Misericordia di Emma Dante al teatro Grassi di Milano
di Leonardo Filaseta
Il ritorno della grande regista
siciliana Emma dante al teatro Grassi (dal 14 al 18 febbraio) è diventato
l’evento teatrale dell’anno, che scuote e incide grossi segni. Il tema suo di
sempre dei derelitti e sofferenti qui scava nuove aperture: l’umano si apre al
più che umano. Tre amiche - Anna, Nuzza e Bettina - adottano il bambino di una
loro amica assassinata dal compagno dopo il parto. Fanno a gara nel giocare con
lui e aiutarlo a crescere e, una volta adulto, lo mettono in collegio perché ritengono
che lì possa avere una vita più comoda rispetto alla miseria di esse che vivono
alla giornata. Il bimbo Arturo rivela un vulcano di amore e riconoscenza per
l’intensità amorosa con cui è trattato. Non parla, ma impara con voracità il
linguaggio del corpo che si esprime con mossette, sgambate, capriole, gesti,
smorfie, strabuzzamenti che diventano un inno solenne alla vita dell’uomo
primordiale. Il suo crescere è crescere nelle capacità acrobatiche e di
comunicazione con la totalità del corpo, sempre in ebollizione. A lui
rispondono a gara le donne: tra Anna e Nuzzo che prendono in giro e umiliano
Bettina con roboanti risate di Anna, grossa, con sedere debordante e parlare
strepitoso, stridente. Nuzza è alla pari con strilli squillanti, strepitosi.
Bettina si difende coccolandosi con fragoroso affetto con Arturo. Un momento
eclatante è quando Arturo sentendo la banda si mette a suonare la tromba fino
allo spasimo: ha bisogno di connettersi col rumore del mondo. Altro momento
molto significativo è quando nella frenesia della danza collettiva si denudano
e restano in mutandine e svelano l’indecente. Indecente che diventa decente, normale:
accettazione della vita tutta. Prima del congedo da Arturo che va in collegio
c’è la cerimonia della preparazione della valigia con tanti e tanti regali da
ognuna: bambolotti, gioielli e tutti i soldi disponibili. Allegrezza esilarante
con baci, baci e baci. Arturo ricambia con trascinante ebbrezza. È una
girandola continua, ora di Arturo, ora delle tre, ora dei quattro con crescendo
parossistico anche musicale fino alla sarabanda finale: un danzare ossessivo,
vorticante e giubilante come in un sogno. Il rimbombo musicale, rintronante e ostinato,
richiama alla memoria quello secolare del 1913 della prima della festa pagana della
sagra della primavera di Stravinsky. Anche Misericordia segna un apice della storia
teatrale per la dirompente visione dell’amore…”. C’è bisogno di gesti
misericordiosi molto forti, di empatia e solidarietà”, dice Emma. Sì, come
quello intenso, amplificante e potenziante sulla lingua delle nostre Italia
Carroccio, Mammola Lo Sicco e Leonarda Saffi: sulla purezza del siciliano e del
pugliese apparentata a quella operata sul napoletano. E sul linguaggio totale
del corpo operato da Simone Zambelli (Arturo) che per i muti derelitti acquista
un’espressività più efficace dei parlanti. Misericordia è un momento in avanti
della ricerca della nostra regina della regia. Il linguaggio della parola,
oseremmo dire per paradosso, diventa ausiliare quando emerge prepotente quello
primordiale della totalità del corpo. Purché si comunichi nel giocondo
girotondo o nel dramma del rituale, si attenua il dolore di vivere. Ci fa
riappropriare del linguaggio dimenticato del rito dove c’è l’immersione nella
natura, nella festa del vivere. Aggalla vieppiù il mondo di Emma mediterraneo:
sempre tellurico e travolgente. In questo, sorella di Edoardo: basti ricordare
Filumena Marturano. In ambedue affiora
la tenerezza soffocante delle grandi madri. Non ricordano le grandi madri mature
dell’Italia arcaica con due, sei, dodici bambini in braccio? Un potente amore
anche supplente che trasforma il mondo tutto. E noi tutti siamo rinati: non si
può ritornare come prima dopo tale lancia simbolica. Partita dal tragico (la
morte della madre del bimbo) si arriva al massimo della gioia nell’inno.
Tragico e comico si fondono per rappresentare la festa della vita, il dono
dell’amore. Teatro che trasmette un’umanità al limite dell’impossibile, per
carpire al cielo l’invisibile e renderlo visibile, umano. Il tragico e il
comico si diffondono nell’unità superiore dell’animo poetica della Nostra:
tutta passione e amore trasmessi maieuticamente agli attori, che spinti all’acme,
li trasmettono in strenua gioia di vivere. Teatro educativo, in accordo
armonico con Servillo: trasmettere umanità perché la persona diventi uomo. Non
solo, come Emma chiede, accogliamo Misericordia con atteggiamento accogliente,
ma Le siamo riconoscenti. Si esce silenziosi, meditativi: ed io che cosa ne
faccio della mia vita? Alla demiurga e ai quattro, al massimo della loro vis
interpretativa, diciamo pacificati e felicemente riconoscenti: grazie, grazie,
grazie!