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martedì 17 luglio 2018


IL PATTO, LA CURA

L'ex Ospedale Psichiatrico di Quarto

Sappiamo che le recenti affermazioni del ministro Matteo Salvini sui malati psichiatrici e sulle strutture manicomiali hanno scatenato molte polemiche e la dura reazione degli psichiatri, che si è espressa anche (e non solo) sulla propria pagina facebook della Società italiana di psichiatria.
Questo articolo de Il Sole24ore on line ricostruisce alcuni dettagli relativi alla questione: http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/notizie/2018-07-10/salvini-contro--malati-psichiatrici-dura-reazione-psichiatri--121725.shtml?uuid=AEDB8gJF
Su Odissea mi sono spesso trovata a parlare della realtà di Quarto-Genova, ex ospedale psichiatrico dove ha sede anche il Museo Attivo Claudio Costa. Abbiamo parlato dell’I.M.F.I., Istituto Materie e Forme Inconsapevoli che porta avanti da anni il lavoro di Claudio Costa e del dottor Antonio Slavich con laboratori di arte, danza, teatro, ceramica, cinema e molto altro (http://www.imfi-ge.org/).
Quest’anno, in cui ricorrono i quarant’anni della Legge 180 (Legge Basaglia), a Quarto nel mese di maggio si è tenuta una settimana di convegni, presentazioni di libri, mostre, dibattiti, in collaborazione con ASL 3 di Genova. Una serie di eventi, che ha avuto una partecipazione straordinaria di pubblico, che ha dimostrato una volta di più quanto sia viva e forte l’attenzione delle persone nei confronti della sofferenza mentale e fisica e quanto la realtà di Quarto, che ha affrontato e superato tante battaglie arrivando a grandi traguardi, stia a cuore ai genovesi e non solo. Ho chiesto dunque un parere agli amici che operano nella struttura di Quarto, per la stima e l’amicizia che ci lega e per la loro esperienza di chi vive da anni a stretto contatto con la sofferenza e la malattia psichica, sulle ultime affermazioni di politici che sono andati, anche se (sembra) solo per lo spazio di un raduno e di qualche veloce intervista, a toccare un tema tanto delicato e importante. Amedeo Gagliardi, portavoce coordinamento per Quarto, impegnato in attività socioculturali per le Associazioni “Oltre il giardino” e “Quarto Pianeta” di Genova, mi ha gentilmente inviato l’articolo che pubblichiamo, già uscito su La Città (Direttore Responsabile Giuliano Galletta, Direttore Luca Borzani), mensile che tra i tanti scopi ha quello di raccontare la Genova reale: http://www.la-citta-online.it/.
Questo testo mi sembra il modo migliore per non entrare nella polemica innescata dal ministro e invece per illustrare idee, prospettive e ciò che di concreto quotidianamente viene fatto per «costruire benessere bio-psico-sociale» (dall’articolo qui sotto riportato). Ringrazio Amedeo Gagliardi per la sua testimonianza e dedico la mia scelta di ripubblicare qui il suo articolo a Gian Franco Vendemiati, Presidente dell’Istituto Materie e Forme Inconsapevoli di Quarto, scomparso a maggio di quest’anno dopo una vita dedicata alla solidarietà, alla coesione, alla partecipazione e all’impegno, e che per Quarto non ha mai risparmiato energie, lotte, passione.
Chiara Pasetti

Una città per la Salute Mentale
di Amedeo Gagliardi

Uno degli spazi nuovi del Centro Sociale di Quarto

Non si sono levate voci istituzionali contro la legge 180 del 1978, che abolì i manicomi e riconobbe i diritti di cittadinanza a circa 100.000 persone condannate alla morte in vita per “malattia”. Anzi. A differenza della 194, la legge sull’interruzione di gravidanza, c’è stato un sostanziale riconoscimento del profondo mutamento di rotta nell’affrontare la salute mentale. Eppure in questi quarant’anni tante cose non sono andate nel senso giusto. E non per colpa della legge Basaglia. Quanto piuttosto per la difficoltà, almeno in Liguria, di corrispondere a quella riorganizzazione dei servizi che il nuovo impianto legislativo imponeva, e per la progressiva ma sostanziale marginalizzazione del disagio psichiatrico, sia in ambito istituzionale che sociale. In questo le celebrazioni per l’anniversario della 180 sono riuscite almeno a incrinare un pesante silenzio e forse a mettere in moto un progetto possibile per il presente.
Il “Patto” per la salute mentale, ”La città che cura”, sottoscritto da Regione, Comune, ASL3, Associazioni dei familiari e degli utenti, Ordini Professionali, Sindacati e alcune associazioni dei datori di lavoro può infatti diventare lo strumento per ridisegnare azioni, culture, interventi.
Di certo ha caratteri largamente inediti anche a livello nazionale. Alle spalle un percorso avviato un anno prima, dalle Associazioni dei familiari e degli utenti, da ASL3 con il Dipartimento di Salute Mentale e dal Coordinamento per Quarto. Una partenza dal basso che si collega a un conflitto che ha in qualche misura reso evidente lo scivolamento verso forme di imbarbarimento civile: nel 2012, la gara al massimo ribasso per i pazienti ancora presenti nell’ex Ospedale di Quarto, quattro lotti da 20 persone, per sgombrare gli edifici “cartolarizzati” da avviare a privatizzazione. Una vicenda imbarazzante, sintomo di una rottura più grave, quella del dialogo tra le Istituzioni e tra le Istituzioni ed i suoi cittadini. Con il “patto” si sono in qualche misura rovesciate quelle pessime pratiche e le proposte della cittadinanza attiva diventano il motore per innovare i comportamenti istituzionali.
Manca ancora una piena consapevolezza di come la tutela e la promozione della salute mentale sia diventata una cosa ben più complessa di quarant’anni fa. L’esclusione e lo stigma non sono fenomeni che interessano segmenti marginali della popolazione, ma coinvolgono trasversalmente l’intera società. Le forme della sofferenza psichica sono oggi molteplici e se, grazie alla legge 180, molteplici sono anche i luoghi dove si accolgono le persone resta comunque difficile l’accesso ai servizi, perché vergogna, ignoranza e povertà sono ostacoli mai facili da superare. Perché spesso è difficile anche chiedere aiuto. Così come è facile perdersi nella palude amministrativa e burocratica. Per questo costruire benessere bio-psico-sociale richiede un continuo lavoro d’integrazione. Continua produzione di nuova cultura.
Le ragioni per farlo ci sono tutte: al Dipartimento di Salute Mentale di ASL3 afferiscono 12.000 persone ed altre 6000 sono in cura presso il Dipartimento per le Dipendenze. A questo consistente ma per lo più invisibile numero di persone dobbiamo aggiungere i famigliari e tutte le persone vicine a vario titolo, lavoro, studio o amicizia, alla sofferenza psichica e anch’esse direttamente coinvolte.
Il direttore dell’Area Dipendenze di Milano, Riccardo Gatti, in un’intervista rilasciata a “la Repubblica” ha infatti affermato: “Siamo alla vigilia di una grande epidemia”. Come dargli torto?  Se osserviamo i dati della disoccupazione giovanile, al fatto che nella nostra Regione sono circa 40.000 i giovani chiamati Neet, che non studiano e non lavorano, al fatto che il lavoro continuerà ad essere sempre più precario e di difficile accesso, alla diffusione del consumo di sostanze psicoattive legali e non, ci rendiamo conto di come sia necessario mettere in campo e una rinnovata capacità di prendersi cura delle persone.
Uno sguardo che si ritrova nel “Patto”’ a partire dall’ intento di costruire coesione e condivisione di questo mutamento. In primo luogo tra i soggetti, istituzionali e non per poi allargarla alla città. Così come è successo nell’esperienza del Coordinamento di Quarto. In questi anni il Coordinamento, un gruppo di cittadini, operatori, Associazioni e utenti, si è impegnato nel difendere le persone e ridare una “speranza di vita” all’ex Ospedale Psichiatrico. Una speranza che ruota attorno alla suo essere spazio pubblico aperto e che non può non contemplare una nuova riflessione sulla salute mentale. Il “Patto” è anche questo: comprendere la nuova dimensione della psichiatria e della sofferenza psichica.
Per queste ragioni il Convegno “La città che cura”, che ha inaugurato la settimana della 180, con un riconoscimento importante dell’azione civile del Coordinamento, in quelle che un tempo erano le cucine del Manicomio, oggi recuperate a funzione di “cucina” sociale e culturale. 
Armando Misuri, che a Quarto è stato costretto per otto anni, poeta e membro del Coordinamento, scomparso qualche mese fa, affermava: “Quando le cose si dimenticano riaccadono”. Ed è davvero importante non dimenticarsi del manicomio. Non solo della sua storia ma anche del suo essere socialmente riconosciuto e legittimato, funzione significativa di questa città per oltre 100 anni. Non a caso sempre Armando ricordava: “Questo non è stato un luogo tenuto nascosto al consenso pubblico come i lager nazisti”. Ma lager era. 
Ecco “il Patto” nasce per provare a ricostruire una sensibilità collettiva verso la salute mentale. E per superare il passato bisogna reinterpretare anche l’ex-manicomio, perché il senso del cambiamento passa attraverso la sua trasformazione e la riqualificazione di funzioni.
Vogliamo attualizzare la 180, ritornando a rimettere al centro la persona. Non scordare che la malattia e la sofferenza si misurano con una società completamente diversa. E come allora anche oggi è innanzitutto dall’azione culturale che prende forma il riconoscimento della persona e dei suoi diritti, delle “diversità”. Ed è l’incontro con l’alterità che produce un discorso culturale nuovo, che restituisce ad ognuno la responsabilità della propria libertà.
Nel Patto ritroviamo l’impegno delle diverse istituzioni ad attivare strumenti nuovi: l’Osservatorio regionale sulla salute mentale, la Consulta permanente per la Salute Mentale in ambito ASL3, l’apertura presso i servizi di Circoli Territoriali aperti ai componenti del Patto, un programma di formazione che cerchi di superare le barriere specialistiche.
L’obiettivo è produrre cambiamento. Vale per la residenzialità, oggi forse troppo sbilanciata a favore di quella ad alta intensità assistenziale. Come per il sostegno allo sviluppo della vita indipendente e il più possibile autonoma, per la promozione e il consolidamento dell’inserimento lavorativo e delle attività per il tempo libero e lo sport. Per il miglioramento dell’accesso alle cure e alla qualità dei servizi attraverso la continuità e l’integrazione.
Come quarant’anni fa, il percorso formalmente condiviso sarà tutt’altro che agevole e lineare. Già il praticare ascolto, mettere impegno e intelligenza, concretizzare una strategia politica comporterà la dura prova del conflitto e della crisi. Per di più i valori espressi non sono in sintonia con i processi di frammentazione sociale, nichilismo, accettazione dell’esclusione che segnano i nostri tempi. Si vive soprattutto seguendo le sole aspirazioni individuali, cercando di evitare tutto ciò che potrebbe perturbarle. Si tende a negare il conflitto e a trattarlo attraverso procedure burocratiche, facendo emergere incapacità di relazione, di comprensione, di auto-referenzialità: questo rende le persone sempre più insicure e impegnate nel costruire e mettere in campo strumenti di difesa. Il manicomio sembra pronto a tornare o forse è già nuovamente presente tra noi sotto altre forme.
Gregory Bateson afferma che “quando il benessere e il disagio dell’individuo diventano gli unici criteri di scelta del cambiamento sociale, si dimentica la fondamentale differenza di tipo logico tra elemento e categoria”. L’ossessione nel voler eliminare ogni possibile paura individuale rischia di cancellare il desiderare e costruire insieme un ambiente sociale più sicuro. Questa confusione, afferma sempre Bateson, può generare pericolosi sviluppi, minando la democrazia e trasformarsi in brevissimo tempo in uno scenario autoritario.
Insomma il “Patto” nasce con grandi ambizioni. Praticare una “medicina della condivisione”, migliorare le singole condizioni di vita delle persone, far emergere quella coscienza critica ottenebrata dall’omologazione a logiche di mercato e di consumo. Ed è la dimostrazione che movimenti civili dal basso possono ancora produrre non solo ripercussioni significative nella vita istituzionale ma anche, appunto, innovazione sociale e culturale. Per questo il “Patto” è un possibile modello di comportamento sociale positivo davanti allo svuotamento della politica e del suo rapporto con il territorio. Rimanda a una idea di democrazia sostanziale che sembra aver perso di attualità. In realtà può non essere così. E che siano i 40 anni della legge Basaglia a riaprire i giochi vuol dire che questa città conserva ancora tante energie e competenze civili che vogliono solo rientrare in campo.