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venerdì 14 settembre 2018

GROSSETO. ITALIA
di Velio Abati

Una veduta aerea di Grosseto fra le mura

Ho conosciuto Grosseto dalla campagna, ultima tappa di un avvicinamento partito dalla montagna, passato alla collina e infine arrivato alla pianura. A Grosseto non ci sono nato. Ma chi davvero ci è nato? Alla proclamazione dell’unità d’Italia contava quattromila abitanti, solo nel dopo guerra ha conosciuto un balzo del quarantacinque per cento rispetto al precedente censimento del 1936, raggiungendo i trentottomila. Oggi ne ha ottantamila. Luciano Bianciardi notava divertito che le possenti mura medicee di Grosseto, dell’ultimo Cinquecento, sono forse l’unico esempio di mura a difesa della campagna.
Ma i numeri nudi non parlano. Grosseto è il contado della repubblica di Siena, dunque, come in tutti i comuni e poi i ducati italiani, terra di esproprio: economico e umano. I Paschi messi a garanzia dei risparmi raccolti dalla “più antica banca del mondo” sono appunto i pascoli della Maremma, mentre lavori di scavo storico hanno messo in luce come la Repubblica senese inviasse periodicamente suoi funzionari nel contado a invogliare, all’occorrenza costringere i giovani più promettenti ad andare a impolpare i ranghi di governo. Col tempo questa terra ha coltivato il proprio disprezzo.
Nei primi anni Cinquanta Bianciardi e Cassola costruirono il piccolo mito della Grosseto “aperta ai venti e ai forestieri”, di un’infaticabile Kansas City in perenne costruzione, dell’anticonformismo degli operai che si comprano a rate la Lambretta per andare al mare, dei camionisti delle Quattro strade. Solo che l’ironia della disillusione descritta da Bianciardi nel Lavoro culturale sbagliava bersaglio: non la degenerazione burocratica del Pci era stata la causa del fallimento, bensì il fatto, ben più grave, che quel momentaneo fervore era l’effetto ottico di un’onda lunga altrove già in risacca. Nel grossetano si trovava uno dei più importanti distretti minerari d’Europa (pirite, carbon fossile, mercurio), con una classe operaia dura e combattiva, tanto che persino Lenin fece cenno alle sue lotte. Ma quella forza, che la Resistenza prima e la nascita dell’Italia repubblicana poi sembravano finalmente far fiorire, aveva già raggiunto il suo apice, come la sostanziale sconfitta dell’eroico sciopero dei cinque mesi del 1951 mostrò e lo scoppio della miniera del 1954 con i suoi quarantatré morti sancì. Il settore, come dicono gli economisti, era diventato obsoleto. 
Quanto alla campagna, mentre il resto della Toscana, quella ricca, abbandonava la mezzadria per l’industrializzazione e insieme per la nascita di una media proprietà contadina, nel grossetano la rinascita del dopoguerra è stato l’esodo dai paesi verso i minuscoli poderi della legge Stralcio di riforma fondiaria, che dietro lauti compensi smembrava il latifondo autoctono e soprattutto fiorentino. 
Per questo in Maremma non c’è stata l’effervescenza della piccola e media industria. Da noi la campagna è campagna. Non vedi l’urbanizzazione diffusa dei capannoni e dei blocchi di prefabbricato delle mille attività manifatturiere. A un certo punto, dopo la crisi dei primi anni Settanta, quella ‘arretratezza’ divenne una risorsa. È nato il territorio del Parco regionale della Maremma e degli agriturismi. Ma il ‘nuovo’ non è stata la trasformazione del millenario fondo contadino. Questo si è piegato, forse pensando di usarla facendola propria, alla visione feriale, vacanziera che ne ha la propria clientela. La città ha continuato ad essere priva di luoghi di propulsione culturale. Iniziative qua e là nascono, resistono una stagione, poi s’insecchiscono. Non dimentichiamo di disprezzarci. Grosseto è stata la prima in Toscana ad essere conquistata dai berlusconiani, oggi Casa Pound lancia le sue campagne dalla sala consiliare, mentre in questi giorni ha avuto qui il suo raduno nazionale.
I migliori non cessano di emigrare, lo scadente e spesso cialtronesco personale politico, amministrativo e professionale si dedica a coltivare la rendita della sua subalternità. Da qualche tempo i campi della collina e della pianura vanno assumendo il profilo ordinato della campagna senese o chiantigiana. Anche i nomi e i capitali sono gli stessi.