Israele uccide
ancora e la tregua salta
di Patrizia Cecconi
Ad essere preso di mira
è stato un luogo che altrove sarebbe stato chiamato ufficio o sede di riunione,
o sede politica, ma che Israele comunica alla stampa come “postazione di
Hamas”.
Betlemme. Poche ore fa altre due
giovani vite sono state uccise dalle armi israeliane a nord di Gaza. Ad essere
preso di mira è stato un luogo che altrove sarebbe stato chiamato ufficio o
sede di riunione, o sede politica, ma che Israele comunica alla stampa come “postazione
di Hamas” riuscendo, per la magia mediatica che le parole giuste riescono a
creare, a spegnere l’attenzione sul crimine appena commesso e ad accenderla
sulla capacità evocativa di terrore che ha la definizione scelta e che
giustifica gli omicidi a priori.
I
due giovani uccisi si chiamavano Ahmad Murjan e Abed al-Hafez al-Silawi e
facevano parte delle brigate Izz al Din al Qassam, vale a dire la resistenza
armata di Hamas. Dire resistenza armata, forse è bene cominciare a chiarirlo
anche negli articoli di cronaca, non significa dire necessariamente terrorismo,
sarebbe come chiamare terrorismo l’arma dei bersaglieri perché, facendo parte
dell’esercito possiede le armi!
È
l’azione o meglio ancora la strategia che precede e segue le azioni che può essere
o meno definita terrorismo e, in questo senso, la strategia israeliana e le sue
azioni sono generalmente terrorismo puro sebbene percepite, per abilità
lessico-mediatiche e patronage internazionale, come azioni difensive e niente
affatto illegali. Per quanto Israele uccida impunemente e quindi a suo
capriccio i palestinesi visto che, come scrive il giornalista israeliano Gideon
Levy “il sangue palestinese è merce a costo zero”, una ragione precisa per
uccidere a freddo i militanti della resistenza ogni volta che si profila una
tregua con Hamas sicuramente esiste. La prima ragione che viene in mente è la
provocazione. Cioè Israele provoca la resistenza palestinese per avere una
risposta che poi, mediaticamente, userà come giustificazione alle sue azioni
potendo giocare sulla confusione dei tempi azione-reazione e sulla benevolenza
dei media mainstream che in gran numero sotto sotto il suo indiretto o diretto
controllo.
Vediamo
i fatti. Hamas, con la mediazione dell’Egitto, ha accettato i termini per una tregua
che somiglia allo storico umiliante passaggio sotto le Forche Caudine
dell’esercito romano ma, per quanto umiliante,
le condizioni sempre più drammatiche in cui Israele ha gettato la
popolazione gazawa hanno indotto la
dirigenza di Hamas ad accettare. Ma Israele sembra il gigante ghiotto, quello
che dopo il primo boccone vuole il secondo e dopo il secondo il terzo fino a
non avere più bocconi da ingurgitare. Così ora Israele torna indietro e pone
altre condizioni e Hamas capisce il
gioco e torna a sua volta indietro dicendo che sono inaccettabili. Israele sta
giocando al gatto col topo sapendo che il popolo gazawo è allo stremo e non
perdonerà ad Hamas di non accettare la tregua rinunciando così ai promessi
sussidi umanitari.
Ma
a Gaza c’è uno zoccolo duro e questo non è dato solo dalla resistenza
organizzata. Lo ha dimostrato la partecipazione alla “Grande marcia”, per
quanto se ne volesse dare la paternità ad Hamas la “Grande marcia” ha seguitato
ad essere un movimento di popolo composto da moltissimi palestinesi che con
Hamas non spartiscono niente.
Allora cos’è che vuole
Israele?
La
nostra analisi non è difficile, peraltro la dinamica dei fatti rispetta un
copione ormai reiterato e facilmente riconoscibile, ma per aver il polso della
situazione dall’interno abbiamo intervistato due palestinesi, uno di Fatah, che
sceglie l’anonimato ma ci rilascia la sua opinione, ed uno di Gaza che ci
autorizza a pubblicare il suo nome. Il palestinese di Rafah, nostra fonte
attendibile abituale, ci dice che molto semplicemente questa tregua Israele non
la vuole e non solo perché i falchi del governo ebraico seguitano a sognare una
guerra genocidaria, ma perché la tregua porterebbe aiuti umanitari e questo
restituirebbe ad Hamas un po’ di quella simpatia popolare che le durissime
condizioni di gran parte del popolo gazawo gli hanno alienato. Quindi Israele
alza continuamente la posta e ora non gli basta più la resa garantita da Hamas,
ma mette altro sul tavolo delle trattative, come le informazioni sui suoi due
soldati detenuti che, in realtà, erano già oggetto di trattative separate a
prescindere dalla tregua.
Il
nostro interlocutore di Gaza city invece -
il giornalista e video maker professionale Monther Rachid, estraneo ad
ogni orientamento politico ma puro osservatore come ci tiene a precisare - è convinto che Israele stia provocando la
resistenza cercando di trascinarla in una guerra di cui gli esiti, dal punto di
vista umano, sono facilmente e tragicamente prevedibili. Aggiunge che
l’accettazione da parte di Hamas delle condizioni egiziane ha spiazzato Israele
il quale quindi ha modificato le regole a tavolino – come ogni baro durante la
partita sa fare, aggiungiamo noi – e pone come nuova condizione per consentire
il passaggio di merci essenziali da Kerem Shalom l'ottenimento di informazioni circa i suoi due soldati
detenuti da Hamas. Secondo Monther Israele gioca sul disastro umanitario da lui
stesso prodotto per far pressione su Hamas,
sapendo che gran parte del popolo di Gaza è ormai con l’acqua alla gola e
davanti alla fame, come la Storia insegna, ogni governo perde potere sul
proprio popolo. Insomma sembra un guerra fatta di battaglie di cui non si vede
quale potrà essere quella definitiva, quella cioè capace di interrompere lo
stillicidio di vite umane palestinesi e condurre Israele nell’alveo della
legalità. La riconciliazione Fatah-Hamas ha sicuramente il suo peso in questo
possibile percorso, ma forse proprio per questo, che non è un motivo di poco
conto, quella riconciliazione sembra impossibile a realizzarsi. Intanto si
aspetta la reazione delle brigate Al Qassam che farà dire ancora una volta ai media, secondo prevedibile e noioso
copione, che Hamas ha rotto la tregua.