È
piuttosto imbarazzante pubblicare scritti che ci riguardano direttamente, ma
non potevamo censurare due non “semplici lettori” come Tiziano Rovelli e Nicolino
Longo.
Caro
Gaccione,
la
lettura del tuo libro di racconti L’incendio di Roccabruna mi ha
suscitato questa breve riflessione che ti mando.
Un
saluto, Tiziano Rovelli
[Milano,
20/08/2019]
Viviamo
in una strana società, che oltretutto ci ostiniamo a chiamare società “civile”.
Mentre la cultura ufficiale ci somministra opere noiose e ripetitive, mentre la
televisione appiattisce i cervelli con un intrattenimento sempre più
tragicamente stupido e superficiale, i pochi Autori validi faticano ad
emergere. O a veder riconosciuto il giusto merito. È il caso di Angelo Gaccione, uno scrittore calabrese, milanese di
adozione, direttore del giornale “Odissea” e conosciuto in ambito nazionale ed
internazionale per le sue numerose pubblicazioni e per l’impegno sociale e
politico portato avanti dal giornale. La sua ultima fatica è il volumetto di
racconti sopracitato. E così prendo in mano il libro, poco più di cento pagine,
formato piccolo, 15 racconti, introduzione e postfazione di due grandissimi
scrittori: Vincenzo Consolo e Giuseppe Bonura. E, insomma, dalle primissime righe
il volumetto mi ha catturato e l’ho letto quasi d’un fiato, perché mi sono
trovato coinvolto in qualcosa di straordinario per come l’autore descrive la
realtà cruda e vera del popolo dell’amata Calabria. Racconti che coinvolgono il
lettore, fino ad “obbligarlo” a concludere la lettura, perché il sapiente
lavoro storico e realistico molto accurato fa di questo libro un unicum
appassionante. Angelo Gaccione ha uno stile scorrevole, sa farsi leggere e
scrive in quel bell’italiano che sembra ormai morto, assassinato dal linguaggio
televisivo e dei “social”.
Tiziano
Rovelli
***
Caro Angelo,
ho letto d’un sol fiato, e con voracità, l’intervista fattavi su “La Bottega dei Libri”, nel luglio scorso, dalla Petronilla Pacetti. Sono rimasto colpito dalle vostre esaurienti ed azzeccatissime risposte, e commosso, molto commosso, dall’emergere, da quasi ognuna di esse, del vostro attaccamento, smodato e viscerale, alla terra di Calabria e alla vostra madre lingua dialettale, che vi siete trascinato dietro non solo nei colloqui con amici e parenti, sul suolo della Città meneghina, ma anche, e soprattutto, sulle pagine dei libri. Avevo dedotto, già da quando recensiste il mio volume di poesie “La sottomissiva funzione dei verbi servili”, che voi nutrivate un amore sperticato per tutto ciò che fosse voce e grafica delle nostre connotazioni linguistiche, affondanti, con radici ancestrali, nei nostri dialetti, e nel nostro irremeabile tempo passato. Come quello legato al rito della raccolta delle ciliegie, o quello della mietitura, di cui scriveste, sempre nella recensione al mio libro, su Odissea, in questi termini: “I ragazzi di città e i figli dell’industrializzazione prima e della terziarizzazione selvaggia dopo, non hanno neppure sentore delle meraviglie visive ed olfattive che questi due riti, queste due pratiche dell’universo contadino hanno impresso nella nostra visionarietà e nella nostra memoria di fanciulli”.
Sentimenti bellissimi, che nessuna attrazione o
bellezza metropolitana è riuscita, fino ad oggi, a strapparvi dal cuore, o a
minimamente scalfire o “blerare” nella vostra sterminata, e già ben radicata e
definita, come avete anche voi detto in una risposta alla Pacetti, memoria
storica di fanciullo e di ex giovane calabrese. Questo sarà a vostro onore, la
vostra bandiera (come scrisse quarant’anni fa per me Nino Scalisi), che
sventolerete sempre su un mondo illuso e fanfarone, che ha bisogno della vostra
penna per bilanciare, appunto, il vago, l’atarassia degli uomini, l’egoismo, i
forchettoni, gli invasati di stelle. Se siete sceso a compromesso con la realtà
milanese (su cui avete scritto quattro volumi), l’avete fatto, soprattutto, per
affermare, ancora di più, quella calabrese all’interno di essa. Voi figlio
della diaspora, sì. Ma solo col corpo. L’ “al di dentro” a casa. Il
cosmopolitismo e la globalizzazione, dunque, vi hanno preso solo di striscio. E
anche questo torna a vostro onore, gloria e vanto. Cordialmente. Nicolino.
[San Nicola Arcella, 19
agosto 2019]