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mercoledì 11 dicembre 2019

Libri
PIAZZA FONTANA: INGIUSTIZIA È FATTA
di Angelo Gaccione

Guido Salvini

Il nutrito e documentato volume La maledizione di Piazza Fontana del giudice Guido Salvini, a cui ha collaborato il giornalista Andrea Sceresini, apre scenari nuovi sulla Strage di Stato e spiega perché i responsabili abbiano potuto sfuggire alla giustizia.


Andrea Sceresini

Sappiamo com’è andata: il 12 dicembre del 1969 la carneficina alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano, è come non fosse mai avvenuta. La bomba che ha sventrato i locali e sparso brandelli di carne e sangue in ogni dove, non l’ha messa nessuno, dunque nessuna condanna e nessuno in galera. A conti fatti questo è l’esito, il risultato; e questo è quel che conta. E poiché i familiari delle vittime hanno osato scomodare la Giustizia (quella sinistra figura che l’iconografia rappresenta bendata perché essendo strabica guarderebbe da una parte sola: sempre la stessa, quella dei potenti), è alla loro impudenza che è toccato pagare le spese processuali. Ben gli sta. Non è successo nulla neppure a qualche centinaio di metri da piazza Fontana, in via Fatebenefratelli sede della Questura, qualche giorno dopo, dove un operaio, un ferroviere che a 15 anni si era fatto partigiano per restituire a questo mio indegno Paese la democrazia dopo vent’anni di oppressione, di dittatura, di guerra, era entrato vivo. Avrebbe potuto essere ammazzato dalle camicie nere, quel giovanissimo partigiano, come lo sono stati altri giovani della sua stessa età o poco più, e i cui nomi sono incisi sulle lapidi dei muri di Milano. Nomi che in buona parte sono sbiaditi e divenuti col tempo quasi illeggibili; ma il Comune non se ne cura, le sue premure sono rivolte ad elargire ambrogini d’oro e benemerenze civiche ad alcuni personaggi che (come le pagine di questo libro di Guido Salvini e Andrea Sceresini: La maledizione di piazza Fontana, documentano), hanno coperto di disonore il Palazzo di Giustizia. Quel Palazzo di Giustizia che la giustizia ha negato alle vittime di piazza Fontana e a quella di via Fatebenefratelli. Giuseppe Pinelli - è questo il suo nome - in Questura è entrato vivo ed è uscito morto. Era sopravvissuto alla dittatura quel giovane quindicenne, ma gli sarà fatale la democrazia che aveva contribuito a conquistare. Anche la sua sposa aveva osato disturbare la Giustizia, ed anche alla sua impudenza era toccato pagare le spese processuali. Coloro che avevano provocato al marito “il malore attivo” (non il volo dal quarto piano come sostengono i maligni e gli scettici: come può volare un uomo che non ha le ali? Che logica è questa? Dove mai, se non nella mitologia, si era sentito di un uomo volare?) non hanno versato neppure un obolo di risarcimento. 

La Banca Nazionale dell'Agricoltura

A cinquant’anni da quegli eventi ecco i risultati: “Sono state condotte cinque istruttorie, celebrati dieci processi, dispiegate risorse ingenti, ma nessuna verità giudiziaria è stata scritta”. Queste, riportate in corsivo, sono le parole del giudice Guido Salvini, il giudice che ha condotto l’ultima istruttoria per l’ultimo processo sulla strage. Le scrive alla pagina 427 del suo ponderoso libro che di pagine ne ha ben 611. Leggendolo attraverso i documenti esibiti, le intercettazioni acquisite, i pezzi di interrogatori rivelatori, le testimonianze dei protagonisti, le ammissioni provenienti da fonti differenti e confrontate per verificarne i punti di contatto, gli elementi di coerenza, la rabbia vi monta alla testa perché non riuscite a spiegarvi se in questo giubileo in cui tutti saranno assolti e i colpevoli potranno farsi beffe della giustizia, abbia prevalso l’ignavia superficiale dei dilettanti o la più ottusa stupidità. Che aggettivo usereste voi per un processo di strage in cui non viene prestata alcuna attenzione proprio all’elemento che la strage ha causato, cioè l’esplosivo? E come giudichereste la decisione di una Procura che non si preoccupa di farlo analizzare da un suo perito, un esperto di esplosivo, e di accettare pecorescamente quanto affermato dalla consulenza della difesa degli imputati? “Eppure i pubblici ministeri avevano sotto gli occhi la gelignite iugoslava ad alto potenziale, il Vitezit, un plastico in grado di causare effetti devastanti”, scrive Salvini. E di questo genere di esplosivo a disposizione delle cellule neonaziste venete, avevano parlato diversi membri di quelle cellule: “Digilio, Siciliano e altri testimoni” (pag. 407). E come giudichereste il comportamento tenuto nei confronti di un pentito come Martino Siciliano, ex militante di Ordine Nuovo, collaboratore dall’ottobre del 1994? Nel maggio del 1998 aveva potuto lasciare il Palazzo di Giustizia senza che qualcuno se ne preoccupasse, e rientrare tranquillamente in aereo in Colombia. Siciliano non era un testimone qualunque: aveva fatto parte di quel mondo, e aveva confermate le rivelazioni di Carlo Digilio sul camerata Delfo Zorzi. Digilio aveva incontrato Zorzi in un parcheggio alla periferia di Mestre e questi gli aveva mostrato un bagagliaio con cassette zeppe di esplosivo: “(…) doveva trasportare queste cassette a Milano” aveva detto Digilio ai magistrati, e siamo ai primi di dicembre del 1969. Ma sentiamo anche le parole di Siciliano: “Delfo Zorzi, nella notte di Capodanno del 1969, confidò a me e a Giancarlo Vianello che la strage di piazza Fontana non era stata compiuta dagli anarchici. Ci fece capire che era opera nostra, di Ordine Nuovo”. È solo un assaggio di quanto troverete in questo indispensabile libro.

Giuseppe Pinelli

Non sappiamo se davvero, come recita il titolo del libro di Antonella Beccaria e Simona Mammano, la strage di piazza Fontana si poteva evitare. Non si era voluto tener conto delle rivelazioni del professor Guido Lorenzon; non si era dato ascolto a quanto rivelato da Livio Iuculano, men che meno alle indagini del commissario Pasquale Juliano. Tuttavia Salvini scrive: “(…) colpire e rendere inattive le cellule neofasciste padovane sarebbe stato facile per degli investigatori determinati. Sarebbe bastata qualche intercettazione, qualche accertamento in più e qualche pedinamento e servizio di osservazione dei loro movimenti per arrivare anche al decisivo casolare di campagna”. 
Il casolare nei pressi di Paese, come si scoprirà in seguito, e dove i bombaroli custodivano armi ed esplosivo. Si era ancora a mesi prima della strage, allo stillicidio di attentati che l’avevano preceduta, e si poteva neutralizzarli, ma si era voluto ostinatamente guardare in un’unica direzione. I depistatori avevano poi preso in mano la regìa e fatto il resto.

Guido Salvini

Ma dopo, anni dopo, quando le falle dell’omertà si erano aperte, perché l’indagine si è interrotta? Perché i testimoni sono stati dimenticati? Perché si è dato avvio ad una guerra contro un magistrato del Palazzo di Giustizia di Milano, gli uomini migliori che lo supportavano, le componenti pulite che con il loro impegno investigativo e la loro collaborazione leale avevano impresso una svolta decisiva per giungere almeno alla verità giudiziaria? C’è stato un periodo in cui il quotidiano ‘la Repubblica’ ha messo in prima pagina per mesi una serie di domande poste all’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Sarebbe magnifico e democraticamente salutare, se oggi riprendesse a fare lo stesso nei confronti di quei magistrati ancora in vita responsabili della Procura di Milano, chiamandoli in causa con nomi e cognomi e formulando loro una serie di domande secche. Il libro di Salvini e Sceresini porta come sottotitolo: L’indagine interrotta. I testimoni dimenticati. La guerra tra i magistrati; ecco, c’è materia bastevole per formulare con estrema semplicità le domande necessarie per chiedere conto.

Il giorno del funerale delle vittime

La terza parte di questo volume si intitola La guerra tra magistrati. Preferisco non parlarvene; mentre leggevo ho dovuto fare un notevole sforzo per non vomitare. A lettura finita mi sono chiesto che cosa penseranno i familiari delle vittime della strage quando si imbatteranno in queste pagine; che cosa penseranno gli studenti a cui gli educatori cercano di trasmettere l’amore della legalità e della giustizia. A mio modo sono un educatore anch’io; nel mio lavoro di scrittore c’è anche un libro per ragazzi, un libro di fiabe con un profondo substrato morale. Il tema della giustizia non può mai mancare in un libro di fiabe per ragazzi, ed essa, la giustizia, deve uscire trionfante per arginare il male e risarcire la bontà e la rettitudine. Se trionfasse il male, la malvagità, l’arbitrio, il ragazzo ne rimarrebbe ferito nella parte più fonda. Verrebbe guastata sin da subito la sua anima, sporcata per sempre. Non maturerebbe più alcuna fiducia verso la giustizia, i rapporti leali fra gli uomini, il consesso sociale. In quel libro di fiabe la giustizia opera sempre, senza ferocia, anche verso i più infami, la sua opera risarcitoria, di ristabilimento di un ordine morale che il disordine dell’illegalità ha generato. Non mi faccio illusioni: so che la stragrande maggioranza degli uomini non ha alcuna fiducia verso la giustizia e i suoi officianti. E tuttavia come uomo e come intellettuale non voglio perdere la speranza; non voglio accogliere dentro di me il pessimismo di quegli anziani che in Calabria, ancora bambino, mi ripetevano di diffidare perché la bilancia della giustizia è truccata e la benda che porta sugli occhi è trasparente, sa bene dove guardare. 

Guido Salvini

Il terzo capitolo del libro di Salvini darebbe ragione a loro, ed avrebbe potuto intitolarsi: “Il Palazzo del disonore”. Così ora è divenuto per me quel sinistro Palazzo di Marmo di Corso di Porta Vittoria, dove si è consumata per un ragguardevole numero di anni quella che Salvini ha definito “storia cupa, di vergogna umana, politica e giudiziaria”. Non è stata solo una guerra dichiarata ad un singolo magistrato che faceva il suo dovere; è stata una guerra dichiarata alle vittime innocenti della strage di piazza Fontana, ai loro familiari, ai cittadini milanesi, alla parte pulita del popolo italiano.

Le conseguenze
Ugo Cavicchioni è morto a Verona nel 2009
Giovanni Ventura è morto in Argentina nel 2010
Gianni Casalini è morto a Padova nel 2012
Marco Foscari è morto a Maiorca nel 2013
Carlo Digilio è morto a Bergamo nel 2015
Ivano Toniolo è morto a Luanda nel 2015
Marco Pozzan è morto a Padova nel 2016

Nessuno li ha cercati prima che morissero, così come nessuno ha disturbato quelli ancora in vita o riparati all’estero. Con alcuni ci ha provato Salvini: li ha incontrati più e più volte, riuscendo a vincere la loro diffidenza. Gli esiti di quegli incontri e di quei colloqui sono ora riportati ampiamente nel suo libro. Sono confessioni e testimonianze di protagonisti diretti che illuminano zone d'ombra, svelano i retroscena, aprono nuove piste, offrono conferme. Salvini non si è arreso, anche se oramai, a distanza di cinquant’anni, la verità pare non interessare più. 

Una modesta proposta
Da più parti si lamenta la mancata conoscenza, fra gli studenti delle scuole superiori, di quanto è avvenuto il 1969 a Milano. All’inerzia dei vari Ministri dell’Istruzione potrebbero supplire facilmente i dirigenti scolastici e i consigli di classe con decisioni autonome (visto che la libertà di insegnamento è uno dei cardini della Costituzione) e introdurre libri come questi di Salvini e di tanti altri autori. I titoli non mancano ed in questi anni la bibliografia si è notevolmente arricchita.

 
La copertina del libro

Guido Salvini con Andrea Sceresini
La maledizione di piazza Fontana
Chiarelettere Editore 2019
Pagg. 611 € 22,00