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lunedì 15 ottobre 2018

GEOPOLITICA E PACE. LA CARTA DEI POPOLI LIBERI




Se dovessimo immaginare il mondo di oggi, lo immagineremmo come un grande scacchiere, dove ogni Paese gioca la sua partita all’interno di grandi alleanze, più o meno articolate, ma sempre coordinate da grandi Paesi che muovono gli elementi del gioco con strategie precise. I giocatori non ci mostrano l’andamento della partita, la cui “vincita” preminente è impadronirsi delle principali risorse, ma è evidente che le pedine ossia “gli Stati” contengono popoli costretti a subire guerre, terrorismi, povertà come se fosse per loro un destino ineluttabile. Viviamo in un pianeta sempre più interconnesso, ma nello stesso tempo più dilaniato da interessi politici ed economici di Stati sempre più grandi e sempre più armati. Un gioco politico e militare non più sostenibile che sta avendo conseguenze sempre più violente, pericolose e inquietanti.
Non si tratta di essere ingenui pacifisti, idealisti del nuovo millennio, buonisti spinti da una umana sensibilità. Si tratta di analizzare in modo obiettivo gli scenari delle aree geografiche del pianeta, mossi da uno spirito critico nei confronti di un mondo che ci sta portando verso un futuro pieno di contraddizioni mortali.
Diceva il filosofo Thomas Hobbes “Homo, homini lupus”, inteso come se ogni uomo fosse predatore dei suoi simili: idea alla base della sua filosofia era che gli uomini vivano un conflitto perenne dato da un’attitudine naturale a cercare di accaparrarsi risorse in un regime di scarsità. Hobbes raggiunse questa conclusione osservando le realtà europee, fatte di continui conflitti reiterati nel tempo, di tratta degli schiavi e sfruttamento delle colonie di paesi come Spagna e Inghilterra.
Successivamente la filosofia politica di Marx ha dimostrato la natura sociale ed economica di queste contraddizioni e  anche come sia il sistema economico a dettar legge in quello politico e culturale. Con il materialismo storico, infatti, ci spiega che il flusso dei nostri pensieri è generato dall’abitudine a come combiniamo tra loro quelli che nutriamo e che il sistema capitalistico conduce l’essere umano a un flusso di pensieri, e quindi di azioni, prodotto dei valori del sistema stesso, veicolati dai media e modellati dai “rappresentanti culturali” delle nostre società a cui la maggioranza si ispira: individualismo, conformismo, atteggiamenti competitivi ed egoistici, di dipendenza dal consumismo che sfociano in razzismo, narcisismo, aggressività o, nella migliore delle ipotesi, indifferenza.           
Effettivamente viviamo un’epoca in cui l’uomo non si comporta in modo diverso da quello dei suoi antenati: la storia dell’umanità altro non è che un susseguirsi di lotte e rivoluzioni al fine di conseguire potere e ricchezze. Il fatto che esista un passato simile non significa che il futuro non possa cambiare e in effetti i cambiamenti più importanti dell’evoluzione umana nell’arco della storia sono stati possibili grazie a chi ha segnato nuovi percorsi, al lavoro di tanti. Recenti studi hanno dimostrato, semmai ce ne fosse stato bisogno, che nonostante l’aumento vertiginoso della popolazione, le attuali tecnologie renderebbero sostenibile tale sviluppo se solo regolamentato e, soprattutto, se si punterà a una distribuzione delle ricchezze. Purtroppo attualmente si sta andando verso il senso opposto e, benché la concentrazione delle ricchezze del pianeta si sia estesa negli ultimi 20 anni ad altri Paesi, questo invece di aumentare la giustizia sociale ha portato a un escalation dei conflitti e spesso sono pochi uomini a detenere lo stesso livello di ricchezze di interi  stati.
Attualmente la gran parte del benessere del mondo si concentra nell’Europa occidentale, in Oceania, in Giappone, Corea del Sud e Nord America, ma nonostante le nuove potenze emergenti dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) abbiano aumentato sensibilmente la loro ricchezza, non avendo sviluppato un sistema di welfare state incisivo, la gran parte di questa è rimasta nelle mani di pochi ed ecco che i problemi sociali presenti, invece di attenuarsi, si sono acuiti. Non solo: la nascita di nuove potenze economiche ha visto anche crescere l’esigenza di risorse in modo particolare energetiche. In tale contesto, Paesi come la Cina, l’India e la stessa Russia hanno preso, o ripreso, parte alla partita, chi per motivi strategici, chi per conquistare mercati o anche per arginare l'avanzata di politiche estere aggressive di altri stati riuscendo a conquistare con forza un ruolo all’interno dello scacchiere che, per tutti gli Anni 90, è stato ad appannaggio degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Attualmente la maggioranza delle risorse energetiche sono concentrate nel Medio Oriente, in Africa e anche in America Latina e non è un caso che proprio queste zone del mondo siano teatro dei maggiori conflitti esistenti e di feroci dittature o di continui tentativi di golpe come in Venezuela dove è presente la più grande riserva di petrolio al mondo. Le politiche coloniali di Paesi come l’Inghilterra e la Francia, hanno di fatto impedito la nascita di Stati veramente autonomi, cosa che sarebbe potuta accadere solo se il processo di indipendenza avesse visto la nascita di Stati reali, e non tagliati con il righello, in grado di poter esprimere le loro potenzialità liberi dal giogo delle multinazionali che sono rimaste a controllare il territorio. I territori nordsahariani vedono ancora oggi la presenza di Paesi europei, a partire dalla Francia, come garanti dell’ordine in una zona del mondo preda di movimenti fondamentalisti islamici. In realtà la presenza francese ed europea, in questi e in altri territori  africani, ha il fine di dominarli economicamente, depredarli, sfruttarli e controllare militarmente le popolazioni che vi abitano favorendo la costituzione di regimi dittatoriali, cosicché questi popoli non possano essere in grado di autodeterminarsi. Dopo il loro ritiro formale, le potenze ex coloniali hanno sistematicamente eliminato i leader  progressisti del Terzo Mondo, Lumumba, Sankara… che avrebbero potuto dare dignità e progresso a quei popoli, sostituendoli con dittatori corrotti e asserviti.
Situazione che ritroviamo in Medio Oriente, nella Libia “liberata” dalla dittatura di Gheddafi come in Siria (dove sembra siano state trovate mine antiuomo prodotte in Italia), in Yemen (dove, in riferimento alla guerra in corso, l’Italia è indagata per crimini di guerra dalla procura di Roma, di Brescia...) e che vede contrapporsi potenze come Russia e Stati Uniti o come in Iraq, e ci si chiede come sia possibile la costituzione di Califfati in grado di controllare e governare interi Stati: chi li arma? Chi li finanzia?


In questa situazione anche Stati che sono apparentemente in seconda linea giocano ruoli di primo piano e infatti la Cina è impegnata a livello diplomatico nella promozione di un ambizioso quanto strategico progetto di cooperazione internazionale con cui non solo ha l’intenzione di assumere la leadership politica, economica e militare dell’area del sud-est asiatico, ma addirittura ambisce a sfidare gli USA nel controllo delle principali materie prime a livello planetario.
Il progetto, denominato OneBelt-oneRoad (OBOR), letteralmente “una cintura-una strada” è la contromossa di Pechino in risposta al tentativo di qualche anno fa degli Stati Uniti di costruire una cintura di contenimento in Asia anti-cinese imperniata sugli USA, ‘cintura’ estesa dall’India al Giappone e all’Australia, includendo Vietnam, Corea del Sud, Filippine più altri “amici e alleati”. Xi Jinping definisce la propria “una strategia di protezione contro la mossa americana verso Est, verso l’estremo Oriente” e si sta sviluppando attraverso la creazione di una rete fittissima di infrastrutture, ferrovie, strade e linee marittime, gasdotti e oleodotti in grado di mettere in comunicazione la Cina e l’Estremo Oriente con l’Asia, l’Europa ed il Mediterraneo, e di permettere così alla Cina di assumere l’incontrastato controllo politico ed economico di questi territori.
Tutti questi giochi di potere vengono mascherati all’opinione pubblica da discorsi pseudo pacifisti e ipocriti, ma non basta professarsi pacifisti o difensori dei diritti e poi appoggiare politicamente missioni militari, essere a libro paga come trai maggiori fornitori di armi al mondo o sostenere feroci dittatori: basti pensare a Germania e Norvegia che hanno riconsegnato l’attivista per i diritti curda Gülizar Taşdemir, che era riuscita a uscire dalla Turchia, nelle mani di Erdogan dove potrebbe essere torturata. In una situazione di questo tipo, dove a dilagare è l’egoismo, l’individualismo, la sopraffazione e nella quale gli stessi governi professano un pacifismo sterile mai sostenuto nei fatti, è impossibile trovare accordi di pace o convivenze pacifiche nei tanti contesti: nella situazione israelo-palestinese, in quella curda...
Come in Centro e Sudamerica, “cortile” degli Stati Uniti, che ne dirige dittature e narcocrazie: quella in Messico per esempio, dove la vita è impossibile tra i narcotrafficanti e i fiumi di armi leggere provenienti da Germania e Stati Uniti. Per non parlare, più a sud, dei disboscamenti incontrollati in Amazzonia da parte delle multinazionali e dello sfruttamento intensivo di una terra dalle risorse immense da parte di Stati Uniti e Cina oppure della situazione del Sud Sudan dove grazie al contributo inglese nell’inviare armi si sta combattendo una cruenta battaglia che ha trasformato questo Paese in un inferno a cielo aperto o di quella nel Corno d’Africa, mai risolta, che vede la Somalia paese fantoccio preda di bande, pirati e dittatori sanguinari che si alternano nel tempo. Senza dimenticare il problema dell’acqua, problema generato dal mutamento climatico in atto al quale le super potenze non sono interessate a porre rimedio puntando invece a imporre i propri affari. In Africa il deserto si allarga, il lago Ciad si sta disseccando e questo è causa di conflitti tra agricoltori e allevatori, mentre conflitti per l’acqua sono anche in corso lungo fiumi importanti come il Nilo e il Niger. Per concludere la realtà del Sudan e del Darfour, insieme agli oramai radicati problemi politici dei Paesi centro e sud africani, ci presentano un continente allo stremo. Una situazione ideale per i Paesi di mezzo mondo che possono accaparrarsi le ricche risorse di quei Paesi sfruttando la loro debolezza politica. Il caso Eni in la Nigeria è emblematico: la Nigeria è uno dei Paesi virtualmente più ricchi dell’Africa, distesa su enormi giacimenti di petrolio e gas, ma contratti capestro con multinazionali straniere ne hanno devastato il territorio e alimentato una corruzione senza freno.
Il prezzo di tutto questo qual è? Il prezzo di tutto questo è che dopo aver violentato, affamato, depredato e imposto regimi dittatoriali e corrotti in questo continente, adesso milioni di persone cercano di recarsi nei Paesi dove una sopravvivenza sia possibile. Il fenomeno dell’immigrazione è un fenomeno destinato ad aumentare, non solo inarrestabile ma anche e soprattutto ingestibile.
Ci sarebbe ancora moltissimo da dire ma chi scrive ritiene sia meglio fermarsi qui, perché questo piccolo spaccato da solo rende comprensibile capire come non sia più possibile andare avanti in questo modo. Va da sé che l’accoglienza è il dovere primo di chi vuole definirsi umano ma non è accogliendo o non accogliendo gli immigrati che si fa qualcosa, non è essendo favorevoli o contrari a un’azione militare che si può riuscire a determinare un cambiamento. Il cambiamento deve essere radicale, a 360 gradi: un cambiamento capace di far comprendere alle persone che bisogna evolversi, bisogna prendere l’umanità tutta ed affrontare la più grande sfida cui sia chiamata: cambiare se stessa!


Questo cambiamento passa attraverso varie fasi
1. Sospensione immediata di invio di armi, leggere e pesanti, nei Paesi in guerra, nei paesi dove potrebbero essere utilizzate contro civili e in violazione dei diritti umani
2. Spostamento del 80% di uomini e donne delle Forze Armate al Ministero dell’interno con funzioni di prevenzione e controllo di attività illecite: incendi di boschi, traffico di rifiuti pericolosi, inquinamento dei corsi d’acqua, sofisticazioni alimentari, caporalato, traffico di esseri umani, terrorismo, evasione fiscale, riciclaggio del denaro derivato da traffici illeciti e per il perseguimento dei reati legati alla Rete, ecc.
3. Rifiuto da parte di governi e privati di acquistare e produrre qualsiasi tipo di armamento, lo smantellamento delle testate nucleari presenti sui territori, sminamento dei territori contaminati
4. Mappatura dei territori privatizzati da parte delle multinazionali, il monitoraggio e la riconversione dei territori devastati che hanno costretto milioni di uomini alla fuga, e le conseguenti produzioni monocolturali
5. Rispetto dei diritti Umani, e in particolare del diritto di tutti di poter vivere con dignità e del diritto di tutti di conservare la propria integrità fisica e psicologica e di non subire discriminazioni per nessun motivo, che si tratti di etnia, sesso, età, religione, orientamento sessuale, opinione politica, disabilità fisica o psichica
6. Rinunciare a qualsiasi attività di guerra per la risoluzione dei conflitti internazionali, e avvio di un percorso di uscita dalla Nato, ribadendo l’amicizia con tutti i popoli del mondo, e l’impiego delle risorse economiche ora destinate ad usi militari per fini pacifici. Cambiare nome al Ministero della Difesa usando la dicitura: Ministero per la Pace e la cooperazione. Iniziare una concreta e fattiva riconversione tecnologica dell’industria bellica in industria civile, pacifica e rinnovabile.
7. Sospensione del franco CFA, del militarismo francese e del  sostegno ai governi dittatoriali africani. Sospensione del debito per i paesi delle ex colonie che crea il circolo vizioso: prestiti - indebitamento crescente - imposizione dei piani di aggiustamento del FMI - impoverimento delle popolazioni - lievitazione degli interessi su debiti impagabili
8. Dato che le migrazioni sono dovute quasi esclusivamente alle ingerenze nefaste dell'Occidente nei paesi da dove iniziano, si chiede che ogni individuo possa circolare liberamente e liberamente decidere dove costruire la propria vita senza discriminazioni legate al paese di origine
9. Rispetto e  la libertà per ogni minoranza esistente in ogni Stato
10. Rispetto e tutela della vita e della dignità di ogni essere vivente: di ogni specie animale e di ogni ambiente terrestre


Il capitalismo mondiale per esprimere le sue esigenze non può più influenzare un singolo Stato ma un intero sistema, e per tale motivo preme per la nascita di stati frammentati, in modo da poter esercitare la sua egemonia su interi sistemi economici e muoverne i fili.
Dobbiamo liberarci dalla minaccia della nostra ricchezza, viviamo una politica e un sistema che ci vede attaccati visceralmente alle briciole che il sistema ci lascia, mettendoci gli uni conto gli altri ma mentre nel 700 il lupo hobbesiano lottava per la sopravvivenza, oggi lotta con le unghie e con i denti per mantenere i suoi privilegi pronto a uccidere. Che cosa siamo diventati?
“La Carta Geopolitica e Pace nasce spontaneamente dalla volontà di alcuni cittadini con l’unica motivazione di rompere il silenzio dell’opinione pubblica sulle atrocità che si compiono su civili inermi, sui bambini e su intere popolazioni in molte aree del pianeta a  opera di un sistema economico, guidato da pochi noti e che i media non ci vogliono raccontare, che prospera dalla costruzione di armamenti, dal generare guerre e dallo sfruttamento di interi territori.
Non si può più restare inermi davanti al grido di dolore che viene dalle popolazioni della Siria, dello Yemen, da popoli che abitano i territori africani e dalle minoranze perseguitate. La Storia ci ha insegnato come 70 anni fa si compì un orrore simile nell’indifferenza generale e ci siamo chiesti come sia potuto accadere l’Olocausto senza che la gente manifestasse il proprio diniego. E’ ora di dire basta e chiedere ai nostri governanti, ai detentori culturali dei nostri indirizzi di interesse di tirarsi fuori da questi giochi di potere e contribuire a cambiare il sistema nutrendo e proteggendo la Vita e la Libertà”.
Cristina Mirra, Angelo Gaccione, Mauro Caruso, Monica Paglicci, George Ebai, Momyn Werebi, Alessio Di Florio, Irene Bracelli, Paolo Ferretti De Luca, Costanza Locatelli, Veronica Tarozzi, Jacqueline Rito, Valeria Bernardi.