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sabato 24 agosto 2019

LA FATICA DELLA POLITICA
di Franco Astengo


Gli alfabeti politici del secolo scorso erano materia ardua. Venivano frequentati a lungo, prima di imbracciarli. Cattolici, laici, libertari e comunisti camminavano con lentezza dentro le parole della politica imparando a trasformarle in azioni. Prima nei quartieri, poi nei comuni poi nei vasti collegi elettorali. Fino al teatro della politica nazionale che era selezionato al netto degli scandali, delle trame e della corruzione. Era un lavoro che impegnava la giovinezza, le passioni, l’esperienza. Era apprendistato prima che comando. Era “esercizio sociale della prevenzione”.
Da un articolo di Pino Corrias “Chi fa il bene degli italiani”
“La Repubblica” 24 agosto 2019.

Parole pesanti che debbono suscitare non semplicemente la (legittima) nostalgia per il passato ma anche una proposta di riflessione per l’oggi e soprattutto per il futuro. Di seguito quindi alcune considerazioni di merito.
In queste ore stiamo assistendo, nel microcosmo del sistema politico italiano (se così lo si può ancora definire) a un vero e proprio “assalto alla poltrona” all’interno di una crisi di governo dei cui contorni è persino difficile definire l’assurdità di svolgimento. Di fronte a questo spettacolo, molto interessante al riguardo dell’osservazione delle miserie umane, la lettura dell’articolo di Corrias consente di riformulare una domanda: “È questa la politica?” ed è questa la risposta che intendeva fornire la cosiddetta “antipolitica” nel suo progetto di estensione verso il basso del meccanismo del potere tramite il livellamento sociale che si pensava il web avrebbe finito con il produrre all’insegna dell’“uno vale uno”?
 Per definire questa situazione ci era così capitato di elaborare l’indicazione della formula dell’“individualismo competitivo”.
La competizione individualistica sarebbe stata alla base della costruzione di nuove formazioni politiche non più formate da militanti, ma composte di “cordate” finalizzate a spingere personaggi singoli verso l’acquisizione di posizioni di, più o meno, presunto potere.
Abbiamo però voluto spingere un poco più a fondo la nostra ricerca rivolgendoci appunto la domanda: “È questa la politica?” oppure era politica quella del ‘900 dei grandi partiti di massa e della “fatica dell’appartenenza”?
Non abbiamo trovato risposta, pur consultando i “classici” della materia, ma soltanto altre domande che qui raccogliamo di seguito.
Occorre però una premessa, forse banale: per politica intendiamo, fin dall’Antica Grecia, le cose che ineriscono alla città, la Polis.
Nella sostanza le cose che riguardano l’umana coesistenza, quando questa assume l’aspetto consapevole di un’identità collettiva, considerata tanto dal punto di vista del Potere, quando dal punto di vista del Conflitto.
In questo suo duplice aspetto di Potere e di Conflitto la politica è pensabile come un’essenza, rintracciabile attraverso la risoluzione di alcune questioni:
1) Qual è l’origine della collettività e quali i suoi fondamenti di legittimità?
2) Quale rapporto c’è tra l’energia originaria delle forme politiche e le loro realtà istituzionali?
3) Quali sono i soggetti dell’azione del potere politico, cioè chi agisce, chi comanda che cosa a chi?
4) E questo comando come avviene, con quali limiti, a quali fini?
5) Quali sono i confini dell’ordine politico, come e da chi sono individuati, chi includono e chi escludono?
Le concrete risposte a queste domande, cioè le forme storiche della politica, sono determinate dalle modalità con cui le categorie che abbiamo fin qui indicato, conflitto, ordine, potere, forma, legittimità, sono di volta, in volta organizzate praticamente e pensate teoricamente.
Non si può sfuggire a questo livello di analisi semplificando tutto all’interno di una sola categoria: quella del potere.
Della politica, infatti, fa parte anche il modo con cui essa viene discorsivamente mediata e criticata dai suoi soggetti e dai suoi attori: la politica è una pratica che deve essere sempre un’elaborazione intellettuale e valutativa. È il caso di ripetere la nostra domanda: ciò che accade, da molti anni, all’interno del sistema politico italiano può essere considerato “politica” oppure semplicemente lotta per un potere indefinito (ma molto concreto, beninteso, in alcune sue espressioni materiali) tra bande rivali che si contendono il territorio?
C’è politica nella folla di “clientes” che sgomitano nei cortili dei palazzi del potere? Dal nostro punto di vista la domanda è retorica e la risposta scontata: non ravvediamo tracce di politica, intesa nel senso classico, ma se si aprisse un dibattito in questo senso riteniamo si tratterebbe di un fatto positivo.
Tanto più che, sempre dal nostro osservatorio, aggiungiamo una considerazione della quale siamo - egualmente - convinti sostenitori: nonostante che si tenti, come sta accadendo o forse già accaduto, di ridurre la politica alla forma dell’’individualismo competitivo”, non pare si riuscirà a creare un ordine che - almeno apparentemente - riuscirà a comprendere al suo interno il conflitto sociale.
Il potere sarà sempre arbitrario ed eccederà sempre la norma e sarà causa esso stesso dell’esplosione del conflitto sociale: e in quest’affermazione ci troviamo confortati dalla lettura di alcuni autori, particolarmente importanti, da Machiavelli, a Spinoza, da Marx a Schmitt.
Il punto di fondo dell’interrogativo che si intende porre in questa occasione rimane allora quello del come, attraverso i meccanismi della democrazia, si possa riuscire a limitare l’eccesso del potere rispetto alla norma.
 Sicuramente come dimostrano le vicende attuali interne al sistema politico italiano non ci si riuscirà limitandoci a un’espressione dell’angoscia di sé con l’obiettivo rivolto a provocare una lotta destinata soltanto a determinare l’esclusione degli “altri”. La politica ridotta a meccanismo di “esclusione”, questo è il punto di abbassamento morale e culturale nel quale ci ritroviamo oggi e sul quale varrebbe la pena riflettere meglio.