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lunedì 18 marzo 2019

Libri
VERSO SANT’ ELENA
Il nuovo romanzo di Roberto Pazzi
di Angelo Gaccione


Roberto Pazzi

Libri su Napoleone ce n’è una caterva, a occhio e croce se ne calcolano più di un migliaio. E del resto il personaggio non è stato solo un boccone ghiotto per gli storici. Quasi nessuno, al pari di lui, è stato osannato e avversato con la medesima passione. Che i realisti e la restaurazione lo detestassero era quasi ovvio, considerato lo sconvolgimento provocato ai vecchi equilibri dalla sua irruzione sulla scena della storia: trono ed altare ne erano stati sconvolti. Che i giovani rivoluzionari e i circoli più radicali e intellettualmente illuminati ne facessero il loro paladino, era altrettanto ovvio. Il giovane Hegel era arrivato a definirlo “anima del mondo” e in polemica con i teorici del diritto di casa sua, si spinge a dire che per il concetto di sovranità c’era un solo grande professore e risiedeva a Parigi, si chiamava Napoleone. Beethoven gli dedica la Terza sinfonia, i poeti ne cantano le lodi e i pittori lo ritraggono come un divo dell’Olimpo. Ma poi inesorabilmente, come avviene per tutte le rivoluzioni e per tutti i condottieri che fanno prevalere la ragion di stato annientando la spinta libertaria, l’entusiasmo e i sogni egualitari di quelle generose generazioni, subentra la delusione e l’aperta comprensibile avversione. Accadrà a Foscolo e ai tanti patrioti e cospiratori italiani dopo il Trattato di Campoformio, accadrà a Beethoven che straccerà la dedica della Terza sinfonia quando il generale si farà incoronare imperatore, ed il brillante condottiero verrà identificato come l’artefice di un nuovo “cesarismo imperiale”, e si parlerà di dittatura bonapartista, di “nazionalismo imperiale”, di osceno nepotismo, di delirio tirannico. Anni più tardi i teorici del socialismo parleranno di “esito tirannico della rivoluzione”, affilando i pugnali repubblicani e le bombe anarchiche liberatrici dei novelli Bruti. 
Queste letture e quelle che verranno dopo, nell’eccitata temperie antiautoritaria sessantottesca, segneranno anche me. E mai potrò più liberarmi dell’immagine fastidiosa che ne aveva costruito uno dei suoi cantori, il pittore francese Jean Auguste Dominique Ingres, ritraendolo sul trono carico di scettro e avvolto nel suo mantello d’ermellino sfavillante d’oro. Ne aveva fatto una specie di Dio in terra, una divinità dal viso esangue e quasi femmineo. Mi chiedevo come il convinto difensore della Repubblica, l’abile condottiero dalle idee lungimiranti e innovative, avesse potuto così ingenuamente dimenticare quello che era capitato nel 1793 a Luigi XVI in Piazza della Rivoluzione.

J. A. D. Ingres
Napoleone I sul trono imperiale
1806

Roberto Pazzi, che come dice lui stesso nelle battute della breve intervista che chiude questa mia nota, al personaggio Napoleone pensava da tempo; vi pensava naturalmente come narratore, e come tale interessato a darcene una dimensione più quotidiana e familiare, più privata. A scavare nei recessi più intimi del suo eroe, nei suoi sogni e nei suoi fantasmi, ora che la parabola pubblica si è inesorabilmente compiuta e l’ozio forzato della traversata a bordo della Northumberland, che lo porterà a Sant’Elena, lo costringe ad un inquieto dormiveglia. Ed è quello che fa magistralmente Pazzi in questo romanzo Verso Sant’Elena, interpretando al meglio il suo ruolo di scrittore-demiurgo. È il 14 ottobre del 1816 e il viaggio dell’ex imperatore sta per avere termine: è l’ultima notte e l’alba lo depositerà sul suolo di quella rocciosa e sperduta isola atlantica dove sarà seppellito vivo e da cui dovrà uscire cadavere. Oltre mille sono gli inglesi sulla nave (segno che il generale fa ancora paura e si teme una qualche audacia sortita per liberarlo); ventisette invece i membri francesi della corte imperiale al suo seguito, anzi 28 con Eugénie. Ma chi è Eugénie? Eugénie è il fantasma più concreto del romanzo, concreto più della realtà stessa come lo diventano personaggi e luoghi quando gli scrittori li fissano eterni nella nostra immaginazione e nei nostri cuori, e finiscono per accompagnarci fedeli nelle nostre vite. Un fantasma uscito da un romanzo, un romanzo giovanile di Napoleone, a cui Pazzi ridona, questa volta con la sua immaginazione, una seconda vita. Nato da un sogno letterario del suo primo autore, Eugénie avrà il compito di vegliare sul sonno e sul sogno del suo creatore in questi momenti estremi; e come l’ombra benigna di un’eroina del mondo pagano, dovrà impedire che egli possa farsi del male. Dovrà impedire che la morte trionfi (il suicidio mediante veleno su cui medita il prigioniero); e, divenuta novella Antigone nel disegno di uno scrittore contemporaneo, simbolo di fedeltà e di umanità, sarà lei a ricondurre l’antico guerriero ad una dimensione umana e affettiva, com’era stato nel sogno letterario adolescenziale del suo creatore, allorché Clisson rinunciando alla gloria aveva abbracciato l’amore sconfiggendo thanatos.
Creatura impalpabile ed onirica, contrariamente alle figure storiche che hanno o tradito o deluso l’imperatore, Eugénie è mossa da sentimenti disinteressati, e dunque è la più vera. Ella non ha secondi fini, non dovrà trarre vantaggi neppure dalle cronache o dalla registrazione delle memorie, della consolazione e vicinanza elargite. E perciò può annotare sul libro di bordo di Napoleone con la più assoluta verità, tutto ciò che il sogno sta rivelando e tutto quanto sta avvenendo: parole, personaggi, luoghi, eventi della storia, dialoghi, incontri, affetti, riflessioni, e persino gli oggetti che hanno costituito una parte importante del vissuto dell’imperatore. Se il sogno è l’infinita ombra del vero come ha scritto Pascoli riecheggiando un pensiero di Pindaro, anche questa vicenda narrata da Pazzi, che quel verso ha posto ad ex ergo della quarta parte del romanzo, si muove in bilico fra verità storica e desiderabilità onirica. Un lungo sogno dentro cui è possibile fare affiorare il commosso ricordo dei figli e dei giochi innocenti di ogni padre, quello della madre, della sorella Paolina e così via, fino a rendercelo, questo impavido uomo d’armi, così vicino ed umano, tanto che siamo quasi portati a solidarizzare con lui contro i suoi carcerieri. 
E il sogno non si interromperà: una nebbia greve e immobile avvolge la nave da guerra e sembra non volere approdare, come se anche gli elementi della natura congiurassero contro lo sbarco e sul compiersi di quel destino. 
Eugénie continua a vegliare e lo esorta a non svegliarsi: “Sogna, sì, ma sogna con la stessa potenza con cui hai combattuto, così non arriveremo mai a Sant’Elena”.
E infatti lo sbarco non lo vedremo. Non è solo Napoleone perduto dentro un sogno, in un felice oblio, ma la nave intera che diviene “un’arca di sogni” e che addormentata va dolcemente “alla deriva”, una deriva benefica, umana, rassicurante, priva di guerre, di trionfi, di devastazioni, di crudeltà, di tradimenti. Una deriva fuori dalla crudeltà della storia dove c’è posto solo per gli innocenti giochi dei bambini, dove gli affetti di un padre e di un figlio si ricompongono, i distacchi si ricongiungono in una sorta di beatitudine eterna, come solo nei sogni è possibile.
“L’arte è il regno intermedio fra la realtà che frustra i desideri e la fantasia che li appaga” ha scritto Freud, e questa riflessione si attaglia con estrema verità al nuovo romanzo dello scrittore ferrarese.


La copertina del libro


CONVERSAZIONE SUL ROMANZO

Roberto Pazzi


Gaccione. Perché questo suo interesse per Napoleone e quando è cominciato?

Pazzi. Si perde nella memoria dell’infanzia questo interesse. Nel mio amore per gli eroi, come Alessandro Magno e Cesare. Napoleone dei moderni è quello che più evoca i condottieri antichi più famosi. Come loro era un geniale politico oltre che un grande condottiero. Diciamo che alla radice della mia narrativa c’è la nostalgia per l’epica e quindi per i poemi eroici, come l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide. Ho iniziato con un altro imperatore caduto, lo zar di Russia, in Cercando l’Imperatore. Del resto sappiamo che il romanzo moderno è il figlio spurio del poema classico. Come ci ha insegnato Lukacs. E poi Napoleone era quasi italiano, essendo nato in Corsica solo un anno dopo la cessione da parte di Genova alla Francia di quell’isola affacciata sulla Toscana.

Gaccione. Quando ha iniziato a pensare alla trama e ha ritenuto che la materia fosse ormai pronta per essere trasformata in romanzo?

Pazzi. La covavo da anni. E la figura di Napoleone all’isola di Sant’Elena era già presente in alcuni capitoli dei miei primi romanzi, La principessa e il drago e La malattia del tempo. Mi affascinano sempre i grandi vinti perché si umanizzano e diventano simili a noi, che eroi non siamo. Ma una poesia mi aveva folgorato da ragazzo su Napoleone, “Il 5 maggio” del Manzoni, soprattutto nella parte evocativa di Napoleone tentato di scrivere le memorie e incapace di farlo travolto dai ricordi e dal confronto col misero presente. Credo di aver scavato in quella emozione della mia prima lettura della poesia. Diciamo che è il Tempo che fa le opere, e il tempo mi aveva maturato per decenni la possibile rievocazione di quel Napoleone già visitato in qualche mia pagina.

Gaccione. Quanto tempo ha impiegato complessivamente per la stesura?

Pazzi. Due mesi circa, dal 25 novembre 2106 alla fine di gennaio del 2017. Come sempre quando scrivo è stato un flusso perenne che mi ha invaso e non mi ha lasciato più in pace fino a quando l’ho esaurito.

Gaccione. Quali sono stati i libri da lei consultati per la ricerca, a parte lo scritto giovanile di Napoleone?

Pazzi. Devo dire di aver letto nell’adolescenza diverse volte Il memoriale di Sant’Elena dettato a Emanuel Di Las Cases dall’Imperatore nel 1815, 1816. Un libro che fu un best seller dell’Ottocento, che mi pare abbia venduto milioni di copie. Ma anche le memorie del cameriere Louis Marchand che lo accompagnò a Sant’Elena e lo assistette in punto di morte e fu poi suo erede testamentario, mi colpirono molto. Durante la stesura alternavo la scrittura del romanzo, la mattina, e il pomeriggio lo dedicavo alla lettura di diverse monografie storiche su Napoleone, come il saggio di Emil Ludwig e il romanzo di Francesca Sanvitale, Il figlio dell’Impero. In tutto ho letto in quei due mesi, 15 opere su Napoleone, che mi sono state utilissime per la base storica della mia fantasia visionaria. Devo dire che questo romanzo mi ha fatto scoprire, una volta pubblicato, che esistono miriadi di persone che adorano questa figura storica e ne subiscono davvero il fascino. Forse sono come me innamorate dell’ultimo degli antichi e il primo dei moderni, perché Napoleone incarna davvero la reinvenzione di un personaggio della classicità, di rango cesareo, ma nello stesso tempo esprime l’uomo moderno figlio della rivoluzione francese che si fa da solo.

Roberto Pazzi
Verso Sant’Elena
Bompiani 2019
Pagg. 192  € 15,00