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martedì 8 ottobre 2019

IL RITORNO ALLA CORTE DEL “RE SOLE”
di Franco Astengo


“I nuovi padroni? I mercanti del lusso”: questo il titolo di un’intervista rilasciata da Luc Boltanski ad Anais Ginori e comparsa sulle pagine culturali di “la Repubblica”.
Argomento i contenuti del volume “Arricchimento” scritto dallo stesso Boltanski con Arnaud Esquerre e in uscita in Italia presso il Mulino.
Il testo analizza le nuove forme di creazione della ricchezza che pongono al centro dell’attività economica anziché la manifattura diverse fonti di profitto, in particolare attraverso il commercio delle opere d’arte, oggetti di lusso, immobili, valorizzazione di località turistiche e prodotti enogastronomici.
La tesi di fondo degli autori riguarda il ruolo del mondo della cultura che deve contribuire a creare, attraverso la narrazione, un valore aggiunto delle merci difficilmente misurabile e quindi con margini di profitto ancora più forti.
Spiegano gli autori: “Il termine arricchimento ha un doppio significato. È necessario arricchire gli oggetti con una narrazione, e arricchendo gli oggetti sono così possibili venderli a un prezzo elevato, massimizzando il profitto. È un meccanismo che si rivolge a una clientela di ricchi e che arricchisce sempre di più i ricchi”.
Ci troviamo in sostanza a un cambiamento radicale al riguardo della definizione marxiana del plusvalore lavoro: la creazione delle nuove forme di ricchezza, il plusvalore, non viene più dalla produzione di beni ma dal commercio stesso. L’intellettuale torna così a essere “organico” ma in questo caso il suo essere “parte del vivente” (nella definizione gramsciana) si riferisce a questo meccanismo di ribaltamento nella concezione del meccanismo di costruzione della ricchezza. Una costruzione della ricchezza che appare essere realizzata ancora diversamente dal processo di finanziarizzazione dell’economia a suo tempo descritto da Hilferding.
Intendiamoci bene: già Braudel spiegava che il capitalismo nasceva dal commercio dei prodotti coloniali trasportati in Occidente e venduti a caro prezzo facendo leva sul fascino dell’esotismo.
In passato però questo meccanismo di valorizzazione delle merci era marginale rispetto al complesso del capitalismo industriale.
Boltanski conclude il suo ragionamento esponendo un punto d’analisi sul quale varrebbe la pena impostare un dibattito da sviluppare in profondità e del tutto afferente al discorso della ricostruzione della sinistra.
A suo giudizio, infatti, non possiamo (ancora) definirci una società post-industriale proprio perché non abbiamo mai usato così tanti prodotti industriali: si sono spostati però i luoghi della produzione seguendo gli itinerari dell’esercito di riserva. La realtà descritta nel libro è una realtà nella quale il lusso non si vanta più di essere industriale ma al contrario si sforza di far dimenticare il suo radicamento in una trama produttiva: l’accumulazione diventa così immateriale nelle sue origini dimenticando quanti operano nel “lavoro vivo” in un mondo di continua esaltazione della disuguaglianza. In questo modo avviene il ritorno ad una logica di uso della ricchezza simile a quella della “Corte del re sole”.
La disuguaglianza è ormai considerata come un valore obliando completamente il fatto che la sua origine deriva dalla sempre più esasperata intensificazione dello sfruttamento a tutti i livelli compreso il genere e il territorio. Lo sfruttamento ormai trova le sue basi ben oltre le grandi concentrazioni industriali e oltrepassa anche gli stessi santuari della modernità rappresentati dai potentati del web.
Uno sfruttamento basato sull’autoreferenzialità della logica di scambio e della progressiva ghettizzazione delle possibilità di esercizio del “valore d’uso” ormai ridotto alla trincea del progressivo logoramento del consumo di massa.
Siamo dentro a un circolo vizioso laddove lo “scambio” dei beni di lusso a prezzi esagerati, sostituisce anche la stessa vecchia logica dei “rentier” delimitando seccamente i confini della ricchezza autoprodotta dentro ad una sorta di “torre d’avorio” Ci stiamo avviando verso un’era nella quale la ricchezza non sarà più scalabile neppure nel più ottimistico quadro dei film di Frank Capra e dell’american way of life o del tanto di moda “stile di vita europeo”. La globalizzazione assumerà così un significato soltanto per questa “élite del lusso” emersa da un “individualismo del disuguale” che agirà sempre più in ragione dell’idea della conservazione di questa nuova classe identificabile dall’uso del privilegio egoistico: il resto del mondo resterà avvolto nella nebbia della banalità della “mercificazione del quotidiano”.
Non a caso rispetto al tema fondamentale del “senso del lavoro” si trovano in grandi difficoltà sia le organizzazioni padronali sia il sindacato accumunati entrambi dal legame con la perdita della centralità dell’industria e del meccanismo di accumulazione che ne era derivato fin dal tempo della prima rivoluzione industriale. Non abbiamo riflettuto sull’obsolescenza della teoria delle fratture attraverso la quale sono state individuate determinate contraddizioni e la conseguente possibilità di elaborazione delle proposte di pratica politica. Per poter pensare di fronteggiare questo fenomeno, per altro ben sostenuto dalla solitudine che deriva dall’esercizio degli strumenti di comunicazione di massa, occorre ripensare ai concetti di “società sobria” ben oltre il semplice criterio della sostenibilità.
Non è sufficiente pensare alla “green economy”: serve qualcosa di più ampio e strutturalmente orientato nel suo complesso. Risulterebbe limitato anche un richiamo alla società dei 2/3 di Gorz: analisi che negli anni’80 rappresentò una sorta di bandiera della socialdemocrazia europea in condizioni ben diverse dalle attuali. La ricostruzione di un intreccio tra etica e politica potrebbe rappresentare il passaggio fondamentale per delineare i contorni della “società sobria” avendo come base di proposta una nuova “teoria dei bisogni”. Va posta al centro la prospettiva di una società alternativa a quella fondata su di un’economia dell’arricchimento. Un’economia dell’arricchimento che, come abbiamo visto, trova la sua pertinenza non nel concetto di utilità sociale ma di accumulo privato. Un accumulo privato inteso come collezione di beni riservati a una fetta piccolissima di popolazione. Il resto del mondo oggi resta fuori a contemplare la propria diversità nelle condizioni materiali di vita senza disporre di idee e di organizzazione per attaccare il muro della separatezza tra i popoli e tra i ceti sociali. Una separatezza mai così marcata, almeno a partire dal Secolo dei Lumi.