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mercoledì 9 gennaio 2019

Poesia
LETTERA APERTA A CESARE VIVIANI

Tomaso Kemeny

Tomaso Kemeny scrive al poeta e psicanalista Viviani in occasione dell’uscita del suo libro “La poesia è finita. Diamoci pace. A meno che... pubblicato dalla casa editrice genovese Il Nuovo Melangolo.

Caro Cesare, amico mio e poeta originalissimo, il fatto che migliaia versifichino, a me pare solo un bene. Anche quelli privi di talento hanno il diritto di esercitare l'immaginazione, di liberarsi di fantasmi, risentimenti, nonché di terrori e invidie, di paure più o meno motivate. Casomai tocca alla critica individuare la scrittura rarissima, quella poetica, differenziandola dalla versificazione. Per quanto sia misteriosa l'origine della scrittura poetica, si possono indicare tre diverse forme di poesia italiana che tendano alla Bellezza:
1.Versi autonomi ispiratissimi, come la seguente di Torquato Tasso:
Dolce è nudrir voglie amorose in seno” (endecasillabo)
2.Versi dove il ritmo del verso contrappunta la struttura sintattico-semantica, come la seguente di Eugenio Montale:
O labbri muti, aridi dal lungo (endecasillabo)
 viaggio per il sentiero fatto d'aria” (endecasillabo)
3.I versi liberi, come quelli di Aldo Palazzeschi:
Si stanno in quell'ombra
 tre vecchie
 giocando con dadi...”

Cesare Viviani

Ma esiste la parola assoluta, il Big-Bang, origine soggettiva del poetico? Sì, è il nome dell'amata e lo sa anche il lettore innamorato.
Bisogna anche osservare che ogni verso, come tale, esalta la forma soggettiva, lo stile di chi scrive. Oggi pervade il mondo la moda di disprezzare il presente storico, si dimenticano le condizioni esistenziali ai tempi di Hitler, Stalin e Mao.
Basta con i lamenti! Se il consumismo minaccia di consumare le anime, i corpi, tuttavia, possono sempre fruire di forme di vitalità gustative, olfattive, auditive, intercosciali, nonché muscolari e anali. Tuttavia la poesia è ciò che manca ed è sempre mancata al mondo, ma se come scrisse Holderlin “fuggevole è il canto della vita”, il canto delle Muse (e ogni poeta vero ne ha almeno una) rimane e custodire la verità di ogni poeta, rivelando anche nella tenebra e nel dolore l'eterna magnificenza della vita nel cosmo. L'uomo e la donna rimano, i loro corpi compenetrandosi si completano, mentre il mondo e la poesia non si completano mai, per questo il poeta è chiamato a sconfinare dagli orizzonti del dato, a tentare di rendere questa mancanza di poesia meno evidente e feroce.
Il bombardamento pubblicitario, il diluvio mediatico, i deliri dei politicanti ipocriti rendono necessaria l'azione del poeta in grado di spalancare le finestre sulla Natura e sul Cosmo. Come un minatore il poeta scava nella lingua finché non trova filoni di ispirazione. L'atto poetico supera i limiti del dicibile e del reale collegando in rapporto simbiotico gli antinomi: il pieno/il vuoto, la presenza/l 'assenza, il definibile/l'indefinibile. La parola del poeta traccia i confini della propria autonomia espressiva, autonomia irriducibile al reale. La scrittura poetica sposta la soggettività assoluta verso il noi o l'impersonale, e così il poeta trascende la propria condizione umana e può capitare che il poeta, nei momenti più alti del suo canto, venga assunto entro il Divino, ovvero percepisca il Divino come il canto che si innalza oltre i limiti del Cosmo. “Il bello è un fenomeno originario” disse Goethe, e il poeta rivive questo fenomeno originario dissolvendo nello splendore il reale. La sua parola allora cela in sé il silenzio e l'impossibile e celebra il vuoto prima della creazione del mondo.
La parola poetica non appartiene a nessuno, esso è il tesoro della collettività linguistica in grado di fruirla. La poesia non è costruzione consapevole, nasce dall'imprevedibile in modo libero, anche se poi, quasi sempre, necessita di una riscrittura artigianale.
La poesia libera dalle gabbie temporali e apre al passato e precede un futuro possibile. Non sbaglia il cinico che ritiene che ogni definizione della poesia non sia che una parodia della poesia stessa. E ha ragione, la prosa, l'interpretazione la soffocano!
Mi verrebbe da gridare “la poesia sono io”, ma se non riuscissi scrivere poesia non sarei che “un mendicante di Bellezza!”(Espressione di Jozsef Attila)
Ci siamo trapanati il cranio, io e gli elefanti del desiderio-critico, ma come scrisse Viviani, la poesia appartiene al regno del mistero. Ma, secondo me, si può e si deve diffonderne l'essenza con azioni istituzionali e/o insurrezionali nel mondo, al grido di “Fight for Beauty! Fight for Beauty for ever!”
Tomaso Kemeny  


La copertina del libro

Cesare Viviani
La poesia è finita.
Diamoci pace. A meno che...
Ed. Il Nuovo Melangolo 
Pagg. 80 € 7,00