di Franco Astengo
Il 2 dicembre 1968 ad
Avola, in provincia di Siracusa, una manifestazione a sostegno della lotta dei
braccianti per il rinnovo del contratto
di lavoro finisce nel sangue: la polizia apre il fuoco e due lavoratori -
Giuseppe Scibilia, di 47 anni, e Angelo Sigona, di 25 - vengono uccisi.
Quarantotto i feriti, di cui due gravi. Un tragico episodio che sul piano
storico lascia ancora un interrogativo: l’aggressione poliziesca quale ultimo
strascico delle lotte bracciantili che si erano svolte nel Sud Italia a partire
dagli anni’50 e che avevano avuto negli episodi di Portella della Ginestra,
Melissa, Montescaglioso i loro momenti culminanti? Oppure si è trattato
dall’avvio della nuova fase di repressione e di strategia della tensione
destinata a contenere e soffocare l’ondata di libertà che arrivava dal ’68 che
poi sarebbe diventato, in Italia, il 1969 dell’autunno caldo?
Il
dicembre 1968 rappresenta un momento di grande tensione nel Paese: sono in
corso imponenti lotte sindacali e si sta spingendo molto per l’unità delle tre
grandi sigle CGIL-CISL - UIL. Si sta formando un nuovo governo di centro
sinistra presieduto da Mariano Rumor nella cui compagine assumerà l’incarico di
ministro del Lavoro il socialista Giacomo Brodolini, padre dello Statuto dei
Lavoratori cui si accennerà più avanti, che come primo atto del suo mandato si
recherà ad Avola ad incontrare i contadini protagonisti di quelle
rivendicazioni sindacali che avevano dato luogo alla dura reazione voluta dal
Questore.
Ma
in quale Italia si svolsero i tragici fatti di Avola?
Era
ancora l’Italia delle “gabbie salariali”: le gabbie salariali nascono con un
accordo firmato il 6 dicembre del 1945 tra industriali e organizzazioni dei
lavoratori, per la parametrazione dei salari sulla base del costo della vita
nei diversi luoghi. Entrate in vigore nel 1946, all'inizio furono previste solo
al nord, e solo in seguito estese a tutto il paese. In origine, la divisione
era in quattro zone, ciascuna con un diverso calcolo dei salari. Nel 1954 il
paese intero viene diviso in 14 zone nelle quali si applicano salari diversi a
seconda del costo della vita. Tra la zona in cui il salario era maggiore e
quella in cui il salario era minore la distanza poteva essere anche del 29%.
Nel 1961 il numero di zone fu dimezzato, si passò da 14 a 7, e la forbice tra i
salari passò dal 29% al 20%. Il sistema delle gabbie salariali incontrò una
progressiva e sempre più forte opposizione di sindacati e lavoratori, che le
consideravano discriminatorie e poco eque. Il sistema fu abolito nel 1969 sulla
spinta di forti mobilitazioni operaie. L'abolizione fu graduale e fu completata
nel 1972 .
Ed
era l’Italia dove non era stato ancora approvato lo Statuto dei Lavoratori: La
legge 20 maggio 1970, n. 300 - meglio conosciuta come statuto dei lavoratori -
è una delle principali normative della Repubblica Italiana in tema di diritto
del lavoro. Introdusse importanti e notevoli modifiche sia sul piano delle
condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i datori di lavoro, i
lavoratori con alcune disposizioni a tutela di questi ultimi e nel campo delle
rappresentanze sindacali; ad oggi di fatto costituisce, a seguito di minori
integrazioni e modifiche, l'ossatura e la base di molte previsioni ordinamentali
in materia di diritto del lavoro in Italia. Modernizzando finalmente il mondo
del lavoro anche nel nostro Paese.
Torniamo
però a raccontare Avola, in quel giorno di dicembre 1968.
Così,
sei giorni più tardi, Rassegna Sindacale riporta l’accaduto: “L’eccidio di
Avola ha destato in tutta Italia, in primo luogo, naturalmente, fra i
lavoratori e le loro organizzazioni, un moto profondo di collera”. Appena
informata dei gravissimi avvenimenti, la segreteria della Cgil esprime, per
mezzo di un comunicato, “l’indignazione e la condanna dei lavoratori italiani
per l’eccidio compiuto dalla polizia in armi contro i braccianti di Avola”.
“Due
morti e numerosi feriti gravi - scrive ancora Rassegna citando il comunicato
della confederazione - sono il tragico risultato di un’aggressione della forza
pubblica contro i lavoratori agricoli, in lotta unitaria per il rinnovo del
contratto di lavoro nella provincia di Siracusa. Bombe lacrimogene e raffiche
di mitra hanno violentemente represso una manifestazione sindacale e popolare
causata dall’atteggiamento provocatorio degli agrari, i quali venerdì non si
erano neppure presentati alle trattative convocate dal prefetto. La Cgil,
mentre chiama i lavoratori alla protesta più larga e unitaria in Sicilia e in
tutto il Paese, richiama i democratici tutti alla vigilanza contro questi
metodi indegni di un Paese civile, e ripropone la necessità di un immediato
disarmo della polizia e dei carabinieri in servizio di ordine pubblico e
particolarmente durante le lotte di lavoro”.
Torniamo
alle fonti e riproduciamo in questa sede, senza commento, l’articolo apparso
l’8 dicembre 1968 sulle colonne dell’Espresso (all’epoca ancora “formato
lenzuolo”) e firmato da Mauro De Mauro: due anni dopo De Mauro sarà rapito,
presumibilmente dalla mafia, e il suo corpo mai più ritrovato. Uno dei delitti
più misteriosi di quel torbido periodo.
Ecco
l’articolo: per non dimenticare.
Senza
commento se non per ricordare la rabbia e la tristezza di allora che oggi si
rinnova.
I contadini
uccisi ad Avola. Volevano solo trecento lire in più
di Mauro De Mauro
Sono morti in due. Gli
hanno sparato con i mitra. Protestavano per avere una paga uguale a quella dei
braccianti di un paese vicino Avola - Al ventesimo chilometro della statale
115, quasi alle porte di Avola, non si passa più. Bisogna scendere dalla
macchina e proseguire a piedi verso il grosso borgo che si intravede poco al di
là della curva, quasi di fronte al mare. È difficile mantenersi in equilibrio
sull’asfalto di pietre e di bossoli. È uno spettacolo desolante; si ha la
precisa sensazione che qui, per diverse ore, si è svolta un’accanita battaglia.
In fondo al rettilineo la strada è parzialmente ostruita dalle carcasse ancora
fumanti di due automezzi della polizia dati alle fiamme. Sull’asfalto, qua e
là, delle chiazze di sangue rappreso. Anche un autotreno, messo di traverso
dagli operai in sciopero per bloccare la strada, è sforacchiato dai colpi e
annerito dal fuoco. Proprio come una R4 e una decina di motociclette dei
braccianti sui cui serbatoi i poliziotti hanno sparato per impedirgli di
andarsene.
Sono
le dieci di sera di lunedì 2 dicembre. Giornalisti e fotografi, accorsi da
tutta l’Italia, stanno raggiungendo un paese il cui nome resterà a lungo nella
storia delle lotte sindacali italiane. È una prospera cittadina, a pochi
chilometri da Siracusa, al centro di una ricchissima zona di orti e di
agrumeti. Fino a ieri era noto come il “posto delle mandorle”, le buone,
dolcissime, tenere mandorle di Avola. Da oggi non si potrà più nominare senza
venir colti da un senso di sgomento e di profonda amarezza.
Due chili di bossoli
Giuseppe
Scibilia, di quarantasette anni, era nato qui. Angelo Sigona, di ventinove, era
nato a pochi chilometri di distanza, a Cassibile, il paese dove, nel settembre
del ’43, il generale Castellano firmò l’armistizio per l’Italia sotto la tenda
del generale Eisenhower. Ora sono tutti e due distesi nella sala mortuaria
dell’ospedale civile di Siracusa. Gli hanno sparato poliziotti di ogni grado,
appartenenti al battaglione mobile di Siracusa, con armi diverse: dai mitra
corti in dotazione agli agenti, alle pistole calibro 9, 7.65 e 6.35 in
dotazione a sottufficiali, ufficiali e funzionari di Pubblica Sicurezza. Una
parte delle centinaia di bossoli raccolti poco fa sul campo di battaglia sono
in possesso della Federbraccianti. Qualcuno, il deputato Antonino Piscitello,
che si trovava sul posto al momento dell’eccidio, li ha anche pesati: erano più
di due chili. Il piombo delle forze dell’ordine ha ridotto in fin di vita altri
quattro braccianti. Uno di essi, Giorgio Garofalo, nato ad Avola trentasette
anni fa, ha tredici pallottole nel ventre.
Fa
freddo. La statale 115 è in parte gelata. Ma dà un senso di gelo maggiore il
doversi occupare ancora, dopo venticinque anni di lotte sindacali, di
braccianti caduti sotto le raffiche della polizia. Stavano scioperando per
difendere diritti e interessi elementari. Il presidente della Confagricoltura,
conte Alfonso Gaetani, era in viaggio alla volta di Siracusa per contendere a
questi uomini il miglioramento che reclamavano, ma la battaglia del chilometro
20 ha interrotto il suo viaggio.
Tutto
cominciò dieci giorni fa, quando i braccianti agricoli aderenti alle tre
maggiori organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil) decisero d’intraprendere
una grande azione unitaria. Si trattava di ottenere un aumento del 10 per cento
sulle paghe, ma soprattutto il riconoscimento di un elementare diritto fino ad
oggi negato: la parità di trattamento salariale tra addetti a uno stesso lavoro
in due zone diverse di una stessa provincia. Questo infatti è un paese in cui
si può ancora morire battendosi non per equiparare i salari di Avola a quelli
di Milano, ma per ottenere che il bracciante di Avola abbia un salario non
inferiore a quello del bracciante di Lentini. Perché la provincia di Siracusa è
divisa in due zone: la zona A, che comprende i braccianti di Lentini,
Carlentini e Francoforte, in cui la paga giornaliera è di 3480 lire; e la zona
B, con Siracusa e i restanti comuni della provincia, in cui la paga è di 3110
lire. Tutto questo, nonostante che la provincia di Siracusa sia una tra le più
floride della Sicilia. Florida cioè per i proprietari terrieri, che da ogni
ettaro di agrumeto riescono a trarre annualmente un reddito netto che varia tra
le 600 e le 800 mila lire. In realtà, il reddito medio pro capite in provincia
di Siracusa è tra i più bassi d’Italia. E se la media statistica crolla a
questi valori da mondo sottosviluppato, è per le condizioni di vita del
bracciantato locale. Per questo già due anni fa ci furono rivendicazioni e
proteste, e a Lentini una serie di gravissimi incidenti con poliziotti e
carabinieri. Anche allora si trattava di un’azione sindacale originata dal
rinnovo del contratto di lavoro. Ma allora c’erano stati dei feriti. Oggi si
piangono i morti.
Di
fronte al rifiuto degli agrari di prendere contatto con i rappresentanti delle
organizzazioni sindacali, il 25 novembre scorso, lunedì, 32.000 lavoratori
agricoli incrociano le braccia abbandonando i “giardini” dove in questi giorni
maturano gli aranci. All’azione partecipano, consapevoli dell’importanza del
problema, tutti i sindaci dei paesi interessati, socialisti, democristiani,
comunisti. Ma i proprietari non cedono, rifiutano l’incontro e la
contrattazione, adottano ogni sorta d’espediente per prendere tempo. Così,
dalle piazze dei paesi i braccianti in sciopero dilagano lungo le strade
provinciali, innalzano blocchi di pietre nella speranza che le interruzioni del
traffico attirino l’attenzione del governo. E infatti qualcuno si accorge delle
pietre, dei blocchi delle strade, del traffico difficile: ma non del problema
per il quale ci si batte. Il prefetto di Siracusa convoca il sindaco socialista
di Avola e lo invita a intervenire perché i blocchi vengano rimossi e il traffico
possa riprendere immediatamente. «Lei è il primo cittadino di questo paese»,
dice in sostanza il prefetto, «e il suo dovere è dunque quello di indossare la
fascia tricolore e di raggiungere gli scioperanti per convincerli a sciogliere
la manifestazione». Ma il sindaco Danaro non è affatto d’accordo. «Indosserò la
fascia tricolore», risponde, «e andrò a unirmi agli scioperanti per presentarmi
alla polizia e intimarle di abbandonare il paese».
Così
avviene, infatti. E così, nel primo pomeriggio di lunedì, mentre un centinaio
di braccianti agricoli sono intorno a uno sbarramento di pietre eretto al 20°
chilometro della statale 115, poco prima del bivio per il Lido di Avola, nove
camionette cariche di agenti, per complessivi novanta uomini, arrivano da
Siracusa e si arrestano di fronte al blocco intimandone lo smantellamento
immediato. Sono novanta uomini col mitra in mano, il tascapane pieno di bombe
lacrimogene, l’elmetto d’acciaio col sottogola abbassato. È quanto basta perché
i braccianti esasperati reagiscano con un primo lancio di pietre. I poliziotti
sbandano. L’ufficiale che li comanda grida un ordine secco, e una prima scarica
di bombe piove sul gruppo degli scioperanti sprigionando una densa nuvola di
fumo bianco. Ma il gas, invece di intossicare gli operai, investe, trasportato
dal vento, gli stessi poliziotti i quali vengono contemporaneamente respinti da
una seconda bordata di pietre. I piani di battaglia elaborati al tavolino dai
comandanti delle forze dell’ordine sono travolti dagli avvenimenti. Da uno
scontro frontale la battaglia si frantuma in una serie di piccoli episodi di
violenza, uomo contro uomo, e dalla strada si trasferisce nei campi
circostanti.
Altri
braccianti accorrono dal paese e dalle case coloniche vicine. Disseminati e
privi di collegamento tra loro, i poliziotti rischiano di venire sopraffatti.
Perdono la testa. Qualcuno comincia a sparare. In pochi secondi le grida che
fino a quel momento avevano dominato il campo di battaglia vengono coperte da
una serie di scariche frastornanti, ininterrotte, un inferno che soffoca il
gemito dei primi feriti. Le file dei braccianti indietreggiano, gli uomini si
danno alla fuga, la polizia rimane padrona del campo. Ma è una vittoria talmente
amara e tragica, che le forze dell’ordine non se la sentono di presidiare il
campo di battaglia. Dopo aver operato una diecina di fermi e aver smantellato
il blocco stradale, gli agenti abbandonano la zona e lo stesso centro di Avola,
consapevoli che la loro presenza potrebbe scatenare reazioni.
Adesso,
alle undici di sera, Avola sembra un paese di fantasmi. Dalle due del
pomeriggio la vita si è fermata, i negozi hanno abbassato le saracinesche in
segno di protesta e di lutto, le due sale cinematografiche hanno chiuso. Una
folla immobile e muta indugia sulla piazza principale dove poco fa il
sindacalista Agosta ha tenuto un comizio a nome della Federazione dei
braccianti. In giro non si vede neppure una divisa. È come se l’intero paese
stesse aspettando di riprender contatto con una realtà che tuttora appare
incredibile. Ma il cordoglio, come del resto la destituzione del questore di
Siracusa Vincenzo Politi o le deplorazioni ufficiali, evidentemente non
bastano.