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sabato 28 luglio 2018

La tregua che stava stretta a Israele
di Patrizia Cecconi

Nuovo sangue nella Striscia di Gaza e pessime previsioni per l’immediato perché la tregua tra Gaza e Israele ottenuta con la mediazione dell’Egitto non poteva reggere e non ha retto. Forse stare sul luogo, un luogo assediato e non aperto a tutti, ricordiamolo, rende chiaro ciò che fuori, vuoi per difficoltà oggettive, vuoi per fonti di parte, non si percepisce.
Da dentro la Striscia si sapeva che la tregua non poteva durare, perché allo scalpitare di Lieberman, falco del governo israeliano, lasciato in  primo piano da Netanyahu nell’esternazione delle sue pulsioni viscerali contro Gaza, facevano concreto riscontro le azioni dell’IDF che i media nostrani non riportavano perché, in fondo, erano notizie di routine. Il ferimento, l’arresto o l’omicidio di un palestinese non fanno più notizia di quanta ne faccia un incidente qualunque in autostrada. Quindi, il fatto che lo stesso giorno del cessate il fuoco l’IDF bombardasse Zeitun, periferia di Gaza City, e che nei giorni seguenti seguitassero le azioni ostili da parte di Israele senza che da Gaza partisse la risposta lasciava sia i gazawi che gli osservatori interni in stato di attesa: o Israele fermava le sue ostilità, oggettivamente provocatrici di risposta da parte di Hamas o della Jihad, o questa risposta sarebbe arrivata. E la risposta è arrivata ieri sera, dopo che Israele ha colpito sette centri della resistenza gazawa ed ha lanciato missili su gruppi di civili in vari punti della Striscia, sia al nord, colpendo Jabalia, sia al centro, colpendo Shujaya e Al Bureji e uccidendo tre persone, forse militanti della Jihad, e ferendo numerosi civili. I tre palestinesi uccisi sono Ahmad Suleiman Al Bassus, Asad Khader Farwana e Mohammed Tawfiq Al Areer, tutti giovani sotto i trent’anni.  Israele ha motivato questi attacchi come rappresaglia per il ferimento mortale di un suo soldato da parte dei soldati di Hamas ed Hamas a sua volta aveva motivato l’azione contro il soldato israeliano come risposta alla precedente uccisione di un suo ufficiale. In una spirale senza fine di azioni e reazioni di cui si perde il conto, la situazione si trascina in attesa del peggio, visto che “il meglio” sarebbe il rispetto della legalità internazionale che però Israele non accetta. Non è una posizione di parte, ma un dato di fatto documentato e documentabile. Come nella favola del lupo e dell’agnello, nella Striscia di Gaza ci sono due figure: una è rappresentata da un popolo di 2 milioni di persone assediate che chiedono libertà e rispetto delle Risoluzioni Onu, e l’altra è rappresentata dall’assediante che urla al mondo il suo diritto alla sicurezza minacciata dall’assediato, nonostante la posizione dell’uno rispetto all’altro in questo preciso momento sia evidentemente il contrario. Come nella favola di Esopo il lupo, dato un codice formale da rispettare per mangiarsi l’agnello senza subire condanne, accusa l’agnello di intorbidargli l’acqua.  Non ha bisogno di dimostrarlo, gli basta dichiararlo, e forte della sua dichiarazione si tuffa sul povero agnello che provava a usare la dimostrazione logica per rigettare l’accusa.
Così, spostando i termini della favola a Gaza, ma in realtà l’esempio varrebbe per tutta la Palestina, ogni azione e perfino non-azione palestinese viene considerata come un intorbidare l’acqua dell’assediante e si aspetta solo la risposta che potrà servire a giustificare quest’ultimo nel momento in cui metterà in pratica quanto già promesso di fare.
L’occasione è arrivata con la solita risposta gazawa: il lancio di alcuni missili contro Israele da parte della Jihad islamica, missili che hanno scatenato, ovviamente, la paura dei civili israeliani e la soddisfazione dei loro leader politici che avevano fatto di tutto per ottenere quella reazione.
I media occidentali, così discreti o totalmente silenti circa le azioni contro Gaza di questi giorni “di tregua”, ora finalmente si scateneranno in un profluvio di parole definite pomposamente analisi per dire che la vacillante tregua s’è rotta a causa di Hamas, termine che va oltre il nome del movimento politico che governa la Striscia di Gaza e che è usato per evocare l’idea di terrorismo senza confini dal quale difendersi. Intanto le forze della resistenza palestinese hanno preso la parola ed hanno cambiato posizione, cambiamento  di cui i media mainstream probabilmente non terranno conto dimenticando la prima fase: sono passati dalla denuncia delle azioni ostili di Israele, che riscuoteva la totale disattenzione del mondo, alla promessa  di risposte violente, e i razzi ne hanno dato dimostrazione. Questa seconda fase invece, al contrario della prima, riscuote l’attenzione del mondo, ma viene letta attraverso la lente israeliana, quella che permetteva al lupo di mangiarsi pacificamente l’agnello dopo aver dichiarato che gli intorbidava l’acqua.
Il governo di Hamas ha dichiarato che i suoi militari verranno dislocati in forza in tutta la Striscia a difesa della popolazione e che risponderanno alla violenza israeliana con altrettanta violenza. La dichiarazione di Hamas non è diversa da quella data dalle ali militari della resistenza armata rappresentate dalle Brigate Al Quds e al Qassam, ma nella logica ormai conosciuta e ricorrente verranno prese non come reazione, ma come ostilità primarie alle quali Israele ha il diritto di rispondere. La stessa dichiarazione del portavoce dell’esercito israeliano di aver attaccato sette posizioni militari gazawe lungo il confine di Gaza verranno considerate normali o dimenticate, così come verrà dimenticato tutto il pregresso e si partirà dal soldato israeliano ucciso o dal missile lanciato. Liebermann e compagnia avranno ottenuto anche questa volta il loro obiettivo, il lupo pasteggerà senza fastidiosi intrusi mandati dall’ONU e su tutto si aprirà il nuovo sipario con la scritta “Hamas ha rotto la tregua”.