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domenica 2 giugno 2019

La poesia
TESTAMENTO
di Nicolino Longo



In vista del capolinea della vita: che più sole e suole
ai miei passi non dava. E già a calci preso
persin da me stesso,
io mi recai alla discarica del tempo
per avere in resto qualche scampolo d’anni
del rottamato mio presente.

Ma nulla ottenni se non in resto altri calci.

Ma pur se in resto altri calci, e ormai cane
al guinzaglio di se stesso, e abbaiantesi dentro,
io per te salirò, finché cielo avrò su di me.

Traccerò strade, su cui con passi andrai sempre
di carta ed inchiostro. E un dì,
quando mi chiederai se un domani fummo insieme,
io ti risponderò, che già lo fummo fra cent’anni.
E che il futuro, sempre spunta dal passato.

Seguiterò a guardare, con lacrime e non occhi,
scheletri fuggire innanzi a vivi che ne bevvero
il sangue. E che mangiarne anche, ora vorrebbero l’ossa.

E,
poiché, esser guardato in faccia dopo morto,
è cosa ch’io da vivo non sopporto,
seguiterò anche a sperare
di poter morire un giorno innanzi alla mia tomba,
da cui scenderò a prendermi
per infin seppellirmi accanto a me stesso
(quel me stesso già in loculo da tempo
che ucciso fu dalla vita e non già dalla morte).

A te solo l’incombenza, di starmi vicina da lontano.

E quando, a volte, a bordo del treno dei tuoi pensieri
(di cui pur da morto sarò binario e pantografo),
tu mi passerai davanti, ti prego, non bloccarti,
(potresti deragliare e finirmi addosso). Prosegui pure.
Fa come se io fossi una stazione disabilitata
(e, che la tua bellezza    
mi straripi ancora, e per sempre
negli occhi, all’altezza del cuore).

Penserò io, a com’esserti poi accanto.
A com’essere motrice, in testa ancora ai tuoi vagoni.
Per l’attraversamento al buio d’ogni galleria.

Per il rispetto
d’ogni semaforo rosso. L’elusione d’ogni binario morto.