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giovedì 23 gennaio 2020

Libri
INTORNO A DIOCREME IN CIANCE
Conversazione tra Cesare Vergati e Giulio Giorello

C. Vergati

Vergati: L’arte e la scienza viaggiano insieme: sono compagni di medesima strada, compagnons de route. Come nell’arte, come nella vita, così anche nella scienza l’uomo ha da fare i conti con la pratica ferocemente voluta dal modo d’essere di Diòcreme (anagramma di mediocre); il culto, l’idolatria sua per l’umidità, scrive Virginia Woolf: “...damp, which is the most insidious of all enemies,..damp is..ubiquitous” Orlando p. 157, Penguin Books, (“l’umidità, nemico oltremodo insidioso.. sembra avere il dono dell’ubiquità) p. 784 I Meridiani Mondadori, Milano, 1998.

G. Giorello

Giorello: Certamente, anche nell’ambito del pensiero scientifico si ha a che fare con questo diffuso fenomeno. In tale senso appare chiara la modernità di John Milton. Nel Paradise Lost Milton scrive: “What pleasure I from such obedience paid, When will and reason (reason also is choice) Useless and vain, of freedom both despoiled, Made passive both, had served necessity, Not me. (“E che piacere, io, da un simile tributo d’obbedienza, quando la volontà e la ragione e la ragione è essa stessa una scelta si fossero ridotte a cose inutili e vane, spogliate entrambe della libertà, rese entrambe passive, utili ormai a servire non me ma unicamente la necessità?”): Mondadori, Milano 1984, a cura di Roberto Sanesi, libro III vr. 107-111. Milton pone l’accento sulla forza della ragione, quale supremo strumento di libertà. La questione scientifica è stata sempre un metodo d’indagine volto a rivendicare piena facoltà di scelta. Il problema della scelta si imponeva già nella contrapposizione tra il sistema tolemaico e quello copernicano; nell’esigenza di dare rilevanza al pensiero di Giordano Bruno; per non dire del dibattito novecentesco sulla materia, del contributo di Einstein (teoria della relatività) e quello di Planck (teoria dei quanti ). In ultima analisi la scienza ha dovuto scegliere di andare in una direzione o nell’altra. La ragione, in quanto facoltà del pensare, deve fare le sue scelte.

V: Nel poema il nostro singolare personaggio invece rimane fermo, immobile, a mezza strada; in un perenne incontrovertibile, stagnante, immutabile, insormontabile stato delle cose, perso letteralmente in mezzo alle cose, intimamente compreso di una immancabile bislacca volontà, che serve dunque unicamente la necessità, orfana di pensiero: sebbene sentimentalmente - quale suo cupo cavernoso malessere in questa contraddizione - sia legato (inevitabilmente) alla sua straziante penosa affannosa condizione. Riguardo alla ragione chissà potremmo suggerire che La raison a ses raisons que le coeur ne connaît point (La Ragione ha le sue ragioni che il cuore non conosce punto), per semplice aggiunta al ben noto adagio filosofico di Pascal, in qualità “d’omesso” elemento dialettico. Il concetto di scelta - il modo del discernimento - abbiamo naturale coerenza di porlo accanto a quello di responsabilità.

G: Responsabilità politica, anzitutto. Nell’agorà greca la persona che interviene nello spazio pubblico della polis, consacrato alla riunione dei cittadini per valutare più idee, più opinioni, fornisce i suoi motivi, compiendo un atto d’assunzione di responsabilità. Opera una scelta, modalità questa che va oltre quella consueta del mito. Si ritrova questo modo d’essere già nei presocratici, e poi in Protagora, in Gorgia, e anche in Platone. Gli uomini greci usano creare una fondamentale cosmologia, grandiosa architettura politica sulla base di scelte ben precise e ricche di suggestioni filosofiche tali da lasciare ai posteri elementi decisivi per un pensiero che si fondi, in senso lato, anche sulla ragione. Si pensi per esempio alla vivace e dinamica contrapposizione di immagini, concetti, argomenti nel contrasto tra i fautori degli atomi e vuoto (Democrito) e gli avversari, come Platone e Aristotele.

V: Diòcreme l’uomo umido, sulla nubecola, prigioniero come in angusta e sinistra segreta mortifera cella - remoto al mondo - per mente abita (paradossalmente) in ambiente oscuro, sotterraneo; rifugge dalla consapevolezza del suo stato effigiato a meschina esistenza, il simile di un cadavere istoriato su muffido arazzo, poiché una eventuale presa di coscienza politica, in senso greco, avrebbe l’effetto di un cataclisma, lo stesso cataclisma che questa maschera di livore e violenza vorrebbe portare a termine contro i non mediocri; l’atto della sola volontà, sua vera necessità, deliberatamente orbo della preziosa ragione: nell’esempio di una anatomia priva di fisiologia, fissa in una condizione, sempre l’eguale, di un ristagno insano del sangue. Nel suo generale modo di procedere la vita applica il metodo della scienza: per prove ed errori e dunque nell’essenziale si fa prova delle cose, costantemente, nella scelta. L’umido uomo si pone in una dimensione di fato ineluttabile, motivo nondimeno utile all’intento di compiacersi massimamente nel suo fermo guasto stato delle cose, nella curiosa soddisfazione di una istintiva incosciente sventata risolutezza. Diòcreme, così stando le cose, ha l’impellente bisogno, ha la volontà - in uso di tutte le forze, in sprezzo di tutta ragione - il tirannico proposito di dover far assurgere il suo stato a perfetta convenzione per l’universo intero: la convenzione della stasi.

G: Lo stato delle cose che Galileo, padre della scienza moderna, fisico, astronomo, matematico e letterato, per l’appunto mette in discussione. Insomma mette in discussione lo stato immoto delle cose poiché non si accontenta della superficie delle apparenze, e ammette che gli avversari mordaci e malevoli in realtà rendono “più viva e più bella la mia ragione, e desser chiaro argomento che non vulgari fussero i miei componimenti, allegandomi una commune sentenza, che la vulgarità e la mediocrità, come poco o non punto considerate, son lasciate da banda, e solamente colà si rivolgono gli umani intelletti ove si scopre la meraviglia e l’eccesso, il quale poi nelle menti mal temperate fa nascere tosto l’invidia, e appresso, con essa, la maldicenza”: Il Saggiatore, a cura di Libero Sosio, Feltrinelli, Milano, 2015, p. 13; e pertanto considera falsa la “ferma credenza, che nel filosofare sia necessario appoggiarsi all’opinioni di qualche celebre autore, sì che la mente nostra, quando non si maritasse col discorso d’un altro, ne dovesse in tutto rimanere sterile ed infeconda… La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non si impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica”, p. 38, concetto peraltro presente già in Leonardo. Galileo si situa nella responsabilità della scelta: per uso del saggiatore (la bilancia della precisione), per riferimento alle osservazioni empiriche, e ribadisce coerentemente l’esigenza di combattere per la libertà; in lotta, pur aspra, contro l’atteggiamento di prevenuta ostilità nei confronti della ragione e dell’esame scientifico. Lo scienziato rappresenta una propria visione del mondo, un proprio punto di vista allo scopo di promuovere un dibattito aperto: sul grande libro, sul vasto mondo; dibattito che ha l’intento di porre il metodo dell’antica agorà al centro del pensiero scientifico. A questo proposito sorge spontaneo richiamare le parole di John Stuart Mill: “If all mankind minus one, were of one opinion, and only one person were of the contrary opinion, mankind would be no more justified in silencing that one person, than he, if he had the power, would be justified in silencing mankind…. But the peculiar evil of silencing the expression of an opinion is, that is robbing the human race; posterity as well as the exiting generation; those who dissent from the opinion, still more than those who hold it” (Penguin Books, 2010, p.27).
(“Se tutti gli uomini, meno uno, avessero la stessa opinione, non avrebbero più diritto di far tacere quell’unico individuo di quanto ne avrebbe lui di far tacere, avendone il potere, l’umanità. Ma impedire l’espressione di un’opinione è un crimine particolare, perché significa derubare la razza umana, i posteri altrettanto che i vivi, coloro che dall’opinione dissentono ancor di più di chi la condivide”). Saggio sulla libertà, il Saggiatore, Milano 2014, p. 35). Portiamo in noi invero l’intrinseca urgenza di rappresentare più punti di vista: diversi gli uni dagli altri, talvolta rivali.

V: Lo stesso Pirandello nella sua opera mette in guardia dal considerare la verità, intesa come univoca interpretazione del reale, come qualcosa di dato una volta per sempre e definibile a priori. Così l’uomo umido crede sentirsi sicuro nella micidiale lotta, - peraltro del tutto fantastica ed a forma onirica di incubo - agli oppositori favolosi, ai talenti; effettivamente dimora in un microcosmo all’aspetto sinistro, quasi a dirsi una maligna favola, una fiaba maledetta, l’intenzione d’ instaurare un infido clima; si trova in spasmodica attesa - seguendo suo abituale magheggio - di un venire a lui tutta gente, come una moltitudine attorno ad un ciarlatano. D’altronde val bene rievocare l’audace proposito di Miss Evelyn Beatrice Hall: “I disapprove of what you say, but i will defend to the death your right to say it” (Disapprovo quel che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto a dirlo): in biografia dedicata a Voltaire. Così Milton il poeta, nel suo scritto polemico Areopagitica, sceglie di lottare a favore della libertà di stampa, contro la censura, contro l’infamia di un Editto del Parlamento (Press Ordinance) inteso a impedire il dibattito delle idee, il libero movimento dei pensieri, e a contrastare la cultura.

G: Occorre sottolineare che esistono comunque frammenti di verità che si basano su dati di fatto, da cui il metodo scientifico prende origine. L’interpretazione non può disconoscere ovvero omettere alcuni elementi obiettivi che hanno avuto l’avallo autorevole dell’operare della scienza. L’interpretazione, che si oppone al concetto di verità, sulle orme del sentire filosofico di Nietzsche, trae grande beneficio dal prendere in rigorosa osservazione anche questi frammenti di verità.

V: Questo concetto di apertura e diponibilità all’ascolto non pertiene al mondo dell’uomo umido tantomeno alla sua natura, poiché Diòcreme resta saldo nel suo luogo costituito ora da una rocca diroccata, ora da una barca, ora da una nubecola, luoghi immutati ed immutabili; infatti il viaggio che intraprende - necessariamente - da terra a mare a cielo, in realtà, non è altro che un tutto fallace, una mera spuria invenzione mentale, un voluto inganno di sé, perché l’interna sua consueta percezione si vuole solamente protesa a conservare lo status quo (in suo singolare intendimento e convenienza), come sospeso lui per infinito tra vita e morte: a metà in una totale clausura inalterabile, al contempo sua beatitudine e disperazione, conforme alla sua indispensabile regola di stare felicemente ed infelicemente ancorato per sempre allo stato delle cose, incapace una volta di più di far appello alla ragione, quella che Lucrezio invita a praticare, in De rerum natura, di diffidare della superstizione, (destinata comunque a dissolversi), del proprio credo eretto a pensiero unico. Diòcreme di fatto si scaglia con furore contro “l’inattuale” - unzeitgemaess presso Nietzsche - colui che non è conforme al tempo diocremèo, all’epoca che ha come misura la mediocrità.
 
La copertina
G: Nella contemporaneità, in modo evidente, si osserva un impulso che parrebbe irresistibile a voler corteggiare l’attuale: l’avidità di sottomettersi a concetti predominanti, sovente confusi in opera di scaltro maneggio, affogati tutti in uno stesso calderone; siffatto  guazzabuglio è composto da concezioni del reale le più facili, le più approssimative, unite - quanto durevolmente - ai luoghi più comuni, a più frettolosi, superficiali, esteriori intendimenti del mondo e delle sue cose, congiunte in ultimo a una percezione arida del fare politico e sociale dell’uomo nel suo insieme.

V: In ultima analisi infatti l’animo dell’uomo umido, di Diòcreme, si sistema in un orizzonte tutto lineare fatto di sola volontà, in assenza di ragione, in elusione manifesta di un eventuale intenso viaggio fin dentro la radice delle cose - il profondo d’essere - pienamente coinvolto nell’inesauribile progetto di ridurre a niente i non mediocri.