di Franco Romanò
Bettino Craxi |
Craxi e la classe politica della Prima Repubblica
Gli
anniversari sono dei passaggi importanti e anche obbligati: non stupisce quindi
che il nome di Bettino Craxi sia ritornato. Non c’è da stupirsi che le sirene
della riabilitazione abbiamo preso a suonare, ma non mi sembra questa
l’operazione più pericolosa in corso. Ancor più subdole, sono le sirene più
alte che intonano dei peana alla Prima Repubblica, contrapponendola al degrado
attuale della cosiddetta classe dirigente: ma come è
nata la Seconda Repubblica? Silenzio.
Ripartiamo dunque dal problema più grande: la Prima. Diamo per scontato che i
padri e le poche madri costituenti, con la Resistenza appena finita alle spalle
e il varo della Costituzione fossero un ceto politico di decorosa statura; ma
già da un anno chiave - il 1964 - quando si vide che né la legge truffa del
’53, né il tenue riformismo del primo centro-sinistra erano riusciti a vincere
la resistenza operaia e popolare alle aggressioni poliziesche e politiche del
centrismo, una parte consistente della classe dirigente democristiana,
socialdemocratica e liberale, aprì con il Piano Solo la stagione che sfocerà
dal ’69 in poi nella strategia della tensione con il suo corredo di stragi e di
morti, a cominciare da Piazza Fontana. Questa strategia, che la manovalanza
fascista da sola non avrebbe potuto realizzare, si avvalse di complicità negli
apparati dello stato, di depistaggi e occultamenti. La vera e propria guerra asimmetrica
contro il movimento operaio e studentesco fu condotta con metodi terroristici.
Da questo bisogna partire e da questo tutto ha avuto inizio, in anni precedenti
il’68 e dunque a prescindere da quei movimenti e dalla scelta sciagurata che
una parte avrebbe compiuto abbracciando la lotta armata. Alcuni libri recenti e
in particolare due - la Bomba di
Enrico Deaglio e La maledizione di Piazza
Fontana scritto dal giudice Guido Salvini e dal giornalista Andrea
Sceresini, ricostruiscono in modo puntuale il contesto di quegli anni e di
quelli immediatamente precedenti la nascita della Seconda Repubblica. Queste
pubblicazioni, fra i molti pregi, hanno anche quello di smascherare una
narrazione secondo cui nella Prima Repubblica ci sarebbe stata una sorta di
collateralismo fra i governi democristiani e le sinistre, in una sorta di
asimmetrica diarchia. Il collateralismo vero, invece, fu quello con le forze
eversive della destra fascista, riciclate in tutti i gangli più delicati dello
stato, a cominciare dall’Ufficio Affari Riservati del Viminale, erede diretto
di quello creato dal regime fascista. La mancata epurazione dei funzionari
compromessi e persino di qualche generale (Roatta), si tradusse dal 1949 in
poi, data della firma del Patto Atlantico, in una sistematica occupazione da
parte di queste forze degli apparati più delicati dello stato e fu
sostanzialmente subita anche da funzionari e dirigenti leali. Nessun doppio
stato, nessun servizio deviato, ma una doppia fedeltà di cui quella alla
Costituzione, era la meno importante. Questa fu la classe politica delle Prima
Repubblica reale, prigioniera dei propri omissis anche nei suoi uomini
migliori.
Partendo da tale premessa, penso che il problema e il modo di arrivare a
un giudizio politico sulla stagione craxiana nel più ampio discorso sulla Prima
Repubblica dipende dal tipo di domande che si pongono e da quali sono le scelte sue, gli
atteggiamenti suoi prima di diventare Presidente del Consiglio, poi gli atti
compiuti dai governi di quegli anni che si ritengono da prendere in
considerazione per arrivare a una visione d’insieme di quel periodo. Ne ricordo alcune, aggregando sinteticamente
l’azione di tre esecutivi: i due di Craxi e il primo governo Amato che fu il
precipitato massimo di un’intera stagione: 1)’intento
spaccare il movimento operaio e sindacale come premessa al punto 2) L’abolizione per legge di 3 punti della
scala mobile e la sua sostanziale demolizione che sarà completata
successivamente; 3) La rottura
formale dell’unità antifascista negli atti compiuti, negli atteggiamenti e
nell’uso di un linguaggio arrogante che avrebbe fatto molta strada dopo di lui;
4) L’apertura a riforme istituzionali di tipo
presidenzialista. 5) La
manipolazione delle preferenze con l’invito a votare servendosi di strumenti
(il normografo) che rendessero controllabile il voto stesso; 6) Una legge sui mezzi radiotelevisivi che mise
nelle mani di Berlusconi un potere enorme - ma ancor più - che avviò la
stagione della televisione spazzatura; 7)
Il nuovo Concordato con il Vaticano. 8)
Il taglio di 30.000 miliardi di spesa pubblica e il prelievo forzoso dai conti
correnti, in modo indiscriminato. 9) Le legge
finanziaria del governo Amato con un taglio della spesa pubblica di 100.000
miliardi di lire dell’epoca che diede inizio al massacro sociale e alla
demolizione del welfare: poi la definitiva abolizione della scala mobile per
legge. Il fatto che il governo Amato sia stato varato quando la parabola di
Craxi era già compromessa, non cambia nulla: nel gioco dei ricatti reciproci
quella legge finanziaria doveva farla un socialista affinché il partito di
Craxi pagasse il fio dentro una logica feroce che è quella dell’antico detto
romano vae victis. Va da sé che i soli a pagare veramente furono i
lavoratori e le lavoratrici italiane. Gli atti di governo ricordati bastano e
avanzano per un giudizio storico e politico irrevocabile su Bettino Craxi. Il
resto e cioè gli episodi conclamati di corruzione che lo videro protagonista e
giustamente condannato da un punto di vista giudiziario, ma ancor più la sua personale
arroganza, ne fecero il capro espiatorio ideale su cui riversare tutte le
contraddizioni di un sistema politico bloccato che non aveva più vie d’uscita,
anche perché, con la caduta del Muro di Berlino, era venuta meno la necessità
di tollerare l’anomalia italiana nel campo occidentale: uno stato che pur
appartenendo all’Alleanza Atlantica commerciava come nessun altro con il blocco
sovietico, incassando così a due sportelli. Sulla fine politica di Craxi, e
aldilà delle sue responsabilità comprovate, hanno giocato altri fattori ed è su
questi che sarebbe utile tornare. Cosa è successo nel biennio 1992-3, anni che
fanno impressione soltanto a scorrere alcuni degli eventi accaduti? Come e su
quali presupposti è nata la Seconda Repubblica? Chi ha voluto oltre, prima e
dopo i giudici quel tipo di liquidazione della classe politica e perché? Quali
complicità politiche ed eterogenesi dei fini si sono coagulati intorno ai
protagonisti apparenti e occulti di Mani Pulite? Come mai una volta rotto
l’uovo malefico della Prima Repubblica la sorpresa dentro l’uovo si chiamava
Silvio Berlusconi? Molti protagonisti di Mani Pulite lo furono in buona fede,
altri furono usati sia a livello giudiziario, sia politico, altri furono dei
comprimari, altri ancora delle macchiette manovrate più o meno consapevoli di
esserlo, come sempre avviene in questi casi. Quanto poi all’arroganza e alla
presunzione degli eredi dell’ex Pci i quali ritennero che, abolendo una classe
politica, si sarebbero aboliti anche i loro elettori, c’è poco o nulla da
aggiungere, se non che la vergogna del sistema elettorale maggioritario fu da
loro voluta nella convinzione di vincere e addirittura stravincere. Il miracolo italiano fu la resistenza popolare a trenta e più anni di
aggressioni eversive, una resistenza capace di salvaguardare finché fu
possibile, conquiste importanti, tanto importanti che ci sono forze reazionarie
che vorrebbero oggi abolire definitivamente quel poco che ne rimane per
cancellarlo anche dalla memoria storica: un sistema sanitario pagato con la
fiscalità generale e ancora senza ticket (anni ’70), lo statuto dei lavoratori
(fine anni ’60 e inizio ’70), il nuovo
diritto di famiglia, la legge sul divorzio, la 194 sull’interruzione della
gravidanza (anni ’70), una scuola in cui si ruppe la gabbia di una educazione
autoritaria (dall’inchiesta sul giornale scolastico la Zanzare del ’65 e dal
’68 in poi), la nascita dei consultori e di altri organismi di autogestione dal
basso della salute (anni ’70), l’uso del diritto di sciopero in forme degne di
questo nome, /anni ’60 e ’70) la possibilità dei lavoratori di organizzarsi sui
luoghi di lavoro, /anni ’70) una società - pur nei passaggi tragici che ho
ricordato - fatta di relazioni più libere, la nascita dei movimenti femministi e
di una nuova considerazione del rapporto fra personale e politico (anni ’70).
Tutto questo cominciò a finire con gli anni ‘80 e la tragedia della lotta
armata, su cui molto c’è ancora da capire, non può cancellare la responsabilità
storica delle classi dirigenti di quegli anni e sarà bene non dimenticarlo. [Parte prima]