Pagine

domenica 12 gennaio 2020

L’INCENDIO DI GACCIONE
di Giorgio Colombo
Giorgio Colombo

Roccabruna è un bel nome inventato, con le sue contrade, e ingiustizie, e delitti, e segreti (“la parola è fatta per nascondere il pensiero” (p. 86), un paesino vicino a Cosenza, la città dell’autore, Angelo Gaccione, che si espone spesso in questi suoi racconti in prima persona, salvo una volta che risale a suo nonno per il ricordo di un “Ammazzarono chissà su ordine di chi…” (p. 49). Ma gli ammazzati sono tanti: il primo è Basco, un povero pastore: “Le tracce sul terreno dimostravano che aveva rantolato disperatamente prima di spegnersi (p. 15). La risposta alle ribellioni, impiccati alle porte del paese, oppure “legati a un trave… e spaccati in due a colpi di scure”, senza contare i morti presunti tumulati nella tomba ancora vivi, i tradimenti, l’uso del veleno. E ancora: “…Un mittente anonimo fece giungere al mio indirizzo di Milano, un plico contenente una serie di documenti sul delitto” di Serena Sparvieri, (…)” in modo che la penna dello scrittore tramandasse l’infamia ai posteri (p.88-89). Si tratta non di una disgrazia capitata alla figlia del Prefetto (in realtà si tratta di un delitto avvenuto vent’anni prima!). Dunque anche i ricchi, i potenti, i nobili non stavano tranquilli. Non solo il caso, qualche volta favorito, la morte per fuoco: “Chiusi in quella morsa senza Speranza, assaliti da quei cerchi di fuoco, (…) il palazzo, gli animali, gli sgherri, i beni, la roba, don Vincenzo stesso, furono travolti e inghiottiti” (p. 26), ma la volontà esplicita degli antagonismi e dei tribunali, non rispettosi di titoli nobiliari: “Li aragonesi condussono infra allo schermo et alle ignominie Niccolò Clancioffo defensore valentisssimo di Roccabruna et viro laudato, in sulla pubblica piazza. Quivi sotto alli occhi increduli delli populari, Maso Barrese ordinò che quelli fusse con una sega a doe metà segato” (p. 45).
Se “a quei tempi… davanti ai tribunali degli uomini” gli animali erano tenuti in opportuna considerazione (si veda il racconto “Il document rubato”), nel mondo moderno la situazione si capovolge. Nel racconto che chiude il libro (“L’uccisione dei cani”),un malandrino “detto il bandito” è pagato “mille lire al colpo” per andare ad ammazzare i cani del canile comunale; ci va con un compare e il figlio di sette anni, per insegnargli il mestiere; una specie di rito di iniziazione alla vita. “(…) Affamati, assetati di vendetta, si erano dilaniati a vicenda in una spaventosa furibonda lotta all’ultimo sangue, per un brandello di carne, un minimo di spazio vitale, di liquido per sopravvivere… Alcuni erano completamente privi di pelo, altri erano schletrici e spolpati. Quelli più vecchi stentavano a reggersi sulle zampe, molti tremavano, quasi tutti erano pieni di zecche, costretti com’erano a rivoltarsi nel proprio sterco…”. Si tratta dell’esistenza dei miseri cani stipati dentro un improbabile canile, in realtà un casolare-lager. “Sparavano mirando nel mucchio e mano a mano che i cani cadevano… le file si assotigliavano e i gruppi diventavano più radi… Mezz’ora più tardi l’odore acre della polvere delle cartucce sovrastava il fetore dello sterco e delle carcasse decomposte”. (p. 102-3). 
“Giungo ora ad un racconto che mi pare possa modificare i tratti finora seguiti e perciò lo sposto come ultimo. È presentato come “un lungo rotolo in cartapecora datato 1237, siglato al numero 39, redatto in latino volgare (p. 91)”. Ecco cosa avveniva a Roccabruna: “Nascevano creature mostruose col corpo umano e la testa di animale, e viceversa. Porci che mangiavano bambini, cavallette e altri insetti velenosi che divoravano i raccolti, uccelli giganteschi che rapivano i fanciulli, muli e vitelli che assassinavano i loro padroni, mandrie che si abbandonavano furiose ad ogni sorta di violenza e di rovina… e altri animali ancora che infettavano l’aria spargendo malattie, rovinavano le vigne, avvelenavano le acque…. I tribunali condannavano allo squartamentouomini e animali colpevoli di accoppiamento sessuale contro natura”. Uomini, donne e fanciulli le cui sembianze rivelavano un che di animalesco, venivano tagliati a pezzi e seppelliti nel letame… si trattava di ‘ibridi’ dale sembianze mostruose. Una scrofa che aveva tranciato in due la gamba di un arciere “colà addivenuto per cacciare”, imprigionata è condannata a morte, strangolata con mossa decisa dal boia  Terratrema, verrà fatta a pezzi per i cani. Questo non significa che in quei tempi gli animali non fossero parte della comunità e perciò tutelati dalla giurisprudenza, ma non mescolati, confusi col mondo umano.
Predicatori, militari e statisti interruppero violentemente le mostruose mescolanze. Con l’introduzione del ductum naturae suae si volle ciò che sarebbe “conforme al diritto, alla ragione, alle usanze e alle costumanze della Contea di Roccabruna” (p. 92-95). Orrori pacificati, è probabile.    
Fine delle metamorfosi pericolose. Quasi un gioco, un divertissement, se non poggiassero, queste vicende, su concreti documenti storici. E in effetti questo racconto risulta un gioco stravagante rispetto ai racconti precedenti, nonostante l’assicurazione dell’autore che “nulla è stato inventato”, così che “il documento rubato” (e in quell ‘rubato’ c’è il tentativo di alleggerirne il peso) ci appare come una inserzione fantastica, una cronaca a lieto fine che se riesce ad alleggerire le crudeltà della cronaca nera precedente, tuttavia non attenua il disagio, l’orrore del lettore.
Forse Gaccione, persona mite ed affabile, con queste storie estreme, cerca anche di esorcizzare le sue paure “originarie” incoraggiando il lettore a fare altrettanto.


Angelo Gaccione
L’incendio di Roccabruna
Di Felice Edizioni 2019
Pagg. 120 € 12,00