IL MERCATO CRIMINALE DELL’ARTE
di
Angelo Gaccione
La copertina del libro |
Il libro di Luca Nannipieri, Capolavori
rubati (Skira editore 2019, pagg. 176 € 19,00), solleva molte questioni; e come
altre ricerche che lo hanno preceduto, getta una luce sinistra sul mondo
dell’arte e su quello che chiamiamo patrimonio artistico-culturale di un Paese.
Il binomio artistico culturale di per sé non significa nulla; come non
significa nulla il binomio paesaggistico ambientale. Assumono rilievo e
si rivestono di importanza, solo quando una comunità, (una civiltà?), ne
diventa consapevole ed è disposta ad assumerli nella propria coscienza come
elementi inscindibili; come parti consustanziali al suo essere sociale e
biologico che il tempo e le vicende storiche hanno stratificato nel luogo che
gli appartiene fisicamente, ed in altri che gli appartengono moralmente,
intellettualmente. Senza questa consapevolezza, una cattedrale resta un ammasso
di pietre sulle cui pareti si può scrivere con disinvoltura: “Viva la Roma”,
la fontana del Bernini diventare una pozza d’acqua dove refrigerare i piedi in
estate (come fanno molti turisti), un canale di Venezia una discarica di
bottigliette di plastica e di lattine di Coca Cola, un viale di alberi un
ostacolo al parcheggio di auto e moto.
Ha ragione da vendere Nannipieri quando scrive che è una pura
illusione credere che “l’arte spinga al bene e alla giustizia”; così
com’è un’idea ingenuamente romantica quella di credere che la bellezza sia un
antidoto contro la barbarie, o addirittura salvifica nei confronti del mondo.
Il Novecento con le sue due guerre mondiali e gli altri conflitti che sono venuti dopo (tanto per restringere l’orizzonte temporale), non si è fatto per nulla “condizionare” dalla bellezza: sono state polverizzate città straordinarie come Cracovia, Dresda, Berlino, Varsavia; massacrate Londra, Parigi, Milano, Sarajevo; bombardato il Prado, sventrata la Scala, abbattuto chiese e palazzi storici in ogni dove. Era il 9 novembre del 1993 quando le forze croato-bosniache distrussero il ponte ottomano del XVI secolo a Mostar, ed è stata una manciata di anni fa quando il fanatismo criminale religioso ha attaccato Palmira e cercato di cancellare Petra per ridurla in polvere come le statue di Buddha a Bamiyam nel 2001.
Il Novecento con le sue due guerre mondiali e gli altri conflitti che sono venuti dopo (tanto per restringere l’orizzonte temporale), non si è fatto per nulla “condizionare” dalla bellezza: sono state polverizzate città straordinarie come Cracovia, Dresda, Berlino, Varsavia; massacrate Londra, Parigi, Milano, Sarajevo; bombardato il Prado, sventrata la Scala, abbattuto chiese e palazzi storici in ogni dove. Era il 9 novembre del 1993 quando le forze croato-bosniache distrussero il ponte ottomano del XVI secolo a Mostar, ed è stata una manciata di anni fa quando il fanatismo criminale religioso ha attaccato Palmira e cercato di cancellare Petra per ridurla in polvere come le statue di Buddha a Bamiyam nel 2001.
Venere di Morgantina |
Personalmente non mi sono mai fatto illusioni in proposito, e
in una riflessione del 1988 pubblicata nel volumetto Il calamaio di
Richelieu (1989), contestavo la sicumera che la bellezza potesse salvare il
mondo, visto come abbiamo violentate le città e aggredito il paesaggio. E a
proposito della sensibilità verso le opere d’arte e il patrimonio culturale,
giusto un anno prima avevo annotato questo pensiero: “Nessuna cosa ha
un’anima se non ne avete una”. Chi avrà la pazienza di leggersi la
sconfortante disamina di Nannipieri ne avrà la chiara conferma. In realtà solo
in una esigua minoranza esistono, e sono esistiti, consapevolezza e amore per il
patrimonio artistico. Alcune di queste meravigliose creature hanno persino
sacrificato la loro vita per tutelare opere d’arte e sottrarle alla furia
devastatrice mettendole in salvo. Non sono stati solo i nazisti a bombardare
indiscriminatamente, lo hanno fatto tutti gli stati e senza riguardi. Quanto ai
saccheggi e alle usurpazioni di beni artistici, ne è piena la storia come ne è
piena la cronaca. Come afferma Nannipieri, attorno all’arte c’è sempre stata
lotta spietata (omicidi, contrabbando, furti su commissione, riciclaggio,
falsificazione, corruzione di soggetti fra i più diversi e insospettati), e
quando è stato necessario, persino lo sfregio di capolavori e la loro
distruzione. A questa lotta non si sono sottratti (ed è tuttora un mercato
fiorente) neppure i più noti Musei mondiali, e spesso acquistano opere che
malavita, mafie e intermediari senza scrupoli, hanno provveduto dolosamente ad
accaparrarsi. Nessuna arcadia idillica e pacifica, dunque, caratterizza il
mondo dell’arte. Per quel che concerne la tutela, ognuno di noi avrà fatto
diretta esperienza entrando in una chiesa o in un museo. Controlli inadeguati o
inesistenti; possibilità di avvicinarsi a capolavori pericolosamente indifesi;
sale prese d’assalto da una quantità smisurata di visitatori con i danni che
questo comporta (quando si tratta di opere e manufatti divenuti delle icone
mediatiche), indifferenza generalizzata verso altri luoghi e altri beni di
straordinaria importanza, solo perché più decentrati e meno reclamizzati.
Nannipieri registra una lunga sequela di furti avvenuti nei musei più in vista
di mezzo mondo, dove con una facilità estrema, si sono potuti portar via
capolavori celeberrimi, e dà un quadro sconsolante su molte località del nostro
Paese ricche di siti, di chiese, di collezioni. Nannipieri cita una fonte
dell’Interpol che stima a oltre 9 miliardi di dollari il guadagno per i
trafficanti. C’è una discreta quantità di “operatori” del settore che considera
il bene artistico come una pura merce, una merce il cui valore è molto alto, e
come tale ricicla sul mercato clandestino la refurtiva. L’obiettivo è fare
soldi e molti. A costoro non importa se viene depauperato un sito, alterato il
contesto dentro cui si situa il reperto trafugato, resa monca la relazione con
l’insieme e così via. Non importa neppure al destinatario finale: spesso un
ricchissimo misterioso accaparratore che con l’arte ha un rapporto deviato
fatto di perversa solipsistica esclusività; un contemplatore avido che si
compiace di un possesso negato a tutti gli altri. In personalità come queste c’è
una forte pulsione erotica verso l’oggetto bramato da sconfinare nel feticismo.
Atleta di Fano |
Se poca attenzione è riservata ai beni storico-artistici-
ambientali da parte della politica e delle istituzioni pubbliche qui da noi (il
degrado indegno in cui versa da decenni Venezia è paradigmatico), le orde di
“fruitori” che si muovono nei contenitori e nei loro d’intorni, non sono da
meno quanto a incuria e a insensibilità. Se salite la gradinata che porta verso
una cattedrale, se entrate in un chiostro o vi aggirate attorno ad una fontana
storica, non vi sarà difficile trovare mozziconi di sigarette, lattine di
bibite, bottigliette di plastica, fazzoletti da naso, involucri di alimenti fra
i più diversi, abbandonati sui gradini, occultati dentro gli interstizi dei
muri, accanto alle colonne di un chiostro o galleggiare nell’acqua della fontana.
Le norme legislative a tutela sono deboli e non omogenee a
livello internazionale; i luoghi non protetti con efficienza. Nannipieri
riporta casi emblematici di luoghi da cui si sono potuti asportare opere con estrema
facilità, perché non era in funzione un allarme, il luogo non era collegato con
la questura o semplicemente perché una porta era stata sbadatamente lasciata
aperta. Il Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale ha
approntato una sorta di vademecum ad uso prevenzione (Nannipieri ne dà conto
alle pagine 97 e 98 del suo prezioso lavoro). Vi sono elencate tutte le domande
che un Museo, una Fondazione, una Biblioteca, una Chiesa, dovrebbe farsi e
rispondere con adeguate misure, per evitare di diventare facile preda dei ladri.
Non sappiamo inoltre quanto sia efficiente il sistema antincendio, quello di
videosorveglianza, quello della mobilità delle opere che si muovono da una
città all’altra, da una nazione all’altra, da un continente all’altro, per
scambi espositivi. Capolavori irripetibili sorvolano oceani sempre più
frequentemente: ci si è mai posti il problema dell’incidente, del dirottamento,
dell’attentato terroristico? Perché continuare in questa pratica così
rischiosa? Il nostro Paese dovrebbe emanare una legge per vietarla. Si muovano
gli uomini, non le opere. E si mettano dei limiti al flusso dei visitatori in
quei luoghi il cui equilibrio è troppo fragile e delicato. Trovo aberrante la
logica dei luoghi d’arte aperti gratuitamente a tutti in singole giornate, favorendo
l’assalto indiscriminato e producendo danni enormi. Perché non farlo tutto
l’anno evitando gli assalti scomposti che si rivelano poco proficui per gli stessi visitatori? Il costo economico potrebbe essere coperto stornando dalla spesa
militare (cioè di morte), l’equivalente di quanto si spende in un mese.
Sarebbero soldi spesi bene: per la cultura, per la bellezza. Chissà, magari
qualcuno ne sarebbe davvero contagiato e mostrerebbe più rispetto per dei beni
che appartengono a tutti.