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venerdì 7 dicembre 2018

SULLE “PRIMARIE”
di Fulvio Papi

Da quello che dice la comunicazione di massa il Partito Democratico pare determinato a fare le elezioni “primarie” per stabilire chi farà il segretario del partito. Dico subito che sono assolutamente contrario a queste elezioni primarie: In primo luogo sono una importazione (senza dazio) dagli Stati Uniti, senza considerare che cosa sono colà le elezioni primarie: un confronto di candidati ciascuno appoggiato finanziariamente da gruppi economici e finanziari che diventano il dominio dell’azione politica come negli ultimi decenni del 900 era del tutto chiaro a chi non credesse ciecamente nella “democrazia come fosse un dio sociale”. Nel caso nostro abbiamo importato quel modello dimenticando completamente la sua realtà sociale, e dipingendolo come l’arrivo della democrazia politica che avrebbe conferito al popolo la designazione dei suoi dirigenti. Altra proposizione del tutto falsa. Basta domandarci quali sono le differenze obiettive tra i vari candidati, dato che i loro programmi politici assomigliano alla parte rituale di una cerimonia. Provate a chiedere ai potenziali elettori di farne un riassunto in poche righe essenziali. Allora come avviene la scelta? Credo prevalentemente da parte di gruppi organizzati nel partito che desiderano per i loro scopi di trovare una posizione egemonica. L’effetto immediato di questa pratica è la divisione del partito in correnti, più o meno visibili, che hanno come scopo principale la loro emergenza, il che, a dire poco, genera due effetti: l’uno l’indebolimento endemico del gruppo dirigenziale, l’altro la visione retorica e lontana dalle necessità del paese che, per la verità, in Italia sono così numerose e difficili il cui governo è di per se stesso molto complesso. Aggiungo che nei programmi si dice sempre “che cosa bisogna fare” mai come si possa fare, con quali mezzi, in quale tempo, con quali priorità compatibili con l’insieme delle esigenze fondamentali. I programmi presentati in questo modo sono sempre falsi, ad essi seguirà una prassi quotidiana senza prospettiva alcuna, ma, a posteriori, difesa con un dispendio pubblicitario, provocando anche qui un ulteriore degrado, quello di una pubblica opinione che considererà la propria partecipazione politica solo in relazione ai propri interessi o alle proprie ubbie emotive.  Tutto questo carico si riversa più o meno sulle elezioni primarie.
Se il Partito Democratico volesse risalire la corrente credo che dovrebbe liberarsi dell’idea di partito liquido, - il che, nel concreto, vuol dire gruppo politico centralizzato -, e cercare di riprendere un aspetto territoriale. Oggi anche più difficile, poiché non si tratta di portare sul territorio un “linguaggio”, ma progetti fattibili e comprensibili sia locali che nazionali, quindi mettersi in una competizione con i mezzi di comunicazione dominanti e rimettere nel circuito sociale la faccia, il corpo, il tempo, la parola. Altrimenti giochiamo alla politica e, in questo gioco sociale anche chi perde, vince perché ha il suo posto nel gioco. Probabilmente tutto ciò non serve a nulla. Ogni epoca ha le qualità determinanti, tuttavia nel muro c’è sempre qualche spazio vuoto, e chissà.