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lunedì 30 marzo 2020

A PIÙ VOCI
di Ercole Pelizzone


“Cosa ci ha insegnato la tragica esperienza del coronavirus?”

Caro Angelo,

è difficile rispondere, anche perché strettamente soggettiva ogni impressione, ogni sensazione. Ad esempio, come medico assisto alla nobilitazione generale della categoria: tutti "eroi", medici e infermieri, mentre in condizioni normali si lasciano scadere i contratti e ci si rifugia nella prescrizione per gli anni più lontani. E questo in condizioni precarie di lavoro già nella normalità, con carenza di personale e di mezzi cronico. Ogni medico, specie ospedaliero, buono da processare con agevolazioni da parte dei legali per procedere contro e ora tutti sugli altari. Dunque, in Italia, si capisce solo ora l'importanza di una Sanità pubblica efficiente? Ci tocca vedere gente che canta e balla sui balconi secondo l'antico vezzo italico della "caciara", senza pensare che il silenzio è davvero d'oro in certi momenti: un silenzio che è riflessione, per chi crede è preghiera. Nessuno si salva da solo ovvero nessun uomo è un'isola: il volontariato dà prova di enorme generosità e questa è veramente una risorsa preziosa in questo Paese così contrastante nei suoi aspetti. Non sappiamo quanto pagheremo per questo disastro planetario anche in termini di economia, il futuro appare ancora troppo incerto. Certo, c'è da sperare, ma ne dubito, serva come insegnamento circa la precarietà delle nostre radici, pronte a essere divelte all'improvviso. Un salto di qualità, morale, intellettuale, "dopo"? Chi lo sa? È ancora troppo presto per tutto, anche per abbozzare una smorfia di sorriso dietro la mascherina.