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lunedì 23 dicembre 2019

L’INCENDIO DI ROCCABRUNA DI GACCIONE
di Giulia Contri*
Giulia Contri
al centro della Foto

Ossessione dei soprusi dei potenti, o desiderio di alleanza tra conviventi?

A me che faccio la psicoanalista un testo narrativo interessa per la modalità percettiva e stilistica insieme della realtà tipica del narratore.
Il testo di Gaccione mi ha interessato per aver proposto soprusi, misfatti, atrocità interni ad una società contadina chiusa, violenta, arcaica, e per averlo fatto con una modalità e uno stile al servizio di una ripetitività coatta dei conflitti tra individui e tra classi, cui gli uomini pare non riescano a sottrarsi.
Gaccione tali coatti conflitti li rigetta con una condanna silenziosa, che traspare dall’oggettività del suo narrare.
Ecco allora i ‘galantuomini’ feroci con i sottoposti, e poi i sottoposti feroci con i dominatori, senza soluzione di continuità.
Sono i titoli stessi dei racconti della raccolta a dirci di questa ferocia bilaterale di individui e di classi gli uni contro gli altri armati: “La faida”, “Il supplizio”, “I giustizieri”, “I due furfanti”, “I cannibali”, “Il veleno”: anche “L’innocente”, che assume come protagonista un individuo che non si muove con la logica della ferocia, si ritrova necessariamente vittima della stessa in quanto imperante nella società.
Lo stile e il procedimento narrativo comune un po’ a tutti i racconti è quello già caratterizzante il primo, “L’incendio di Roccabruna”: al sopruso intollerabile del potente nei confronti del debole si oppone la risposta reattiva della vendetta, altrettanto distruttiva, dei violentati.
Purtroppo la ribellione è l’unica risposta pensata dai sottoposti, individui di una classe debole a fronte di una classe potente, che poi però tra loro si schiacciano senza pietà.

C. Azzola - G. Contri
L. Cantelmo - F. Ravizza
alla Libreria Zivago
in occasione della presentazione
del libro di Gaccione

Con le vittime del potente resta sul terreno il rudere scheletrico del castello del violentatore incendiato dai violentati: a mostrare anche metaforicamente l’annichilimento totale dei contendenti.
Certo la storia mostra che nei secoli le rivolte dei deboli in risposta ai soprusi dei potenti non hanno mai spostato, almeno nel breve periodo, gli equilibri della società: dopo l’eccidio di Roccabruna del 1806, nel caso, ci dice Gaccione, in cui i roccabrunesi si alleano con i banditi fuorilegge che “incendiano”, “violano”, “squartano” chi ha, chi possiede, i borbonici approfittano della rivolta per ristabilire l’antico dominio.
E sono i “minchioni” che con i loro sconsiderati comportamenti “fanno camminare il mondo dei furbi”, afferma ancora il narratore (nel caso a seguito di una credenza fanciullesca mostrata dai roccabrunesi in una certa circostanza): a dire che le masse non vanno spesso storicamente al di là della reattività del momento, spalancando così le porte ai profittatori della loro debolezza.
È stato detto nella Postfazione da Giuseppe Bonura che Gaccione ha l’ossessione del male: la ripetitività infatti delle azioni sadiche oggettivamente descritte nei suoi racconti - si tratti di sgozzamenti, massacri, stragi, orrendi omicidi tra famiglie diverse o all’interno di una stessa famiglia - sarebbe lì a dimostrarlo.
Le ripetitività di faide di tipo mafioso, di associazioni per delinquere, di intese assassine che caratterizza il suo narrare, ci fa capire che Gaccione conosce il male per l’infinito suo riproporsi nel pensiero di ciascuno di noi oltreché nella storia.

La copertina del libro

Per averlo voluto e volerlo, insomma, anche lui nei propri rapporti, il male, e non importa se non nelle stesse forme distruttive mafiose.
E per la difficoltà di vincerlo, personalmente e politicamente, con intese, accordi, alleanze, che a quella volontà malefica facciano da contraltare.
Il male di cui ci parla Gaccione ha a che fare, insomma, con quella pulsione di morte del pensiero individuale di cui tratta Freud: pulsione asfittica, che imprigiona nel provincialismo riduttivo e omicida della famiglia chiusa gli uomini, e fa loro rinunciare all’universo degli altri con cui costruire un pacifico e fruttuoso rapporto vedendone la convenienza.

*Psicoanalista della Società Amici del pensiero
Sigmund Freud di Milano