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martedì 21 maggio 2019

Taccuino
SAN BERNARDINO ALLE MONACHE
di Angelo Gaccione

San Bernardino alle Monache

Da fuori è poco visibile, schiacciata com’è dalla stazza del Liceo Manzoni che ne ingloba anche una parte del giardino. Le fronde degli alberi fanno il resto, sicché non mi è stato possibile fotografarla frontalmente, tutte le volte che ho imboccato via del Torchio per venire a vederla in via Lanzone. Più di frequente però preferisco percorrere la via Cesare Correnti e svoltare sulla via Caminadella per una serie di ragioni sentimentali ed affettive. Perché al numero 15 c’è la casa dove Giuseppe Verdi abitò da giovane appena arrivato a Milano, e perché nel segmento di via Gian Giacomo Mora ha abitato una persona che mi ha voluto bene: lo psichiatra, pittore, saggista e letterato Filippo Noto Campanella, collaboratore che “Odissea” ha perduto troppo presto.


Fuga in Egitto

Mi piace svoltare su via Caminadella per trovarmi di fronte il mastodontico palazzo che occupa da solo quasi tutta la via Orazio, al numero 4; scorre lungo buona parte delle vie Novati e Caminadella per affacciarsi col suo enorme portale su via Lanzone da Corte, il Capitano milanese dell’ XI secolo. Ci sono, lungo questa via, palazzi curiosi e singolari, come Casa Volonteri (1906), realizzata dall’architetto Sommaruga e che ospita l’ordine dei medici chirurghi e odontoiatri. C’è quel che fu il mitico Cinema-Teatro Gnomo (al n. 30/A) dove non si vedevano solo film “di spessore”, come si diceva con una punta di civetteria, ma spettacoli teatrali di forte impegno morale e civile, e, soprattutto, al numero 53 c’è il palazzo dove abitò Petrarca dal 1353 al 1358, ora inglobato nell’edificio delle Orsoline. È proprio di fronte a Santa Maria delle Grazie, e non trascuro mai, quando intraprendo le mie “esplorazioni” della città, di sostarvi davanti.  

Gli affreschi

San Bernardino alle Monache: l’hanno battezzata così per distinguerla da San Bernardino alle Ossa, quella al Verziere, in piazza Santo Stefano, proprio accanto all’omonima chiesa, nota ai milanesi per il suo ossario. Le pareti sono fittamente ricolme di crani, tibie, femori, ecc., custoditi dietro grate che hanno finito per rivestire una funzione di tipo decorativo più che funzionare da monito. La curiosità divertita del visitatore, bada poco alla locuzione latina del memento mori che la Controriforma farà assurgere a simbolo della sua austera visione della vita e che la pittura si incaricherà di raffigurare quasi sempre con un teschio o uno scheletro. Insomma, il motto pulvis es et in pulverem reverteris, sembra avere poca presa in un’epoca che ha fatto della mitologia del corpo e dell’eterna giovinezza, la sua mistica pagana tutta terrena. Molti sono ancora convinti che quei resti appartengano ai cadaveri della peste raccontata dal Manzoni, ma è una credenza fallace. È verissimo, invece, che le due chiese siano state dedicate a Bernardino da Siena che a Milano era venuto più volte: ma chi non è venuto a Milano? E nella lunetta sopra il portale il frate è infatti raffigurato con l’inseparabile cristogramma.  

Madonna con Bambino
  
Quel che resta di San Bernardino alle Monache, a parte la sua delicata facciata (il cotto conserva il suo fascino antico, e più passa il tempo più ne acquista) e il campanile, sono lacerti di affreschi realizzati tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento. Pare che in origine fosse stata tutta affrescata, ora i dipinti sopravvissuti sono concentrati tutti verso l’altare, sulle vele dell’abside, sulle pareti del presbiterio, sull’arcone. Il restauro li ha recuperati al meglio (la Natività, l’Annunciazione, la Fuga in Egitto, una Madonna che allatta al seno il Bambino…) e ammirarli mentre si ascolta della musica antica è una gioia per i sensi e per gli occhi. Ho passato quasi una intera estate in questa chiesetta ad unica navata; ci sono venuto anche in serate in cui non si muoveva una foglia e con un caldo torrido opprimente. Imperterrito non ha saltato un solo concerto anche il filosofo Salvatore Natoli; l’ho visto per un certo periodo arrivare persino sorretto ad un bastone. Ci salutavamo stringendoci ogni volta la mano, prima di affondare nel raccoglimento di questa piccola chiesa, cercando con lo sguardo gli affreschi, mentre le note si spandevano nel silenzio e giungevano al cuore.