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giovedì 26 luglio 2018

Taccuino
CASA ATELLANI E LA VIGNA DI LEONARDO
di Angelo Gaccione

Piero Portaluppi, disegno per la facciata
di Casa Atellani

Questa mattina, 24 luglio, ho passato alcune ore in modo piacevole e sereno circonfuso da ciò che ai miei occhi rappresenta, assieme alla gioia per una buona conversazione, il godimento più grande per lo spirito umano: arte e natura. Sono andato a visitare, in Corso Magenta, la vigna di Leonardo nella Casa degli Atellani. E siccome “Ogni nostra cognizione principia da’ sentimenti”, come ben dice Leonardo, voglio scriverne subito, dato che in me cognizione e sentimenti sono rimasti vivissimi. Sul cognome dei proprietari (cortigiani fedelissimi del signore di Milano Lodovico Maria Sforza, il Moro, come è universalmente conosciuto, e ai quali fa dono di ben tre case proprio davanti alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, due nel settembre del 1490 e una terza più tardi) la confusione documentale sfiora il comico. Marin Sanudo nelle sue cronache scrive indifferentemente Da la Tela, Di la Tela, Da la Tella, Àtellano. Il novelliere Matteo Bandello, che pure era in intimità con la famiglia, scrive Attellano; Francesco Grossino, invece, Dilla Tella e Dalla Tella, ma altrove troviamo anche Dell’Atella. Comunque sia, quella che, con alterne fortunose e infauste vicissitudini, (persino le bombe del 1943), è giunta fino a noi, porta il nome di Casa Atellani, e come tale è nota ai milanesi. Chi vuole conoscerne in dettaglio storia e passaggi di mano, può leggersi in un paio d’ore le novanta pagine di Jacopo Ghilardotti: La casa degli Atellani e la vigna di Leonardo.
Il recupero e la sistemazione, come oggi li vediamo, con la fusione delle due corti (la casa nova e la casa antiqua) e un solo numero civico, si devono all’architetto Piero Portaluppi. Incaricato dal nuovo proprietario, l’industriale e senatore del regno Ettore Conti, che nel 1919 le aveva comprate per farne un luogo più adatto alle proprie esigenze, e soprattutto ingolosito da quello che era stato lo splendido giardino di una villa di delizie, e che il tempo e la guerra avevano ridotto ad una “topaia”, come si esprime la moglie del senatore, il cui ritratto sopra quello del marito, fa ora bella mostra nella Sala Studio di cui devo almeno segnalarvi una tela fiammingheggiante che riproduce una gigantesca Torre di Babele con la narrazione minuziosa della stoltezza degli uomini: forse anche in polemica con la Chiesa di Roma alle prese con il gigantismo poco evangelico dell’edificazione della basilica di San Pietro; e il rivestimento in legno delle pareti affollate di cariatidi, anch’esse lignee, dalle fogge e dalle dimensioni più diverse. Ettore Conti e la moglie Gianna riposano ora nei bianchi cenotafi marmorei realizzati da Wildt, in una cappella di Santa Maria delle Grazie, la chiesa di fronte alla loro bella casa, e non senza ragione: è stato lui il benefattore, come una iscrizione ci ricorda, a finanziare il restauro della creatura di Guiniforte Solari e del Bramante, eseguito proprio da Piero Portaluppi, l’ordinatore della sua magione, quello che Ghilardotti definisce con molta pertinenza “il braccio architettonico di Ettore Conti”. Se vi capita di andare a vedere il Cenacolo, non trascurate di entrare anche in chiesa e di sostare davanti alla sua cappella. È grazie a lui se oggi possiamo godere delle meraviglie di Casa Atellani e della vigna di Lionardo, come lo chiama il Vasari. Il suo gusto è stato troppo raffinato e troppo visionario il suo spirito, perciò siate indulgenti, sono sicuro che il fascismo non sia riuscito a guastargli l’anima.

Casa Atellani

Casa Atellani è oggi una Casa-Museo privata tuttora abitata. Ciò che è visitabile sono solo le sale del pianterreno e i due cortili di accesso sistemati dal Portaluppi, dove convivono armoniosamente colonne, portico, affreschi, in un dialogo fatto di antico e di “intrusioni” novecentesche che sono la cifra dell’ecclettismo del suo ordinatore. In nessun ambiente queste provocano fastidio: la Sala dello Zodiaco e il Soffitto dei Pianeti è affascinante quanto la Sala con i ritratti della scuola luinesca, con quel soffitto affrescato da un tripudio fantasioso di ricami floreali dentro le vele e le lunette. E non disturba quella scala novecentesca nella Sala dello scalone, nella cui balaustra Portaluppi ha incastonato gli stemmi delle quattro famiglie che nel tempo hanno posseduto la casa. È una scala che non conduce ad alcun piano nobile, perché le bombe della guerra hanno fatto al meglio il loro compito demolitore. La disposizione degli arredi voluta dall’architetto, ne fanno però un ambiente vivo, impreziosito anche da pezzi di pregio, come la Crocifissione quattrocentesca sulla parete di sinistra, la tela, anch’essa di argomento sacro, su quella di destra, o la mappa settecentesca di Milano lungo la scalinata, con il tracciato delle mura interne medievali e di quelle spagnole più esterne. Il piano terra immette in quello che resta l’ambiente più suggestivo: il giardino. Lo è stato nel Cinquecento, come sappiamo dalle novelle di Bandello, e lo è stato in epoca contemporanea, come sappiamo da Ettore Conti che ne andava fiero, e che a Portaluppi aveva affidato il compito di riportarlo al suo antico splendore.


I cortili interni

L’affaccio dalla balconata permette di cogliere il viale prospettico fino a dove, pochi anni fa, è stata reimpiantata, con gli stessi vitigni di allora, la vigna di Leonardo. Analisi sul materiale organico e sul profilo genetico, hanno permesso di arrivare a questo miracolo. Leonardo aveva avuto in dono questo pezzo di terreno, di cui egli stesso ha lasciato notizie precise, da Lodovico il Moro. Dobbiamo a Luca Beltrami, grande studioso di Leonardo, l’individuazione esatta dell’ubicazione della vigna e la decisione di incorporare “nell’attiguo giardino della casa Della Tela, che il senatore Ettore Conti sta riadattando come abitazione personale”. I milanesi forse non sanno che devono alla caparbia e indefessa volontà di Luca Beltrami e alla sua decisa opposizione a quanti avrebbero voluto demolirlo, anche l’esistenza del Castello Sforzesco e del suo splendido parco nel cuore della città. Gli speculatori erano pronti per farne un prelibato boccone in favore della nuova borghesia emergente e del suo uso privato.

Il giardino interno

Con emozione ho poggiato i piedi dove il genio da Vinci ha camminato. Ho girato fra i filari carichi di grappoli, ho assaggiato un chicco ancora asprigno, e mi sono detto come sia straordinario che in un luogo come questo possa attecchire la vitis vinifera. Giustamente Leonardo amava molto questo suo pezzo di terra, a quei tempi fuori porta e decentrato. Veniva a prendersi cura delle sue viti, a riposarsi dalle fatiche, e magari a rilassarsi dopo le ore di lavoro dedicate al Cenacolo che gli stava proprio di fronte. Nel giardino era ospitato spesso, e qui poteva conversare con ospiti illustri e memorizzare i volti di Cecilia Gallerani ritratta nella Dama con l’ermellino, e di colei che gli ispirò il ritratto de La bella ferronnière, sulla cui vera identità, la critica si accapiglia da oltre cinquecento anni.