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giovedì 20 giugno 2019

IL FINE DELLA POLITICA
di Fulvio Papi

La copertina del libro

 
Discutendo il nuovo libro di Salvatore Natoli, Papi mette in luce una serie di aspetti che riteniamo utili per un dibattito più articolato e a più voci. Queste pagine sono a disposizione.

Salvatore Natoli è un ottimo filosofo, se non sbaglio di ascendenza cristiana, frequentatore assiduo e intelligente dei nodi fondamentali della filosofia contemporanea che lo hanno condotto a uno stile intellettuale che ha affrontato le più importanti verità della vita contemporanea, senza cadere in manierismi che sembrano preziosi, ma sono artifici verbali non privi di una loro abilità. L’ultimo suo libro è Il fine della politica. Dalla teologia del regno” al “governo della contingenza” (Ed. Bollati Boringhieri, pagg. 128, € 15,00). La sua conoscenza delle tradizioni più antiche è invidiabile, ma ora le lascerò in ombra. La “teologia del regno” in sintesi, nella mia formazione teoretica, è consegnata al celebre libro di Loewit che a suo tempo mostrava come l’escatologia ebraico-cristiana rinascesse in un umanesimo dialettico proiettato all’avvenire come avveniva nello stesso Marx. Alla ripresa di questo tema farei notare che il pensatore di Treviri non ha mai disegnato la società dell’avvenire se non in quella ben nota paginetta della Ideologia tedesca che oggi la filologia attribuisce a Engels più aperto alle suggestioni dei temi fantasiosi di Fourier. 


Salvatore Natoli
Ora discuterò liberamente con l’amico Natoli. Il tema della contingenza, detta così, mi sembra troppo generico. Con la parola “contingenza” si cade ancora in una prigionia filosofica, dato che in concreto può essere adoperata per indicare processi storici molto differenti: le nazionalizzazioni del governo laburista inglese dopo il 1945, lo sterminio di Stalin dei “contadini ricchi” o la contestata riforma keynesiana del New Deal negli Stati Uniti. Il problema dell’intellezione è sempre dato dalle contingenze che costituiscono ogni volta una trama che apre, senza alcuna pregiudiziale certezza, verso le possibilità dell’avvenire. Ora tanto per non nascondermi sotto le generalizzazioni filosofiche (talora educative), dirò che la nostra contingenza globalizzata nell’intrico economico-finanziario, tecnologico, ecologico, demografico e politico, ha in sé la possibilità di una catastrofe antropologica senza precedenti.
Ed ora, nei miei limiti, discuterò alcune tesi di Natoli. “D’altra parte - egli scrive- cosa mai sarebbe il potere se non governare la vita?”. Direi che esso governa la vita nel modo utile per riprodurre se stesso, il che mostra la necessaria violenza della “ideologizzazione” come dice perfettamente Natoli. Quanto alla (metaforica) dimenticanza del peccato originale (Baudelaire) credo che la dimenticanza fosse del Papa come dell’Imperatore nel Medio Evo. È una brillante metafora per individuare a rovescio la famosa immensa torre parigina Eiffel (che Proust ignora) in concomitanza con la parallela euforica e borghese condizione di vita. Natoli ci dice: “l’uomo moderno ha sottovalutato la sua fallibilità e si è detto signore della storia”. Mi domando quale uomo e quale storia: per esempio la storia genocida degli USA, quella orrenda del nazismo, l’incremento del famoso PIL ecc. ecc.
Natoli: “il marxismo svela il segreto della storia, vede nel capitalismo il male assoluto”; questa è la visione del famoso libretto del ’47, poi Marx (Il Capitale voll. I, II, III) studia la struttura del capitale (addio Hegel) e Lenin instaura la “nuova politica economica”.
Natoli: “I media oggi sono epidermici e di qui una facile sollecitazione del desiderio e una altrettanto facile manipolazione delle rabbie sociali”. Perfetto: ma anche un compiacimento della propria identità nei ludi sociali. Ha ragione Foucault nel parlare di una “microfisica del potere”: è la caratteristica di una società complessa, il contadino della società idraulica e imperiale cinese incarna da solo il potere. La “biopolitica” è una metafora meno felice: pensate al contadino europeo della modernità, e la società castale indiana che cosa è? Natoli: “È ormai noto e studiato che la digitalizzazione, la Rete […] abbiano modificato gli schemi cognitivi”. Perfetto. Tuttavia aggiungo: hanno provocato un volgare individualismo che ha reso “formale” le regole di una democrazia compiuta, alla cui ombra è possibile qualsiasi demagogia.
Natoli: “state attenti ai robot”. Perfetto. Tuttavia il problema va visto nel rapporto tra capitale fisso e variabile. Tutto il lavoro diviene capitale fisso. A chi spetta il salario? E dal punto di vista demografico? E l’investimento della ricchezza? E l’occupazione?
Natoli: “La scienza non può prevedere”. Quale pratica scientifica? In quale contesto? Con quali poteri? La scienza “aristotelica” si occupa di Marte, quella sociale (con eccezioni) è inserita nell’apparato produttivo. “Il bene comune” diventa sempre più piccolo ed è, per lo più, la pubblicità del potere o, meglio, dei poteri.
Natoli: “l’antinomia tra pensiero ingenuo e complesso”. “Pensiero” nasce come “racconto”. Il modello classico della democrazia richiedeva, anche nella sua semplicità, un pensiero complesso. Oggi i poteri richiedono (!) un pensiero puerile che è la trama della politica.
Natoli: “La politica ha oggi, davanti a sé, un tempo senza fine”. Perfetto: poiché il tempo senza fine è l’assoluto presente. Avremo (se va bene) gli uomini dell’assoluto presente: bambini tecnologici. Direi anch’io molto volentieri: libera nos a malo. Ma non so a chi mi rivolgo. Nel nostro caso forse è così. Agli altri la risposta è il silenzio, magari noi un poco impauriti per le nuvole all’orizzonte.