GLI SCIOPERI
OPERAI CONTRO L’INVASIONE NAZISTA
di Franco Astengo
In un’Italia ormai sul
tramonto civile e morale è assolutamente il caso di ricordare la sollevazione
operaia contro l’invasione nazista che ebbe inizio proprio 75 anni fa nel mese
di novembre 1943, proseguendo poi per tutto il mese di dicembre quale prologo
della grande agitazione del 1° marzo 1944, punto di snodo cruciale della
partecipazione di massa alle vicende della Resistenza.
Nel
novembre ‘43 iniziarono quindi i grandi scioperi operai che portarono a una
grande destabilizzazione del regime giunto oramai alle strette. Le
rivendicazioni degli operai, tutti antifascisti, furono tra le più importanti:
la retribuzione dei periodi d’interruzione forzata dal lavoro, la fine del
regime militare di produzione, la possibilità di non lavorare durante i
bombardamenti e l’immediata liberazione di tutti i prigionieri politici. Le
risposte del regime fascista e degli invasori nazisti furono durissime e
devastanti per la loro molteplice crudeltà. Nei soli mesi autunnali del ’43
furono più di una decina gli operai giustiziati dalla polizia politica
fascista, e dalle SS e gli operai di diversi reparti delle fabbriche del Nord -
Ovest furono deportati in Germania nei campi di lavoro. Da ricordare come, dopo
lo sciopero del 1° marzo 1944, le deportazioni fossero avviate invece nei campi
di sterminio, principalmente Mauthausen partendo dal fatidico binario 21 della
Stazione Centrale di Milano dal quale prendevano il via anche i treni che portavano
al martirio gli ebrei rastrellati. In quell’autunno del ’43 in buona parte
delle fabbriche si era già diviso un certo numero quadri sia del PCI
clandestino, del CLNAI, e dei comitati clandestini sindacali.
L’antifascismo
e la lotta all’occupazione nazista erano così diventate il nucleo centrale
delle ragioni che portarono agli scioperi operai. Si può ben affermare che da
quel momento la lotta al regime fu caratterizzata da un forte protagonismo
operaio.
Il
primo sciopero fu proclamato il 2 novembre alla Breda di Milano, il 18 dello
stesso mese toccò alla FIAT a Torino e da lì Resistenza e lotta di classe si
propagarono, come binomio inscindibile, per tutto il triangolo industriale fino
a estendersi verso la fine di dicembre al nord-est, da Marghera ai cantieri di
Monfalcone.
In
realtà gli scioperi di novembre ’43 seguivano quelli del marzo dello stesso
anno, momento fondamentale di grande impatto sulla via della disfatta del
regime fascista.
L’esplodere
e la diffusione su tutta la classe operaia della lotta partigiana, non sarebbe
stato possibile senza una presa di coscienza di forza e di prospettive degli
operai.
Sia
nelle grandi che nelle piccole officine furono messi in pratica i sabotaggi
della produzione.
E’
indicativo in questo senso ricordare come circolasse nelle fabbriche una sorta
di "libretto rosso del partigiano” che raccoglie le istruzioni per un
sabotaggio, su larga scala e di massa, del sistema produttivo italiano, avendo
come obiettivo la conservazione dei macchinari pensando alla ripresa del dopo
guerra.
Dal
punto di vista della difesa dei macchinari e delle infrastrutture,
successivamente nei giorni convulsi della Liberazione, la classe operaia
scrisse pagine di vero e proprio eroismo.
Il
tema della presa di coscienza da parte della maggioranza degli appartenenti
alla classe operaia delle grandi fabbriche è tema cruciale da sottolineare
ancora oggi: anzi ancor di più nel momento in cui, come adesso, spariti i
grandi partiti di massa pare prevalere all’interno di una società sfibrata uno
spontaneismo apparentemente ribellistico inquinato dall’uso dei mezzi di
comunicazione di massa e dei social.
Eppure
fu la capacità di prendere coscienza la leva fondamentale perché l’antifascismo
non si risolvesse in una semplice ribellione ma provocasse, per il tramite
dell’organizzazione politica, una presenza e una costanza di iniziativa che,
nelle città, rappresentò il punto di saldatura con l’azione di montagna
permettendo così che il 25 aprile l’epilogo della tragedia si svolgesse con la
liberazione di Genova, Milano, Torino e la formazione immediata dei diversi
livelli di governo e l’assunzione delle piene potestà istituzionali da parte
dei CLN che nominò subito i sindaci e i prefetti.
Senza
la lotta nelle fabbriche questo fatto fondamentale della liberazione delle
Città e della loro immediata capacità di autogoverno senza subire il
commissariamento da parte degli alleati non sarebbe avvenuto.
Ecco
di seguito quello che fu il calendario degli scioperi negli ultimi due mesi del
1943:
- 15-22 novembre 1943 sciopero
di tutte le officine metallurgiche di Torino;
- 23. novembre - sciopero
generale a Genova;
- 27. novembre - sciopero dei
tranvieri di Genova;
- 1. dicembre - nuovo
sciopero delle officine metallurgiche di Torino;
- 10. dicembre - sciopero generale
nel Biellese, nella Valsesia e nella Val d’Ossola
- 13-21. dicembre - sciopero
generale nelle officine di Milano;
- 20. dicembre - nuovo
sciopero generale nella Valsesia e nel Biellese;
- 16-20. dicembre - sciopero
generale a Genova;
- 20-23. dicembre - sciopero a
Savona, Vado Ligure e in tutta la zona industriale della Val Bormida;
- 23. dicembre - sciopero nei
cantieri di Monfalcone, nelle officine di Padova e Porto Marghera;
Cristoforo Astengo |
Come
post-scriptum deve essere inoltre ricordato come a Savona, proprio nei giorni
degli scioperi operai si svolsero tragici fatti che debbono essere commemorati
anch’essi ricordandoli come una delle pagine più sanguinose vissute in questo
lembo di Liguria Occidentale.
La
sera del 23 dicembre 1943, un ordigno fu lanciato nella Trattoria della
Stazione in via XX settembre a Savona all'indirizzo dello squadrista Bonetto
che rimase ferito e causò la morte di altre sette persone, fra cui un ufficiale
tedesco.
I
fascisti avrebbero voluto disporre un'immediata rappresaglia ma i tedeschi
preferirono usare metodi diversi. Il 24 e 25 dicembre, infatti, c'erano
parecchi prigionieri politici che affollavano le carceri di Sant'Agostino, le
camere di sicurezza della Questura, le celle dei Carabinieri e della Milizia.
L'avvocato
Cristoforo Astengo fu ricondotto subito a Savona dalle carceri di Marassi a
Genova, mentre a Finalmarina il collega avvocato Renato Wuillermin, fu
arrestato durante la messa. La notte di Natale e il mattino dopo, nella
Federazione savonese i capi fascisti si riunirono per decidere i “provvedimenti
da adottare”.
Erano
quasi le ore 5 del 27 dicembre, quando sette arrestati furono prelevati dal
carcere di S. Agostino e portati con un cellulare della Questura, nella caserma
della Milizia di Corso Ricci, in cui si tenne di nuovo una "seduta
straordinaria" di un sedicente Tribunale militare.
La
condanna disposta fu pena di morte mediante fucilazione con esecuzione
immediata. Un'ora dopo i prigionieri furono condotti al forte della Madonna
degli Angeli, dove si trovavano ad attenderli un plotone di esecuzione formato
da 40 repubblichini, comandati da Bruno Messa.
I
morti furono:
Cristoforo Astengo, avvocato, di anni 58;
Renato Wuillermin, avvocato, di anni 47;
Carlo Rebagliati, falegname, di anni 47;
Arturo Giacosa, operaio, di anni 38;
Amelio Bolognesi, soldato, di anni 31;
Francesco Calcagno, agricoltore, di anni
26;
Aniello Savarese, soldato, di anni 21.
Per Astengo, Calcagno e
Rebagliati fu necessario il colpo di grazia.