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venerdì 13 luglio 2018

LA GIUNGLA URBANA
di Franco Manzoni

Franco Manzoni

Il racconto del poeta Franco Manzoni, amico fraterno e collaboratore, è impietoso e inquietante. Purtroppo Milano degenera a vista d’occhio nell’indifferenza generale. Più volte sulle pagine di questo giornale abbiamo suggerito che una parte delle nostre Forze Armate andrebbero spostate dal Ministero della difesa (completamente inutili), a quello del Controllo Urbano. Un’altra parte alle dipendenze del settore ambiente dei Carabinieri per contrastare avvelenamenti dei corsi d’acqua, interramenti di rifiuti tossici, discariche abusive, abusi edilizi, ecc. Un’altra alle dipendenze della Guardia di Finanza per la lotta all’evasione fiscale. Un’altra ancora per cancellare mafia, camorra, ’ndrangheta e la loro economia criminale. Invece nulla. Il vigile di quartiere è un fantasma di giorno, mentre dal calar della sera in poi vagano i mostri. In compenso spendiamo 70 milioni di euro al giorno per la difesa: difesa da chi? Forse il “Corriere della Sera” su cui Franco collabora da tempo, potrebbe fare questa domanda al presidente del Consiglio e ai ministri in carica. [A.G.]

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Ancora troppo silenzio di fronte a minacce, stalking, molestie sessuali, violenze psicologiche e non, aggressioni. A Milano come a Roma e nel resto d’Italia, si ha paura di denunciare chi infrange le regole del vivere civile, spesso temendo ritorsioni, quasi sempre perché la magistratura non interviene e lascia in libertà persone con numerosi precedenti soggetti a raptus criminali e con evidenti problemi psichici. Certo, si dirà, arriviamo sempre in ritardo rispetto agli Usa, dove circola la battuta: la differenza fra Los Angeles, più buzzurra, e New York, più raffinata, è che se c’è un morto riverso sul marciapiede, a Los Angeles i passanti lo calpestano e gli camminano sopra, mentre a Times Square lo scansano elegantemente. Così ogni giorno di più i cittadini italiani cadono in uno stato di rassegnazione e omertà, convinti che non esista la concreta possibilità di contrastare la legge del più forte e la prepotenza. Aggressioni ai controllori sui treni e sui metrò, coltelli che escono dalle tasche per scippi o difesa del luogo di spaccio, branchi di giovanissimi pronti a sfasciare tutto, discoteche come ring,  aree verdi devastate, rifiuti gettati a caso senza un limite. Le nostre non sono più città per i vecchi, i bambini, l’arte, la musica, la poesia. Non sono più città, punto. Ma un semplice aggregato di case dormitorio, di uffici, di orologi che ticchettano troppo in fretta, il più rapidamente possibile, per coloro che rischiano di perdere le coincidenze con i mezzi di trasporto e far tardi al lavoro. Per il resto, basta guardarsi attorno in strada ai semafori o nelle carrozze del metrò: non c’è una sola, dico una sola persona, che non tenga lo sguardo incollato al suo smartphone, fregandosene bellamente del mondo intorno. Troppi i casi di aggressioni e minacce per accettarli e derubricarli quale normalità quotidiana. E ciò succede nelle metropoli come nei paesini. Ovunque. Parecchi i luoghi sensibili, poche invece le forze a disposizione per il giusto controllo del territorio. Finirà che anche in Italia, schiava di Trump e della Nato, si ricorra a leggi sulla legittima difesa, promuovendo come conseguenza la vendita indiscriminata di armi con la scusa di doversi difendere di persona? D’altronde il nostro Paese non è certo fra gli ultimi nella produzione, ma anche nell’acquisto di armi, carri armati e aerei da combattimento. Anzi, è fra i primi ad inviare soldati laddove necessitano (?) per tutelare la pace nel mondo. Ma ormai l’emergenza è in casa nostra. Perché non utilizzare militari nelle aree più difficili al posto di inviarli ai quattro angoli del mondo per interessi politici? A tutto ciò occorre reagire con decisione. Sarebbe necessario poco per recuperare il senso civico comune e sconfiggere almeno l’impassibilità frigida dell’indifferenza. Èsuccesso anche a chi scrive di aver affrontato improvvisamente ripetute minacce e tentata aggressione da parte di un italico energumeno senza fissa dimora, forse affetto da problemi psichiatrici. Chissà cosa possa aver fatto scattare in lui la voglia di aggredirmi. Mentre a mezzogiorno mi trovavo in una zona centrale di Milano, in fondo di via della Moscova, eccolo arrivare con gli occhi sbarrati gridando: “T’ammazzo, ti faccio a pezzi”. E le mani protese verso il mio collo con la chiara intenzione di strangolarmi. In attesa alle fermate dei tram vi erano una quindicina di persone. Qualcuno avrebbe potuto telefonare al pronto intervento. Non sono necessari gesti eroici. Ma guardavano altrove, pur sentendo le mie richieste d’aiuto.  È l’indifferenza, la gelida apatia della gente ciò che impressiona di più. Con il cellulare sono comunque riuscito a contattare il 113. Una voce amica mi ha risposto! Quella di un poliziotto. Da quel momento è stato lui a guidarmi. Sono arrivate subito le volanti e sei agenti lo hanno bloccato. Avevo oppressione al petto, sudavo freddo, mi hanno detto che ero bianco come un cencio per lo spavento. I volontari della Croce Rossa mi hanno portato all’ospedale Niguarda, dove sono stato trattenuto a lungo per controlli degli enzimi cardiaci effettuati con premurosa solerzia dall’equipe del pronto soccorso. Tutto è bene ciò che finisce bene. Per fortuna il mio cuore ha retto. Per questo domani inoltrerò denuncia contro il senzatetto. Non per me o la mia tutela, ma per gli altri. Non dovrebbe mai più succedere che un cittadino possa divenire vittima di minacce, vessazioni o assalti aggressivi da parte di questo clochard. Per ora la nostra unica difesa è il cellulare sempre sintonizzato sul 113 a qualsiasi ora. C’è un’App precauzionale da scaricare così che risulta sufficiente schiacciare un solo tasto per attivare una richiesta di soccorso. Meglio anche interventi nulli, ma preventivi, piuttosto che chiamare a situazione ormai degenerata.