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domenica 17 novembre 2019

AUTOCONVOCAZIONE, DEMOCRAZIA DIRETTA,
FORME DELL’AGIRE POLITICO
di Franco Astengo

Piazza Maggiore a Bologna

 Una bellissima piazza senza bandiere, come quella gremita in piazza Maggiore a Bologna, convocata con il tam tam digitale e la sola forza delle idee, è al tempo stesso un soffio di speranza e un grido di disperazione”.

Questo l’incipit del commento sulla manifestazione Anti – Lega di Bologna scritto da Stefano Cappellini per “Repubblica”.
Nel testo si azzarda anche un parallelo con altre manifestazioni di segno progressista svoltesi negli ultimi tempi: il sit-in solidarietà a Liliana Segre a Milano, la manifestazione di protesta verso la Sindaca Raggi a Roma, le “madamine” pro TAV a Torino. Manifestazioni che sono definite come “autoconvocate” ma necessariamente da distinguere, rispetto a qualche anno fa, dal movimentismo critico verso l’establishment dei partiti della sinistra dei “girotondi” o del “popolo viola” e senza cercare collegamenti, almeno sul piano dell’analisi, con il “movimentismo antipolitica” di Beppe Grillo da cui prese le mosse l’affermazione del M5S.
In questa occasione non risaliamo neppure alla mobilitazione anti -ii G8 di Genova 2001 sulla quale ci sarebbe ancora molto da riflettere: occasione nella quale Rifondazione Comunista commise un errore decisivo rispetto all’insieme della propria prospettiva politica.
E’ necessario  allora distinguere tra le varie forme di intervento diretto sull’azione politica che hanno rappresentato nel corso del tempo i passaggi fin qui elencati, avendo via via come bersaglio i gruppi dirigenti dei partiti della sinistra, i partiti in quanto tali (nel quadro di una agognata “disintermediazione” e del reclamo della “democrazia diretta”), il Governo, l’insieme dell’autorità politica  che appare ormai comunque tramontata anche e soprattutto a causa dell’azione demolitrice dell’uso dei social network, culla e riparo dell’idea dell’uno vale uno.
Colpisce in questo quadro l’uso del termine di “autoconvocazione”.
Nella vicenda politica italiana, a partire dagli anni’60, abbiamo avuto esplosioni di protesta - soprattutto sul terreno sindacale - che hanno originato fortissime contestazioni verso i vertici (ricordiamo soltanto come esempi l’accordo sulla trattenuta dello 0,50% sui salari concordata dai sindacati nell’estate 1980 poi ritirato per la secca contrarietà dei consigli di fabbrica delle grandi aziende; la complicata vicenda della scala mobile).
Esplosioni di protesta dalle quali nacquero gli “autoconvocati” che ebbero una fase di presenza molto forte nel sindacato proprio come rappresentanza diretta dei consigli di fabbrica delle grandi aziende (che in quel tempo c’erano) soprattutto del Nord.
È il caso di far rimarcare una differenza fondamentale con l’idea che oggi si ha dell’autoconvocazione via web come nel caso di Bologna: gli autoconvocati dei consigli di fabbrica disponevano di un preciso punto di riferimento al riguardo del quale cercavano di far valere determinate istanze di linea politica: cioè il sindacato rappresentato dal CGIL - CISL - UIL (in particolare la CGIL).
Il sindacato rappresentava in quella fase un fortissimo e imprescindibile protagonista nell’insieme della vicenda politica e sociale italiana: anzi proprio il ruolo di “soggetto politico generale” esercitato a quel tempo dal sindacato suggerì la definizione di “caso italiano” inteso come anomalia avanzata nel quadro europeo.
A chi scrive capitò anche, nella seconda metà degli anni’80, di partecipare ad una iniziativa “autoconvocata” posta sul piano più direttamente politico; quella degli “autoconvocati comunisti”.
Anche in questo caso il riferimento era molto preciso: il PCI e la sua linea politica che si intendeva contestare saltando i tradizionali passaggi canonici di discussione all’interno della struttura di partito (dalla sezione al federale, dal regionale, al Comitato Centrale) andando direttamente, attraverso un lavoro di tipo “classico” di produzione intellettuale, ad un confronto con il gruppo dirigente del Partito.
Non è il caso in questa sede di rievocare i passaggi di quella esperienza che diede vita a una molteplicità di iniziative, convegni, dibattiti, riviste e anticipò in una qualche misura alcuni dei contenuti dell’opposizione alla svolta della Bolognina soprattutto sul piano della concezione della democrazia rifiutando in radice il modello sovietico (senza alcuna illusione gorbacioviana), del rapporto con le questioni ambientali, del femminismo, del pacifismo e più in generale delle contraddizioni definite post-materialiste.
Anche in questo caso come in quello già citato del sindacato (ma si potrebbero sviluppare anche altri esempi) il riferimento era quello di un soggetto “forte” di mediazione politica e sociale: nel caso il Partito Comunista entrato in difficoltà dopo l’esito delle elezioni del 1987 ma pur sempre soggetto assolutamente egemone nella sinistra italiana e organizzato nella forma del “partito di massa ad integrazione sociale”.
Basterà soltanto ricordare che al termine di quell’esperienza, con la proposta di liquidazione del Partito avanzata da Occhetto, si realizzò il risultato di far saltare il tappo del centralismo democratico, anche se non fu superato il tabù riguardante la possibilità di presentazione di una mozione congressuale non appoggiata dalle firme di membri del Comitato Centrale.
È difficile dunque attribuire ai partecipanti alla manifestazione di Bologna e consimili l’etichetta di “autoconvocati”: mancano progettualità e soggetti di riferimento verso i quali far valere lo strumento dell’autoconvocazione intendendolo prima di tutto come strumento di lotta politica interna.
Rimangono in sospeso alcune questioni decisive:
1) prima di tutto manca la risposta all’interrogativo posto da Cappellini nel suo articolo: quale sarà il soggetto capace di trasformare il grido di disperazione (perché di questo si è trattato) in soffio di speranza?
2) Chi sarà capace di prendersi la briga di riflettere sulla potenza del web come meccanismo di comunicazione politica riuscendo a costruire un intreccio con le necessarie nuove forme di aggregazione, rappresentanza, decisionalità?
Da tener conto che le contraddizioni derivanti dalle disuguaglianze economico-sociali, dell’abuso del territorio, della sopraffazione di genere appaiono sempre più acute e causa di pulsioni di ribellismo e di negazione del confronto politico dal basso cui corrispondono espressioni di demagogico populismo da parte di quello che è molto difficile definire “alto”.
Domande complicate per adesso inevase: forse servirebbe davvero un’autoconvocazione di natura più propriamente politica mettendo a confronto schemi passati con le novità derivanti dall’uso del web che hanno portato la “politica” a cambiare da fatto culturale a fatto esclusivamente comunicativo.