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giovedì 18 aprile 2019

NOTRE DAME
di Jacopo Gardella


La vista delle fiamme che divampavano sul tetto della Cattedrale a molte persone ha provocato un moto di commozione, Non ha importanza cercarne le ragioni: la commozione era vera. Come scrive Angelo Gaccione: “il pianto mi ha serrato la gola mentre le fiamme cancellavano guglie e pennoni”. 
Ora che l’incendio è stato spento e la Cattedrale parzialmente salva e sicuramente restaurabile ci si può chiedere per quali ragioni si è rimasti tanto scossi e commossi. La Cattedrale riunisce in sé due valori: uno religioso ed uno architettonico. Entrambi costituiscono il valore storico del monumento. E in considerazione di entrambi questi valori lo sgomento e la commozione hanno scosso gli animi sia di credenti che di laici. Per i primi stava crollando il sacro luogo della loro fede religiosa, per i secondi l’esemplare monumento della loro passione estetica. Per entrambi, sia francesi che stranieri, si assisteva alla agonia di una testimonianza insigne ed unica della Storia Europea. Non occorre aggiungere altro per spiegare i motivi che giustificano la generale e universale commozione.
Universale è il termine giusto. La folla che pregava o che sommessamente cantava - ferma, immobile, ritta in piedi nella piazza vicina al fuoco -comprendeva persone cattoliche e anche di altre credenze, abitanti di Parigi e anche di altre città, cittadini di Francia e anche di altre nazioni. I telegrammi inviati al Presidente Macron arrivavano da tutte le parti del mondo, indipendentemente dalla appartenenza ad un credo piuttosto che ad un altro, ad un orientamento politico piuttosto che ad un altro, ad una cultura piuttosto che ad un’altra. Sarebbe inutile e quasi meschino domandarsi quale dei due valori, se quello religioso o quello architettonico, abbia più peso. 



In Notre Dame essi sono presenti entrambi con uguale intensità, con pari autorevolezza. L’edificio della Cattedrale li assomma in sé con la medesima dignità, con la esigenza di un medesimo rispetto, perché è stata costruita in un momento storico in cui entrambi quei valori si coniugavano e potenziavano a vicenda. In Europa la Chiesa allora trionfante concentrava in sé la massima energia spirituale e la massima cultura estetica; culto ed arte si equilibravano ed integravano in una unica manifestazione profonda, intensa, superiore: religione e architettura erano unite e complementari l’una dell’altra.
Lo stesso non si può dire oggi. La Chiesa è in gravi difficoltà, appare in palese declino, sta passando un momento di preoccupante incertezza. Ma anche l’arte in generale e la architettura in particolare sono prive di orizzonti, povere di idee, incapaci di esprimersi in modo comprensibile e convincente. Non vi è dubbio che quanti assistevano impotenti all’incendio avessero la consapevolezza, conscia od inconscia, di assistere al contemporaneo spegnersi di due testimonianze profondamente radicate nell’animo umano: il simbolo della Religione ed il monumento dell’Arte. Da questa consapevolezza nasceva la commozione della gente, muta nel dolore e assorta in un sommesso canto di preghiera. Davanti ai loro occhi stava morendo la concreta dimostrazione della passata e perduta unione tra Religione ed Arte: unione divenuta ormai rara, difficile da ricreare, faticosa da conservare.


Durante le concitate comunicazioni televisive che commentavano in ripresa diretta il divampare dell’incendio si sono udite domande inaspettate e quasi inopportune. Domande tuttavia non insulse perché problematiche e degne di riflessione. Da alcuni è stato chiesto perché tanto appassionato cordoglio per la Cattedrale di Parigi e non altrettanta angoscia per gli emigranti che annegano nel Mediterraneo? Perché tanta ansiosa attenzione per un monumento di pietra mentre per migliaia di ignote vite perdute nessun segno di solidarietà, nessuna azione di salvataggio coordinato a scala internazionale, nessuna offerta di aiuto e di asilo? La risposta a queste drammatiche domande, a queste interrogazioni velatamente accusatorie, si può trovare in due fatti concomitanti.
Anzitutto la tragedia dell’incendio si svolgeva sotto gli occhi di tutta Parigi, anzi di tutto il mondo: attonito, partecipe, ammutolito davanti allo schermo televisivo. Il naufragio degli emigranti al contrario avveniva lontano, ignorato, avvolto dal silenzio.
Secondariamente l’imminente crollo della Cattedrale equivaleva alla scomparsa definitiva della testimonianza storica lasciataci in eredità dalle migliaia di eccellenti capomastri che avevano dedicato tutta la loro vita alla realizzazione di un’opera unica e irripetibile. La morte di Notre Dame equivale alla morte di questi ignoti ma ammirevoli artigiani.


Impossibile decidere quale delle due tragedie meriti più profondo compianto, più sentita partecipazione. Inaccettabile dare ragione a chi è convinto di dover salvare la Cattedrale piuttosto che soccorrere i naufraghi; o viceversa. Sarebbe ingiusto condannare sbrigativamente chi sostiene l’una piuttosto che l’altra convinzione; entrambe sono rispettabili; entrambe appartengono alla personale ed intima coscienza di ogni uomo; entrambe, se scelte con onestà e sincerità d’animo, meritano rispetto e considerazione.
Se vi è una morale da trarre - come si usava alla fine di una fiaba - essa non è né consolatoria né tranquillizzante: di fronte alle grandi decisioni che ci impone la vita non è certo la Ragione lo strumento utile a cui possiamo ricorrere; è piuttosto la presenza di un sentire profondo e di una forte determinazione che nasce dalla nostra intima coscienza. Nei momenti cruciali della vita poco aiuto ci danno le facoltà razionali; l’ultima e definitiva soluzione possiamo piuttosto trovarla nelle nostre innate doti esistenziali.