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sabato 8 febbraio 2020

MITOLOGIE CONTEMPORANEE
di Franco Romanò


Bettino Craxi

Craxi e la classe politica della Prima Repubblica

Gli anniversari sono dei passaggi importanti e anche obbligati: non stupisce quindi che il nome di Bettino Craxi sia ritornato. Non c’è da stupirsi che le sirene della riabilitazione abbiamo preso a suonare, ma non mi sembra questa l’operazione più pericolosa in corso. Ancor più subdole, sono le sirene più alte che intonano dei peana alla Prima Repubblica, contrapponendola al degrado attuale della cosiddetta classe dirigente: ma come è nata la Seconda Repubblica?  Silenzio. Ripartiamo dunque dal problema più grande: la Prima. Diamo per scontato che i padri e le poche madri costituenti, con la Resistenza appena finita alle spalle e il varo della Costituzione fossero un ceto politico di decorosa statura; ma già da un anno chiave - il 1964 - quando si vide che né la legge truffa del ’53, né il tenue riformismo del primo centro-sinistra erano riusciti a vincere la resistenza operaia e popolare alle aggressioni poliziesche e politiche del centrismo, una parte consistente della classe dirigente democristiana, socialdemocratica e liberale, aprì con il Piano Solo la stagione che sfocerà dal ’69 in poi nella strategia della tensione con il suo corredo di stragi e di morti, a cominciare da Piazza Fontana. Questa strategia, che la manovalanza fascista da sola non avrebbe potuto realizzare, si avvalse di complicità negli apparati dello stato, di depistaggi e occultamenti. La vera e propria guerra asimmetrica contro il movimento operaio e studentesco fu condotta con metodi terroristici. Da questo bisogna partire e da questo tutto ha avuto inizio, in anni precedenti il’68 e dunque a prescindere da quei movimenti e dalla scelta sciagurata che una parte avrebbe compiuto abbracciando la lotta armata. Alcuni libri recenti e in particolare due - la Bomba di Enrico Deaglio e La maledizione di Piazza Fontana scritto dal giudice Guido Salvini e dal giornalista Andrea Sceresini, ricostruiscono in modo puntuale il contesto di quegli anni e di quelli immediatamente precedenti la nascita della Seconda Repubblica. Queste pubblicazioni, fra i molti pregi, hanno anche quello di smascherare una narrazione secondo cui nella Prima Repubblica ci sarebbe stata una sorta di collateralismo fra i governi democristiani e le sinistre, in una sorta di asimmetrica diarchia. Il collateralismo vero, invece, fu quello con le forze eversive della destra fascista, riciclate in tutti i gangli più delicati dello stato, a cominciare dall’Ufficio Affari Riservati del Viminale, erede diretto di quello creato dal regime fascista. La mancata epurazione dei funzionari compromessi e persino di qualche generale (Roatta), si tradusse dal 1949 in poi, data della firma del Patto Atlantico, in una sistematica occupazione da parte di queste forze degli apparati più delicati dello stato e fu sostanzialmente subita anche da funzionari e dirigenti leali. Nessun doppio stato, nessun servizio deviato, ma una doppia fedeltà di cui quella alla Costituzione, era la meno importante. Questa fu la classe politica delle Prima Repubblica reale, prigioniera dei propri omissis anche nei suoi uomini migliori.

Partendo da tale premessa, penso che il problema e il modo di arrivare a un giudizio politico sulla stagione craxiana nel più ampio discorso sulla Prima Repubblica dipende dal tipo di domande che si pongono e da quali sono le scelte sue, gli atteggiamenti suoi prima di diventare Presidente del Consiglio, poi gli atti compiuti dai governi di quegli anni che si ritengono da prendere in considerazione per arrivare a una visione d’insieme di quel periodo. Ne ricordo alcune, aggregando sinteticamente l’azione di tre esecutivi: i due di Craxi e il primo governo Amato che fu il precipitato massimo di un’intera stagione: 1)’intento spaccare il movimento operaio e sindacale come premessa al punto 2) L’abolizione per legge di 3 punti della scala mobile e la sua sostanziale demolizione che sarà completata successivamente; 3) La rottura formale dell’unità antifascista negli atti compiuti, negli atteggiamenti e nell’uso di un linguaggio arrogante che avrebbe fatto molta strada dopo di lui; 4) L’apertura a riforme istituzionali di tipo presidenzialista. 5) La manipolazione delle preferenze con l’invito a votare servendosi di strumenti (il normografo) che rendessero controllabile il voto stesso; 6) Una legge sui mezzi radiotelevisivi che mise nelle mani di Berlusconi un potere enorme - ma ancor più - che avviò la stagione della televisione spazzatura; 7) Il nuovo Concordato con il Vaticano. 8) Il taglio di 30.000 miliardi di spesa pubblica e il prelievo forzoso dai conti correnti, in modo indiscriminato. 9) Le legge finanziaria del governo Amato con un taglio della spesa pubblica di 100.000 miliardi di lire dell’epoca che diede inizio al massacro sociale e alla demolizione del welfare: poi la definitiva abolizione della scala mobile per legge. Il fatto che il governo Amato sia stato varato quando la parabola di Craxi era già compromessa, non cambia nulla: nel gioco dei ricatti reciproci quella legge finanziaria doveva farla un socialista affinché il partito di Craxi pagasse il fio dentro una logica feroce che è quella dell’antico detto romano vae victis. Va da sé che i soli a pagare veramente furono i lavoratori e le lavoratrici italiane. Gli atti di governo ricordati bastano e avanzano per un giudizio storico e politico irrevocabile su Bettino Craxi. Il resto e cioè gli episodi conclamati di corruzione che lo videro protagonista e giustamente condannato da un punto di vista giudiziario, ma ancor più la sua personale arroganza, ne fecero il capro espiatorio ideale su cui riversare tutte le contraddizioni di un sistema politico bloccato che non aveva più vie d’uscita, anche perché, con la caduta del Muro di Berlino, era venuta meno la necessità di tollerare l’anomalia italiana nel campo occidentale: uno stato che pur appartenendo all’Alleanza Atlantica commerciava come nessun altro con il blocco sovietico, incassando così a due sportelli. Sulla fine politica di Craxi, e aldilà delle sue responsabilità comprovate, hanno giocato altri fattori ed è su questi che sarebbe utile tornare. Cosa è successo nel biennio 1992-3, anni che fanno impressione soltanto a scorrere alcuni degli eventi accaduti? Come e su quali presupposti è nata la Seconda Repubblica? Chi ha voluto oltre, prima e dopo i giudici quel tipo di liquidazione della classe politica e perché? Quali complicità politiche ed eterogenesi dei fini si sono coagulati intorno ai protagonisti apparenti e occulti di Mani Pulite? Come mai una volta rotto l’uovo malefico della Prima Repubblica la sorpresa dentro l’uovo si chiamava Silvio Berlusconi? Molti protagonisti di Mani Pulite lo furono in buona fede, altri furono usati sia a livello giudiziario, sia politico, altri furono dei comprimari, altri ancora delle macchiette manovrate più o meno consapevoli di esserlo, come sempre avviene in questi casi. Quanto poi all’arroganza e alla presunzione degli eredi dell’ex Pci i quali ritennero che, abolendo una classe politica, si sarebbero aboliti anche i loro elettori, c’è poco o nulla da aggiungere, se non che la vergogna del sistema elettorale maggioritario fu da loro voluta nella convinzione di vincere e addirittura stravincere. Il miracolo italiano fu la resistenza popolare a trenta e più anni di aggressioni eversive, una resistenza capace di salvaguardare finché fu possibile, conquiste importanti, tanto importanti che ci sono forze reazionarie che vorrebbero oggi abolire definitivamente quel poco che ne rimane per cancellarlo anche dalla memoria storica: un sistema sanitario pagato con la fiscalità generale e ancora senza ticket (anni ’70), lo statuto dei lavoratori (fine anni ’60 e inizio ’70), il nuovo  diritto di famiglia, la legge sul divorzio, la 194 sull’interruzione della gravidanza (anni ’70), una scuola in cui si ruppe la gabbia di una educazione autoritaria (dall’inchiesta sul giornale scolastico la Zanzare del ’65 e dal ’68 in poi), la nascita dei consultori e di altri organismi di autogestione dal basso della salute (anni ’70), l’uso del diritto di sciopero in forme degne di questo nome, /anni ’60 e ’70) la possibilità dei lavoratori di organizzarsi sui luoghi di lavoro, /anni ’70) una società - pur nei passaggi tragici che ho ricordato - fatta di relazioni più libere, la nascita dei movimenti femministi e di una nuova considerazione del rapporto fra personale e politico (anni ’70). Tutto questo cominciò a finire con gli anni ‘80 e la tragedia della lotta armata, su cui molto c’è ancora da capire, non può cancellare la responsabilità storica delle classi dirigenti di quegli anni e sarà bene non dimenticarlo. [Parte prima]