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domenica 21 luglio 2019

MILANO RICORDA
di Guido Fogacci*

Il cippo (Foto: Odissea)

Venerdì 19 luglio 2019, come avviene oramai da diversi anni, la Milano che non dimentica si è riunita in via Benedetto Marcello davanti ai Giardini Falcone-Borsellino. Qui c'è una bella magnolia, c'è la fotografia dei due magistrati, ci sono i nomi dei caduti della scorta incisi a futura memoria su un cippo. Sono intervenuti Lucilla Andreucci di “Libera”, Nando dalla Chiesa, il procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia Alessandra Dolci, Michela Ledi, Angela Portosi, Rosy Tallarita, il sindaco di Milano Sala, il maestro Raffaele Kohler (che ha riempito i momenti musicali alla tromba) e Guido Fogacci che ha coordinato il tutto e ha letto il documento introduttivo che ospitiamo.


Il cippo (Foto: Odissea)

Oggi   commemoriamo le vittime della strage di via D’Amelio, che segue di soli 56 giorni quella di Capaci dove, il 23 maggio 1992, vengono uccisi il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
In questi minuti prima delle 16.58, quando suonerà la sirena, vi inviterei a ripercorrere alcuni fatti da ricordare della vita di Paolo Borsellino nei giorni che precedettero la sua morte. Fatti ancor più significativi alla luce delle sue dichiarazioni alla commissione parlamentare antimafia, rese pubbliche nei giorni scorsi, in cui denunciava lo stato di solitudine a abbandono nel quale i giudici di Palermo si trovavano a lottare contro la mafia.

25 giugno 1992: Paolo Borsellino, in un incontro pubblico, dichiara: “In questo momento, oltre che un magistrato, sono un testimone e attendo di essere sentito sulla Strage di Capaci dai colleghi di Caltanissetta”.
Borsellino non sarà mai ascoltato come testimone.

28 giugno: nell’aeroporto di Fiumicino, quasi per caso, Paolo Borsellino viene a sapere che il suo capo Pietro Giammanco non l’ha avvisato che il tritolo per lui era già arrivato in Sicilia.
Racconterà la vedova Agnese: “Paolo perse le staffe, tanto da farsi male a una delle mani che, mi disse, batté violentemente sul tavolo del procuratore”.

Fine giugno: Paolo Borsellino piange davanti a due giovani pm, Massimo Russo e Alessandro Camassa mentre dice a loro: “Un amico mi ha tradito”.

1° luglio: Paolo Borsellino è a Roma, nella sede della Dia per interrogare, in tutta segretezza, Gaspare Mutolo, ex boss che decide di pentirsi dopo la strage di Capaci e che si fida soltanto di lui. Durante l’interrogatorio viene chiamato al Viminale per incontrare il neoministro dell’Interno Nicola Mancino nel giorno dell’insediamento ufficiale.
Borsellino torna nella sede della Dia sconvolto. Si accende due sigarette alla volta, dice a Gaspare Mutolo di aver appena visto Bruno Contrada e si lamenta con alcuni agenti di un progetto per favorire la dissociazione dei mafiosi. (Contrada subirà anche una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa).
Borsellino annota nella sua agenda grigia “Ore 18.30 Parisi. Ore 19.30 Mancino”.
Mancino negherà per oltre quindici anni di aver incontrato Borsellino quella sera dicendo “Non sapevo nemmeno che faccia avesse, non l’avrei proprio riconosciuto”. Il ministro dell’Interno Nicola Mancino, quindi, non conosce il volto del magistrato più famoso d’Italia. Non riconosce il volto di colui che accompagnava la bara del suo amico Giovanni Falcone durante i funerali trasmessi da tutte le televisioni.


La magnolia del Giardino
(Foto: Odissea)


In quei giorni Borsellino confida alla moglie: “Mi resta ancora poco tempo per vivere” e intensifica furiosamente i ritmi di lavoro per le sue indagini solitarie sui retroscena della strage di Capaci annotando tutto nella sua agenda rossa.

10 luglio: Paolo Borsellino incontra a Roma il comandante del ROS Antonio Subranni. Il collega Diego Cavaliero dirà che quel giorno Borsellino aveva “l’aria assente”.

13 luglio: Paolo Borsellino confida a un agente della scorta: “Sono turbato per voi, perché è arrivato il tritolo per me e non voglio coinvolgervi”.

15 luglio: Paolo Borsellino sta male, dopo una giornata di intenso lavoro rientra a casa in preda a conati di vomito e dice alla moglie Agnese: “Sto vedendo la mafia in diretta. Mi hanno detto che Subranni è punciutu”, cioè affiliato a Cosa nostra.

16 luglio: Paolo Borsellino interroga a Roma Gaspare Mutolo, che accetta di verbalizzare le accuse a Bruno Contrada.

17 luglio: Paolo Borsellino passa in Procura, chiude i verbali di Mutolo in cassaforte, poi abbraccia a uno a uno i colleghi. Dinanzi alla loro meraviglia risponde “Perché vi stupite? Non vi posso salutare?” Poi si confessa e fa la comunione.

18 luglio, sabato: Ricorda Agnese: “Andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini, senza essere seguiti dalla scorta. Paolo mi disse: “Mi ucciderà la mafia, ma solo quando altri glielo consentiranno”… Da settimane mi diceva che “c’era un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato” e che “aveva visto la mafia in diretta”, parlandomi di contiguità tra la mafia e parti infedeli dello Stato.

19 luglio ‘92, domenica. Paolo Borsellino è al mare con la famiglia a Villagrazia di Carini.
Dopo pranzo rientra a Palermo per la consueta visita all’anziana madre, in via D’Amelio, mai transennata nonostante i ripetuti allarmi di pericolo attentato. Alle 16.58, mentre preme il citofono, una Fiat 126 imbottita di tritolo esplode. Insieme a lui muoiono gli agenti della scorta Agostino Catalano (di 42 anni), Emanuela Loi (di 25 anni), Vincenzo Li Muli (di 22 anni), Walter Eddie Cosina (di 31 anni) e Claudio Traina (di 27 anni). Paolo Borsellino aveva 52 anni.


Paolo Borsellino viene assassinato dall’esplosivo mafioso e dal cinismo di un’Italia ignava che l’ha visto morire senza far nulla.
Ma non fu solo ignavia, purtroppo. Ora sappiamo che lo Stato trattò coi mafiosi. Nel processo sulla trattativa Stato-mafia i giudici di primo grado (20.04.2018) hanno condannato, oltre ai mafiosi, anche gli ex generali Antonio Subranni e Mario Mori e l’ex colonnello Giuseppe De Donno del Ros dei Carabinieri a 12 anni e - sempre a 12 anni – l’ex senatore e fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, peraltro già agli arresti perché condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Le bombe del 1993 di Firenze (5 morti), Milano (la strage di via Palestro, il 27 luglio del 93, 5 morti) e Roma servono per intimorire ancor più l’interlocutore istituzionale, cioè la controparte di un dialogo segreto e scellerato.
Mentre gli innocenti muoiono, la latitanza del capo mafia Bernardo Provenzano continuerà per 43 anni.
Oggi, il boss Matteo Messina Denaro è latitante da 26 anni.
Grazie.

*Scuola di Formazione Antonino Caponnetto

Note
Intervento liberamente tratto dai seguenti libri:
Uomini soli di Attilio Bolzoni, Melampo editore
Il patto sporco di Nino Di Matteo e Saverio Lodato, Chiarelettere
Padrini fondatori di Marco Travaglio e Marco Lillo, Paper First