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martedì 23 aprile 2019

DIO ESISTE
di Angelo Gaccione

La copertina del libro

Scaramuzza se ne era occupato già nella conversazione tenuta il 29 maggio del 2017 alla Fondazione Corrente, e in quello stesso anno, “con opportuni adattamenti”, le 8 pagine della sua riflessione su ciò che resta di Dio, confluisce nel volume Incontri, sottotitolo Per una filosofia della cultura (Mimesis, pagg. 216 € 18,00).
Il ragionamento di Scaramuzza si avvita intorno ad una domanda-risposta che suona pressappoco così: esiste Dio nel nostro mondo? Certo che sì; c’è un ambito in cui Dio esiste “indubitabilmente” (Scaramuzza adopera questo avverbio) per tutti, per credenti e non credenti, quest’ambito è quello della cultura inteso nel suo senso più lato: musica, pittura, architettura, letteratura, rito, mito e così via. Tutte queste discipline, compreso le pratiche rituali e le costruzioni mitologiche, sono opera degli uomini, colti o meno colti poco importa. Quando diciamo “opera degli uomini” intendiamo dire che sono creazioni oggettive, effettuali, reali, nate da soggetti fisici concreti (gli uomini e le loro menti), e che si sostanziano nella loro esistenza mondana in “manufatti” materici (dipinti, templi, edifici, scritture), o in canti e preghiere che emettono un suono, un’armonia, un senso, e che di alcuni sensi altrettanto concreti sono espressione, come concreti sono gli strumenti adoperati per ottenere quel suono e quella armonia: corde vocali, spartiti, strumenti musicali, e concreti sono i sensi che li percepiscono. E lo stesso dicasi per le cerimonialità scenografiche, “teatrali”, che sempre accompagnano il rito, l’offerta al θεóς o ai θεοί.
Prima degli uomini non è esistito alcun dio e alcuna mente che lo potesse concepire o rappresentare. Quando la catastrofe nucleare o il dissesto climatico-ambientale cancellerà l’homo stupidus stupidus, anche Dio si estinguerà con esso, egli ne verrà annientato come ogni creazione umana.
Dio esiste perché esiste l’uomo che lo ha creato; esiste nell’idea ed esiste nelle opere che in ogni campo della creatività e del pensiero umano gli sono state tributate. Poiché Dio è una creazione umana uscita dalla mente dell’uomo, egli è tanto reale quanto lo sono la mente ed i sensi di colui che lo ha concepito; quanto lo sono le opere a lui riferite. Da questo punto di vista la nostra posizione integra e rafforza quella del filosofo Gabriele Scaramuzza. La rafforza perché estende la presenza di Dio nel mondo ben oltre l’ambito estetico-artistico della cultura.
Non c’è nulla di più drammaticamente concreto della paura e della morte per l’uomo; una paura comprensibilissima, umanissima. Come ebbi a scrivere in un testo dal titolo “Dèi e immortalità” apparso nel 2013 sul numero di maggio-giugno di “Odissea”, “Sin dalle sue origini (da quando cioè si è reso conto, ha preso coscienza attraverso la ragione e la constatazione empirica di essere mortale come qualsiasi altro elemento del mondo naturale) l’uomo si è trovato davanti a questa dismisura, a questo orrore della sparizione definitiva, della sua uscita definitiva dal mondo, dalla separazione dolorosa dai suoi affetti e dai suoi cari, dalla comunità dentro cui era integrato. Gli si è aperto davanti questo baratro e ne ha avuto paura. (…) Come accettare un destino così terribile? Come sopportare il peso tremendo di una separazione così ultimativa dai propri figli, dai visi più amati? (…) il Dio eterno e immortale avrebbe reso eterna e immortale l’anima di colui che lo aveva creato a sua immagine e somiglianza”.
Se l’uomo si è creato un Dio immortale per poter rimanere immortale; un luogo eterno per poter vivere in eterno; un luogo del risarcimento e della ricongiunzione; allora possiamo concludere che molto resta di Dio nel mondo. La sua essenza vi si è così pervicacemente radicata, da essere divenuta indipendente da tutto: ordini e apparati compresi.