di Franco Astengo
“Gli alfabeti
politici del secolo scorso erano materia ardua. Venivano frequentati a lungo,
prima di imbracciarli. Cattolici, laici, libertari e comunisti camminavano con
lentezza dentro le parole della politica imparando a trasformarle in azioni.
Prima nei quartieri, poi nei comuni poi nei vasti collegi elettorali. Fino al
teatro della politica nazionale che era selezionato al netto degli scandali,
delle trame e della corruzione. Era un lavoro che impegnava la giovinezza, le
passioni, l’esperienza. Era apprendistato prima che comando. Era “esercizio
sociale della prevenzione”.
Da
un articolo di Pino Corrias “Chi fa il bene degli italiani”
“La
Repubblica” 24 agosto 2019.
Parole pesanti che debbono suscitare
non semplicemente la (legittima) nostalgia per il passato ma anche una proposta
di riflessione per l’oggi e soprattutto per il futuro. Di seguito quindi alcune
considerazioni di merito.
In queste ore stiamo assistendo, nel microcosmo del
sistema politico italiano (se così lo si può ancora definire) a un vero e
proprio “assalto alla poltrona” all’interno di una crisi di governo dei cui
contorni è persino difficile definire l’assurdità di svolgimento. Di fronte a
questo spettacolo, molto interessante al riguardo dell’osservazione delle
miserie umane, la lettura dell’articolo di Corrias consente di riformulare una
domanda: “È questa la politica?” ed è questa la risposta che intendeva fornire
la cosiddetta “antipolitica” nel suo progetto di estensione verso il basso del
meccanismo del potere tramite il livellamento sociale che si pensava il web
avrebbe finito con il produrre all’insegna dell’“uno vale uno”?
Per definire
questa situazione ci era così capitato di elaborare l’indicazione della formula
dell’“individualismo competitivo”.
La competizione individualistica sarebbe stata alla
base della costruzione di nuove formazioni politiche non più formate da
militanti, ma composte di “cordate” finalizzate a spingere personaggi singoli verso
l’acquisizione di posizioni di, più o meno, presunto potere.
Abbiamo però voluto spingere un poco più a fondo la
nostra ricerca rivolgendoci appunto la domanda: “È questa la politica?” oppure
era politica quella del ‘900 dei grandi partiti di massa e della “fatica
dell’appartenenza”?
Non abbiamo trovato risposta, pur consultando i
“classici” della materia, ma soltanto altre domande che qui raccogliamo di
seguito.
Occorre però una premessa, forse banale: per politica
intendiamo, fin dall’Antica Grecia, le cose che ineriscono alla città, la
Polis.
Nella sostanza le cose che riguardano l’umana
coesistenza, quando questa assume l’aspetto consapevole di un’identità
collettiva, considerata tanto dal punto di vista del Potere, quando dal punto
di vista del Conflitto.
In questo suo duplice aspetto di Potere e di Conflitto
la politica è pensabile come un’essenza, rintracciabile attraverso la
risoluzione di alcune questioni:
1) Qual è l’origine della
collettività e quali i suoi fondamenti di legittimità?
2) Quale rapporto c’è tra l’energia
originaria delle forme politiche e le loro realtà istituzionali?
3) Quali sono i soggetti
dell’azione del potere politico, cioè chi agisce, chi comanda che cosa a chi?
4) E questo comando come avviene,
con quali limiti, a quali fini?
5) Quali sono i confini dell’ordine
politico, come e da chi sono individuati, chi includono e chi escludono?
Le concrete risposte a queste domande, cioè le forme
storiche della politica, sono determinate dalle modalità con cui le categorie
che abbiamo fin qui indicato, conflitto, ordine, potere, forma, legittimità,
sono di volta, in volta organizzate praticamente e pensate teoricamente.
Non si può sfuggire a questo livello di analisi
semplificando tutto all’interno di una sola categoria: quella del potere.
Della politica, infatti, fa parte anche il modo con
cui essa viene discorsivamente mediata e criticata dai suoi soggetti e dai suoi
attori: la politica è una pratica che deve essere sempre un’elaborazione
intellettuale e valutativa. È il caso di ripetere la nostra domanda: ciò che
accade, da molti anni, all’interno del sistema politico italiano può essere
considerato “politica” oppure semplicemente lotta per un potere indefinito (ma
molto concreto, beninteso, in alcune sue espressioni materiali) tra bande rivali
che si contendono il territorio?
C’è politica nella folla di “clientes” che sgomitano
nei cortili dei palazzi del potere? Dal nostro punto di vista la domanda è
retorica e la risposta scontata: non ravvediamo tracce di politica, intesa nel
senso classico, ma se si aprisse un dibattito in questo senso riteniamo si
tratterebbe di un fatto positivo.
Tanto più che, sempre dal nostro osservatorio,
aggiungiamo una considerazione della quale siamo - egualmente - convinti
sostenitori: nonostante che si tenti, come sta accadendo o forse già accaduto,
di ridurre la politica alla forma dell’’individualismo competitivo”, non pare
si riuscirà a creare un ordine che - almeno apparentemente - riuscirà a
comprendere al suo interno il conflitto sociale.
Il potere sarà sempre arbitrario ed eccederà sempre la
norma e sarà causa esso stesso dell’esplosione del conflitto sociale: e in
quest’affermazione ci troviamo confortati dalla lettura di alcuni autori,
particolarmente importanti, da Machiavelli, a Spinoza, da Marx a Schmitt.
Il punto di fondo dell’interrogativo che si intende
porre in questa occasione rimane allora quello del come, attraverso i meccanismi
della democrazia, si possa riuscire a limitare l’eccesso del potere rispetto
alla norma.
Sicuramente come
dimostrano le vicende attuali interne al sistema politico italiano non ci si
riuscirà limitandoci a un’espressione dell’angoscia di sé con l’obiettivo
rivolto a provocare una lotta destinata soltanto a determinare l’esclusione
degli “altri”. La politica ridotta a meccanismo di “esclusione”, questo è il
punto di abbassamento morale e culturale nel quale ci ritroviamo oggi e sul
quale varrebbe la pena riflettere meglio.