Pagine

mercoledì 5 giugno 2019

Taccuino
LA SALA CAPITOLARE 
In Santa Maria Della Passione
di Angelo Gaccione

Veduta della Sala Capitolare

Chissà se Edith Wharton avesse visto la Sala Capitolare del Bergognone quando ebbe a scrivere entusiasta che “Neppure a un’occhiata veloce Milano può sembrare poco interessante”. Forse non l’aveva vista neppure Piovene che ci parla di Milano con un affetto singolare e senza mezze misure scrive che “Milano è bella”; e se lo dice lui che era nato nella bellissima Vicenza, possiamo credergli. Ma si sa, i veri innamorati di Milano sono i non-milanesi. Non sappiamo se la Wharton fosse entrata nella basilica di Santa Maria della Passione in via Conservatorio, la seconda chiesa più grande di Milano dopo il Duomo. Per anni ero stato convinto che fosse San Marco, la chiesa del quartiere di Brera, quella più grande dopo il Duomo: non si finisce mai di imparare. Wharton era statunitense e se non vi è entrata è scusabile; imperdonabili sono i milanesi che ignorano questo gioiello: speriamo che la finanza non abbia corrotto definitivamente l’anima dei suoi abitanti. Io che la giro in lungo e in largo potrei raccontarvi delle incurie più scandalose e del più assurdo degrado, così come delle sue celate meraviglie e dei suoi tesori più stupefacenti. 


Uno di questi tesori è la Sala Capitolare. Se stiamo al nome che la connota vi si doveva riunire il Collegio dei canonici, il Capitolo. Un gruppo di uomini di chiesa selezionati e di robuste capacità dottrinali. Dei veri privilegiati sul piano dell’autorità morale, ed erano loro ad avere “voce in Capitolo” su questioni complesse. Ma pare che questa Sala funzionasse anche come luogo di lettura, e che i meravigliosi affreschi e dipinti che la adornano, con la figura del Cristo al centro della scena che regge un cartiglio su cui si legge il motto Diligite invicem e con quelle degli apostoli disposte ai suoi due lati, costituissero indubbiamente una presenza forte, una guida sicura, per la fede e le opere. Bellissime le grottesche presenti nelle vele e bella la volta dove splende un cielo stellato.
Sia la figura del Cristo, che quelle degli apostoli, sono riprodotte ad altezza naturale; i colori sono vivaci e luminosi, i corpi ed i volti realizzati con intenso realismo. E se anche l’atteggiamento privilegia una postura introspettiva e ieratica, non c’è dubbio che ci troviamo oramai al di là di quella soglia espressiva e stilistica che trova nel realismo lombardo e nel rinascimento, la sua compiuta maturità. 


A chi si deve questo capolavoro pittorico che come gli splendidi affreschi di San Maurizio al Monastero Maggiore rappresentano una delle eccellenze della nostra città? Le fonti ne assegnano il merito ad Ambrogio da Fossano e alla sua bottega. E allora sia lode al Bergognone, con questo curioso nomignolo è più noto nella storia dell’arte. Bergognonis si era firmato lui stesso in occasione di alcuni lavori eseguiti a Milano e a Lodi, se lo era dunque auto-attribuito, facendo scervellare gli studiosi. E sia lode a quanti giungeranno in via Bellini, accanto al Conservatorio “Giuseppe Verdi”, e entrando in Santa Maria della Passione, dopo essersi lasciati incantare  dall’Ultima Cena di Gaudenzio Ferrari e dalla Deposizione di Bernardino Luini, andranno a sostare nella quattrocentesca Sala Capitolare del Bergognone, davanti al Cristo, ai suoi apostoli, ai suoi santi.