FORME DELL’AGIRE POLITICO
di
Franco Astengo
Piazza Maggiore a Bologna |
Questo
l’incipit del commento sulla manifestazione Anti – Lega di Bologna scritto da
Stefano Cappellini per “Repubblica”.
Nel
testo si azzarda anche un parallelo con altre manifestazioni di segno
progressista svoltesi negli ultimi tempi: il sit-in solidarietà a Liliana Segre
a Milano, la manifestazione di protesta verso la Sindaca Raggi a Roma, le
“madamine” pro TAV a Torino. Manifestazioni che sono definite come
“autoconvocate” ma necessariamente da distinguere, rispetto a qualche anno fa,
dal movimentismo critico verso l’establishment dei partiti della sinistra dei
“girotondi” o del “popolo viola” e senza cercare collegamenti, almeno sul piano
dell’analisi, con il “movimentismo antipolitica” di Beppe Grillo da cui prese
le mosse l’affermazione del M5S.
In
questa occasione non risaliamo neppure alla mobilitazione anti -ii G8 di Genova
2001 sulla quale ci sarebbe ancora molto da riflettere: occasione nella quale
Rifondazione Comunista commise un errore decisivo rispetto all’insieme della
propria prospettiva politica.
E’
necessario allora distinguere tra le
varie forme di intervento diretto sull’azione politica che hanno rappresentato
nel corso del tempo i passaggi fin qui elencati, avendo via via come bersaglio i
gruppi dirigenti dei partiti della sinistra, i partiti in quanto tali (nel
quadro di una agognata “disintermediazione” e del reclamo della “democrazia
diretta”), il Governo, l’insieme dell’autorità politica che appare ormai comunque tramontata anche e soprattutto
a causa dell’azione demolitrice dell’uso dei social network, culla e riparo
dell’idea dell’uno vale uno.
Colpisce
in questo quadro l’uso del termine di “autoconvocazione”.
Nella
vicenda politica italiana, a partire dagli anni’60, abbiamo avuto esplosioni di
protesta - soprattutto sul terreno sindacale - che hanno originato fortissime
contestazioni verso i vertici (ricordiamo soltanto come esempi l’accordo sulla
trattenuta dello 0,50% sui salari concordata dai sindacati nell’estate 1980 poi
ritirato per la secca contrarietà dei consigli di fabbrica delle grandi
aziende; la complicata vicenda della scala mobile).
Esplosioni
di protesta dalle quali nacquero gli “autoconvocati” che ebbero una fase di
presenza molto forte nel sindacato proprio come rappresentanza diretta dei
consigli di fabbrica delle grandi aziende (che in quel tempo c’erano)
soprattutto del Nord.
È
il caso di far rimarcare una differenza fondamentale con l’idea che oggi si ha
dell’autoconvocazione via web come nel caso di Bologna: gli autoconvocati dei
consigli di fabbrica disponevano di un preciso punto di riferimento al riguardo
del quale cercavano di far valere determinate istanze di linea politica: cioè
il sindacato rappresentato dal CGIL - CISL - UIL (in particolare la CGIL).
Il
sindacato rappresentava in quella fase un fortissimo e imprescindibile
protagonista nell’insieme della vicenda politica e sociale italiana: anzi
proprio il ruolo di “soggetto politico generale” esercitato a quel tempo dal
sindacato suggerì la definizione di “caso italiano” inteso come anomalia
avanzata nel quadro europeo.
A
chi scrive capitò anche, nella seconda metà degli anni’80, di partecipare ad
una iniziativa “autoconvocata” posta sul piano più direttamente politico;
quella degli “autoconvocati comunisti”.
Anche
in questo caso il riferimento era molto preciso: il PCI e la sua linea politica
che si intendeva contestare saltando i tradizionali passaggi canonici di
discussione all’interno della struttura di partito (dalla sezione al federale,
dal regionale, al Comitato Centrale) andando direttamente, attraverso un lavoro
di tipo “classico” di produzione intellettuale, ad un confronto con il gruppo
dirigente del Partito.
Non
è il caso in questa sede di rievocare i passaggi di quella esperienza che diede
vita a una molteplicità di iniziative, convegni, dibattiti, riviste e anticipò
in una qualche misura alcuni dei contenuti dell’opposizione alla svolta della
Bolognina soprattutto sul piano della concezione della democrazia rifiutando in
radice il modello sovietico (senza alcuna illusione gorbacioviana), del
rapporto con le questioni ambientali, del femminismo, del pacifismo e più in
generale delle contraddizioni definite post-materialiste.
Anche
in questo caso come in quello già citato del sindacato (ma si potrebbero
sviluppare anche altri esempi) il riferimento era quello di un soggetto “forte”
di mediazione politica e sociale: nel caso il Partito Comunista entrato in
difficoltà dopo l’esito delle elezioni del 1987 ma pur sempre soggetto
assolutamente egemone nella sinistra italiana e organizzato nella forma del
“partito di massa ad integrazione sociale”.
Basterà
soltanto ricordare che al termine di quell’esperienza, con la proposta di
liquidazione del Partito avanzata da Occhetto, si realizzò il risultato di far
saltare il tappo del centralismo democratico, anche se non fu superato il tabù
riguardante la possibilità di presentazione di una mozione congressuale non
appoggiata dalle firme di membri del Comitato Centrale.
È
difficile dunque attribuire ai partecipanti alla manifestazione di Bologna e
consimili l’etichetta di “autoconvocati”: mancano progettualità e soggetti di
riferimento verso i quali far valere lo strumento dell’autoconvocazione
intendendolo prima di tutto come strumento di lotta politica interna.
Rimangono
in sospeso alcune questioni decisive:
1) prima di tutto manca la
risposta all’interrogativo posto da Cappellini nel suo articolo: quale sarà il
soggetto capace di trasformare il grido di disperazione (perché di questo si è
trattato) in soffio di speranza?
2) Chi sarà capace di
prendersi la briga di riflettere sulla potenza del web come meccanismo di
comunicazione politica riuscendo a costruire un intreccio con le necessarie
nuove forme di aggregazione, rappresentanza, decisionalità?
Da
tener conto che le contraddizioni derivanti dalle disuguaglianze economico-sociali,
dell’abuso del territorio, della sopraffazione di genere appaiono sempre più
acute e causa di pulsioni di ribellismo e di negazione del confronto politico
dal basso cui corrispondono espressioni di demagogico populismo da parte di
quello che è molto difficile definire “alto”.
Domande
complicate per adesso inevase: forse servirebbe davvero un’autoconvocazione di
natura più propriamente politica mettendo a confronto schemi passati con le
novità derivanti dall’uso del web che hanno portato la “politica” a cambiare da
fatto culturale a fatto esclusivamente comunicativo.