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martedì 14 maggio 2019

La coerenza di Salvini (racconto breve)
di Cataldo Russo

Salvini

Quando Salvini a fine dello spoglio si rese conto d’avere sorpassato il cavaliere, stappò dieci bottiglie di Lambrusco, poi emise un urlo alla Tarzan e disse senza infingimenti e con orgoglio: “Adesso cannibalizzerò il ventre molle del vecchio cavaliere e grande nano. Si sa che l’alleanza è stata un puro paravento che doveva servire per aver voti dal popolo incazzato, abituato a urlare e ricalcitrare ma a non far niente, perché basta una promessa per tenerlo buono.”
Questa dichiarazione fatta a caldo fece perdere la parola al Cavaliere che non aveva per niente metabolizzato il sorpasso del nipote ingrato, che non rispettava nemmeno la canizie della sua testa, né l’età anagrafica e i malanni che aveva avuto negli ultimi dieci anni con grande prodigalità del buon Signore.
“Perché cazzo dovevo rispettare la sua canizie” rispose incazzato come un cane al giornalista che poneva in risalto la sua irriverenza e ingratitudine, “se non ha l’ombra di un capello che appare naturale, e tutto quell’asfalto che si porta in testa è stato allevato e anche cresciuto in un laboratorio dell’opulenta Svizzera Arcorana. Dov’è la sua canizie, ditemi voi? Dov’è, vi chiedo e vi richiedo, la sua saggezza che gli anni dovrebbero lasciare in grande dote?
Le stesse promesse che aveva fatto in altri appuntamenti elettorali ha reiterato di sana pianta anche di questi tempi di ottundimento e di confusione mentale del popolo italiano. E se ieri aveva promesso milioni di posti di lavoro, or se la tira con la flat tax e le pensioni minime a mille euro, che vivere ci farebbero da nababbi nei paesi tropicali fra piante di papaya e di zibibbo.”
“Ma è anche nel vostro programma, Santo Iddio! Non può tirarsi fuori” rispose scandalizzato il giornalista.
“Nel mio programma ci sono soltanto tre cose, caro lei: denigrare i migranti e farne lupi, dare le colpe di tutte le disfunzioni che ci sono in Italia a quel Sud che dall’Unità in poi ha la vocazione al martirio, e cannibalizzare la Fornero che tutti vorrebbero vedere divorata dai vermi e dalle iene.”  
“E con la Meloni come la mettiamo, che della destra ha il marchio e l’esclusiva e i cui miliziani son così pronti a scendere in strada a menar le mani e pure il manganello?” chiese ancora il giornalista ringalluzzito, convinto di far finire in contraddizione il Matteo tutto verve, che dell’Umberto aveva ereditato il “celoduro”.
“Come la mettiamo?! Lei mi sta chiedendo come la mettiamo? Son tanti francamente i modi e le maniere di metterla, ma poiché ora che le istituzioni mi dovranno consacrare a capo del governo, per una questione di aplomb e buone maniere, dico che ella si trova, ahimè - ma non ne son dispiaciuto - come la bulogna fra la fetta di pane duro della Lega e quella molle del cavalier di Arcore, che quando vede una coscia perde il lume e si sbava addosso come una lumaca.”
“Che cosa pensa, lei, degli italiani” gli chiese una giornalista con una minigonna inesistente che il pover’uomo voleva far arrapare.   
“Che cosa penso degli italiani? Lei pensa che io sia in grado di pensare? Mi scusi il pasticcio di parole! Ma allora è proprio una inguaribile ottimista. Io parlo, ma non penso, perché se pensassi sarei come la intellighenzia di sinistra che più cerca di fare discorsi altisonanti e di spiegar le cose, più va in confusione e non si fa capire.
Io sono un istintivo, un primordiale. Io parlo e dico quella che mi passa per la mente. È questo che la gente apprezza in me e per questo mi consegna senza indugio le chiavi del paese e del Parlamento. Inoltre, questa campagna elettorale è stata più una gara su chi sapeva condire al meglio la bugia e le boutade, e in questo credo di essermi distinto e meritato il posto d’onore che dovrò coprire.”
Perciò, sarò io il leader dell’alleanza, voglia o non voglia il puttaniere pentito o il Di Maio che dei voti presi in quel Sud che andrebbe sprofondato si fa onore e vanto. Possa strusciare il culo sui fichi d’india il cavaliere e poi farsi togliere le spine a una a una dalla Pascale che viene da quel mondo campano che il consenso ha dato generosamente a quel niente che è il Di Maio, il chierichetto del marpione Grillo.”
“Gli italiani si sa, a volte sbagliano. Non hanno la memoria poi sì lunga, e non hanno neanche dimestichezza con l’etimologia delle parole, se lei, signor Salvini, hanno scambiato per balsamo salvifico di tutti i mali di cui siamo affetti” disse un brillante comico, uno di quelli che la sinistra alleva e al pubblico spaccia come intelligenti.
“Il popolo non sbaglia mai, caro giullare, e io sono entrambe le cose. Sono Salvini perché questo è il nome della mia famiglia e dei miei avi, ma sono anche salvifico per le accattivanti ricette che so proporre per aver consenso.”
“Come spiega il successo che ha ottenuto anche in quel Sud che volevate staccare dall’Italia e fare sprofondare dentro il mare?” gli chiese un’altra giornalista di regime.
“Non sono io che devo spiegarlo. Io capitalizzo e porto a casa. Sono gli altri che dovranno farsene una ragione, e che basta promettere di abolire la Fornero e di rimandare a calci in culo i negher da dove son venuti, per avere valanghe di consensi. Comunque, voglio essere più chiaro sul consenso che mi ha attribuito il popolo sovrano e dire che non è certo strano che il marito si tagli l’attributo credendo di fare dispetto alla moglie che non lo sta a cagare.  Ora, questo governo noi faremo, poi con calma decideremo se i bingo bongo ci convien tenere o se a casa loro li dovrem mandare. In quanto all’uscita dall’Europa ci penseremo, ma la decisione posporremo ad altra legislatura e altre maggioranze e noi continueremo a cavalcare il tema dei migranti, della Fornero e dell’identità della razza, certi di avere sempre più consenso. La questione non è risolvere i problemi, perché sarebbe come seppellire il morto e dimenticare tutto e tutti dopo la rielaborazione del lutto, ma tenersi il morto dentro casa e posporne la sepoltura sine die.”