relativo all’accettazione da parte delle due forze interessate delle definizioni di “populista” e “antisistema”. “Antisistema” che nella visione in particolare del M5S, può essere tradotto nel passaggio dalla democrazia rappresentativa, prevista dal nostro ordinamento costituzionale, alla democrazia diretta.
Nel suo intervento il prof. Panebianco sostiene che nelle democrazie complesse l’alternativa alla democrazia rappresentativa non è la democrazia diretta. L’alternativa (che lo stesso prof. Panebianco giudica comunque come “instabile”) è invece, a suo giudizio, lo Stato Corporativo: lo Stato cioè dominato da alcune (poche) potenti corporazioni. Si tratta, sempre secondo l’autore, di un’alternativa che cresce sulla base di una debolezza della struttura dello Stato e delle sue forme democratiche.
Un pericolo quello del progressivo indebolimento della struttura dello Stato, denunciato da tempo e snobbato non solo dai partiti ma anche dagli stessi analisti che hanno sempre considerato - ad esempio - l’abbassamento nel numero dei partecipanti al voto come un semplice segnale di riallineamento del sistema italiano a quelli delle democrazie mature (da ricordare sotto quest’aspetto giudizi espressi dal prof. D’Alimonte, poi padre ispiratore dell’incostituzionale “Italikum”).
Un sistema indebolitosi progressivamente perché imperniato per decenni sulla considerazione della governabilità quale fattore esaustivo dell’agire politico. In questo modo si è così generata la reazione opposta: quella della cosiddetta “democrazia diretta” (alimentata anche dall’illusione del web) fino a sfociare, appunto, nel corporativismo. Uno Stato debole che, alla fine, resosi incapace di programmare e gestire i grandi settori dell’economia e della produzione si riduce a cercare di soddisfare gli appetiti di determinate categorie sociali al riguardo delle quali agitare l’idea del consenso esercitata come “scambio politico”.
Siamo di fronte dunque alla possibilità concreta d’involuzione del sistema in un quadro che prevede da un lato, come si è già più volte cercato di ricordare, l’espressione di un “imperium” personalistico quale punto di riferimento dell’azione politica e la risposta di tipo corporativo ai bisogni espressi da segmenti della società complessa. Bisogni sempre più spesso derivanti da “paure collettive” piuttosto che da esigenze reali. Così si formano i fenomeni più pericolosi di involuzione nel rapporto tra società e politica che assumono la forma delle cosiddette “democrazie illiberali”.
Nel frattempo appaiono, all’interno di questo quadro, del tutto saltate le intermediazioni possibili esprimibili ai diversi livelli in un quadro di democrazia rappresentativa.


È il caso allora di soffermarci su tre questioni:
a) Il corporativismo, in tempi moderni, si configura come l’elemento di raccordo tra l’unità di un potere politico-statale considerato trascendente (quindi incentrato su di un “dominus” individuale o collettivo che sia) e il riconoscimento in esso, in forma totalitaria, dei corpi organizzati attorno ad interessi, non soltanto riducibili alla sfera prettamente economica o sociale. In questo senso la pluralità delle corporazioni sostituisce la pluralità delle espressioni politiche;
b) Si presenta, in questo senso, la possibilità di una vera e propria “torsione” nei meccanismi di raccolta del consenso e di aggregazione sociale (e di conseguenza della stessa possibilità di espressione di voto). Una torsione realizzata proprio sulla base della costruzione di soggetti rappresentativi delle diverse corporazioni praticando l’obiettivo del” riconoscimento unico” nel potere dello Stato inteso come demiurgo (si ricorda: “stato trascendente”, incarnato da un “dominus” partito e/o persona che sia). Uno “stato trascendente” basato sull’etica della superiorità di gruppo (in questo caso razziale) e sulla capacità di elargizione diretta di incentivi di massa (verrebbero in mente i “premi di natalità” del fascismo, ma anche gli 80 euro del PD come omologhi del reddito di cittadinanza così come questo era stato promesso in origine).
c) Tutto questo dovrebbe avere riflessi anche sul piano della forma istituzionale. Sotto quest’aspetto dal punto di vista storico andrebbe analizzata con attenzione la fase preparatoria del plebiscito fascista del 1929. Quel plebiscito che si svolse quando era ancora recente una pur labile parvenza di pluralismo politico emerso dalle elezioni del 1924 (legge Acerbo). Andrebbe verificato come il lascito di quella parvenza di pluralismo politico fosse stata incorporata dal Regime anche dal punto di vista della formazione della “lista unica” sottoposta,  appunto, a Plebiscito (non tutto, infatti, era stato risolto dalle leggi “fascistissime”).
 In conclusione: l’elemento di analisi sul quale concentrare la nostra attenzione rimane quello della possibilità di saldatura tra M5S e Lega in una sorta di “coalizione dominante” (terreno sul quale sta cercando di muoversi il segretario della Lega, almeno a livello mediatico e prendendo spunto dalla vicenda "migranti" assunta a contraddizione di fase).
 Se questa prospettiva dovesse essere giudicata come potenzialmente praticabile nella formazione di un vero e proprio “blocco” allora una seria valutazione circa la trasformazione in senso autoritario-corporativo del sistema dovrà pur essere compiuta anche perché la “coalizione dominante” potrebbe essere tentata di trasformare la prossima occasione elettorale proprio in un “plebiscito” (toccherà alle Europee 2019 e in quell’occasione ci sarà anche l’aggancio sovranazionale ai “sovranisti”). Da ricordare, sempre per cercare le origini di questo stato di cose, come l’idea plebiscitaria abbia già percorso la più recente vicenda del sistema politico italiano con il referendum del 2016. Come andò a finire lo ricordano tutti. I risultati elettorali più recenti riguardanti le elezioni amministrative indicherebbero l’ipotesi della saldatura della “coalizione dominante” come molto problematica. In ogni caso l’analisi riguardante questa eventualità di formazione del “blocco” (innervato dalle corporazioni e avendo alla testa il riferimento filosofico dello stato “trascendente”) deve stare al centro della riflessione che la sinistra ha l’obbligo di sviluppare per costruire la propria soggettività e tornare a esprimere opposizione e alternativa.
È sicuro che il tempo dell’alternanza sulla base del “bipolarismo temperato”, del centrosinistra come del centrodestra si è concluso.