di Alessandro Pascolini*
Il
periglioso cammino del Trattato di non proliferazione
verso i suoi 50 anni.
verso i suoi 50 anni.
Padova. Il Trattato contro la proliferazione delle armi nucleari (NPT)
è uno degli strumenti legali internazionali fondamentali per l’ordine e la
sicurezza globali. Entrato in vigore 5 marzo del 1970, è quasi universale, mancando
l’adesione di soli 5 paesi: Corea del Nord, India, Israele, Pakistan e Sud
Sudan. Il trattato affronta globalmente le problematiche dell’energia nucleare
e fissa i termini di un triplice “contratto” fra non-proliferazione, promozione
delle applicazioni nucleari pacifiche e disarmo nucleare.
L’NPT
ammette una disparità di diritti e doveri fra le parti: da un lato i Nuclear-weapons states (NWS), ossia
Cina, Francia, Russia, UK, e USA, e dall’altro i rimanenti paesi (Non-nuclear-weapon states - NNWS); tale
discriminazione è solo temporanea, prevedendo l’NPT il raggiungimento del
disarmo nucleare, ma di fatto si sta perpetuando nel tempo e costituisce la
causa principale delle difficoltà del trattato stesso.
Ogni
cinque anni l’NPT prevede una conferenza di revisione per “esaminare
il funzionamento del Trattato al fine di accertare se le finalità del suo
Preambolo e le sue disposizioni si stiano realizzando”. Di fatto le conferenze di revisione sono
sempre state
caratterizzate dallo scontro tra NWS e NNWS, i primi insistendo su condizioni
più strette e maggiori garanzie di non proliferazione, i secondi ricordando gli
obblighi riguardo il disarmo nucleare: per i primi non può esserci disarmo
senza prevenzione della proliferazione, per i secondi la lotta alla
proliferazione viene solo assieme al disarmo. Nel corso degli anni l’attenzione
allo sviluppo civile dell’energia nucleare è andata perdendo rilevanza e l’NPT
è essenzialmente visto come bilancia fra disarmo e non-proliferazione.
Poiché
in queste conferenze ogni decisione, compresa l’agenda dei lavori, richiede
l’unanimità di consensi, non sempre è possibile l’adozione di un documento
finale, specie in occasione di gravi tensioni politiche. La conferenza del 2015
ha visto molteplici insanabili contrapposizioni e irriducibili posizioni sulla
maggioranza dei punti in esame e si è conclusa senza un documento finale; anche
per questo diventa particolarmente cruciale la prossima conferenza, che si
svolgerà nel maggio 2020 e dovrebbe celebrare i 50 anni del trattato.
In
preparazione alla conferenza si sono svolti tre comitati preparatori, l’ultimo
(PrepCom III) durante lo scorso maggio, con la partecipazione di 150 dei 191
paesi membri e di numerosi osservatori dalla società civile. Il PrepCom III avrebbe
dovuto produrre un rapporto condiviso con raccomandazioni per la conferenza del
2020, ma, pur senza raggiungere i livelli di scontro del 2015, non si è trovato
un accordo per sostanziali suggerimenti, che possano costituire il punto di
partenza per i lavori della conferenza sui principali argomenti discussi.
La
prima bozza di rapporto è stata giudicata dalla maggioranza dei paesi
inadeguata, formalistica e silente sui punti cruciali; una seconda bozza
predisposta dal presidente del comitato, l’ambasciatore malese Syed Hussin, con
i suggerimenti e le correzioni dei vari membri particolarmente incisivi sui
temi del disarmo, ha trovato l’opposizione decisa dei NWS e di paesi
occidentali; l’ambasciatore Hussin ha quindi deciso di presentare la seconda bozza
delle “Raccomandazioni alla Conferenza del 2020” come personale documento di
lavoro.
I
lavori e il clima generale hanno risentito gravemente dei recenti sviluppi negativi:
i nuovi programmi nucleari di tutti i paesi con armi nucleari, la cessazione
del trattato sui missili a gittata intermedia (INF, ttps://ilbolive.unipd.it/it/news/corsa-armamenti-conseguenze-ritiro-usa-INF), i rischi cui è esposta
l’estensione del trattato New START, il ritiro unilaterale americano
dall’accordo JCPOA sul programma nucleare iraniano con l’inasprimento del
contrasto fra USA e Iran e lo stallo sul problema delle armi nucleari della
Corea del Nord.
Il
PrepCom III ha visto incancrenirsi le contrapposizioni già emerse nella
conferenza di revisione del 2015 e nuovi scismi e contrasti all’interno di
organizzazioni e alleanze. La questione cruciale sono le prospettive per il
disarmo nucleare, imposto dall’articolo VI dell’NPT, che non ha visto alcun
sviluppo negli ultimi 10 anni: la storica contrapposizione fra NWS e NNWS si è
riproposta e rafforzata nei nuovi termini legati al trattato sulla proibizione
delle armi nucleari (TPNW,
https://ilbolive.unipd.it/it/blog-page/bando-armi-nucleari-trattato-tpnw-proibizione) definito nel 2017; il TPNW non è ancora in vigore, ma è
sostenuto da 120 paesi e avversato dai NWS e da loro alleati e nel PrepCom III
questa dicotomia si è duramente riproposta, con divisioni anche all’interno
dell’Unione europea, della Collective
Security Treaty Organization e di altri raggruppamenti continentali o formatisi sulla base di specifiche iniziative di
disarmo.
Anche
gli NWS sono giunti con proposte divergenti sull’approccio al disarmo; nel loro
incontro di Pechino di gennaio non sono riusciti a redigere un documento comune
per il PrepCom III e durante i lavori in più occasioni si sono scambiati accuse
e attacchi sui vari contenziosi aperti. Con vari distinguo, Cina, Francia e Gran
Bretagna rimangono legate a un approccio al disarmo nucleare basato su passi successivi
e sul rispetto degli impegni presi in occasione delle conferenze di revisione
del 2000 e del 2010 (atteggiamento sostenuto anche dall’Unione Europea).
La
Russia ha ribadito che le armi nucleari le sono necessarie per rispondere a
specifiche minacce esterne, che occorre legare il disarmo nucleare a un
“disarmo generale e completo”, in un approccio “realistico e pragmatico” basato
sul principio di una “sicurezza indivisibile”, minacciata da fattori
destabilizzanti dovuti essenzialmente ad azioni americane, in particolare alla
politica della “dissuasione estesa”, e a sviluppi di nuove armi convenzionali;
comunque per la Russia sono controproducenti i tentativi di forzare i NWS alla
rinuncia incondizionata delle proprie forze nucleari senza considerare le
realtà strategiche e i legittimi interessi di sicurezza (condannando così
l’approccio umanitario e il TPNW).
Gli
stati Uniti hanno presentato una proposta che rovescia l’approccio finora
sostenuto nelle conferenze precedenti e in varie sedi diplomatiche, rifiutando
un processo a passi successivi ben definiti e incrementali verso il disarmo in
favore della “creazione di un ambiente per il disarmo nucleare” (CEND), ossia la
costituzione di un gruppo di lavoro internazionale per affrontare le
“motivazioni fondamentali di sicurezza che hanno reso necessaria la deterrenza
nucleare per prevenire un conflitto fra le maggiori potenze e mantenere la
stabilità globale”. Una volta comprese queste motivazioni diventa possibile
capire le cause che hanno impedito progressi verso il disarmo e quindi agire
per creare le condizioni che lo possano favorire: “con la promozione
dell’iniziativa CEND, gli Stati Uniti mirano a superare il presente dialogo
improduttivo per costruire un ambiente di sicurezza globale più stabile e
aprire nuove vie per un reale progresso di disarmo”.
Va
osservato che la CEND, dopo laboriosi decenni di sostegno a misure
pratiche, rappresenta una enorme distrazione dallo sforzo di raggiungere
progressi misurabili nella realizzazione degli impegni di disarmo concordati da
tutte le parti del TNP e definiti nel 2000 e 2010. Con la sua implicazione che
poco possa essere fatto in termini di progresso di disarmo fino a quando non
sia soddisfatto un ampio spettro di condizioni (ancora da individuare),
l’iniziativa CEND è una fuga in avanti disconnessa da un reale processo di
disarmo e rischia di ridursi a un esercizio di chiacchiere su come si possa
realizzare un mondo futuro privo di conflitti. Di fatto la proposta
americana non ha trovato seguito neppure fra gli alleati, rimasti fedeli al
processo a passi incrementali, anche se si può prevedere che numerosi
parteciperanno alle riunioni CEND lanciate dagli USA.
Gli
USA si sono trovati soli anche nella condanna dell’accordo JCPOA, difeso dagli
altri firmatari, dai raggruppamenti di stati e in singoli interventi e ripreso
nelle raccomandazioni del presidente. Ulteriore terreno di scontro il problema
della creazione di una zona priva di armi nucleari in Medio Oriente, condizione
imposta dai paesi arabi nel 1995 per l’estensione indefinita dell’NPT, ribadita
in tutte le conferenze di revisione e per cui nel 2010 era stata fissata una
conferenza preparatoria, mai convenuta per i contrasti fra Israele (col
sostegno americano) ed Egitto; ora in sede ONU è ripartita l’iniziativa per una
conferenza da tenersi entro il 2019 e durante il PrepCom III gli USA hanno
espresso la loro contrarietà e alcuni paesi occidentali hanno insistito per la
partecipazione paritaria di tutti i paesi della regione, Israele inclusa.
Argomenti
su cui vi è stato pieno consenso sono l’importanza di programmi di educazione
al disarmo e al contrasto alla proliferazione e la necessità di un equilibrio
di genere su queste tematiche, con un maggiore coinvolgimento di donne in tutti
i processi decisionali che riguardino disarmo, pace e sicurezza internazionale.
Purtroppo
le ampie divergenze e duri contrasti sui problemi critici della sicurezza
internazionale e il disarmo rendono estremamente deboli le prospettive di una
proficua conferenza di revisione nel 2020, affidata al diplomatico argentino
Rafael Grossi, e la stessa sopravvivenza dell’NPT è esposta a gravi rischi se
non migliorerà il clima internazionale e non si attenueranno le continue provocazioni
politiche e militari in troppi contesti internazionali.
*Università di Padova