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mercoledì 11 marzo 2020

UNA RICERCA DI PENSIERO
di Franco Astengo

Rosa Luxenburg

Nell’evidente inadeguatezza dei modelli cui ci si è ispirati nella globalizzazione del consumismo individualistico, la vicenda dell’epidemia ci dimostra che siamo rimasti fermi a contemplare ciò che accade senza disporre di idee e di organizzazione per attaccare, come sarebbe necessario, il muro della separatezza tra i popoli e tra i ceti sociali.”
Mi era capitato di scrivere questa osservazione in precedenza all’acutizzarsi della crisi dovuta all’emergenza sanitaria e mi permetto di riproporla per rispondere all’esortazione con cui Marco Revelli conclude un suo articolo pubblicato l’11 marzo dal “il Manifesto”: Quando tutto questo sarà finito, dovremo ripensare l’intero nostro universo di senso, a cominciare dall’insostenibilità del dispositivo egemonico che sembrava fino a ieri immortale. E per farlo servirà anche a noi un cambiamento radicale, di sguardo, linguaggio, categorie e progetto”.
In entrambe le riflessioni fin qui citate emerge l’interrogativo per un “dopo” che oggi appare del tutto aleatorio e incerto da definire, del quale in questo momento non si intravedono tempi, modi, confini. Appare quindi quasi pleonastico richiedere l’apertura di nuovi filoni di pensiero, di ricerca, di iniziativa rispetto a quelli usati nel passato, muovendoci anche su terreni trascurati, poco frequentati, posti ai margini del tipo di riflessione che ha dominato l’epoca che è stata definita della globalizzazione.
Tutto questo appare assolutamente necessario quanto urgente.
Abbiamo più volte richiesto come fosse indispensabile per consentirci di esprimere un pensiero adeguato all’oggi cercare un nuovo intreccio fra le contraddizioni sociali e politiche definite come classiche e quelle emergenti in una società nella quale andavano imponendosi fratture giudicate, forse frettolosamente, come post-materialiste.
Sotto questo aspetto, dell’inedito tra gli intrecci nella moderna complessità sociale, ci giunge in aiuto un altro riferimento contenuto nello stesso numero del “Manifesto” dell’11 marzo: a pagina 10 del quotidiano, infatti, è pubblicato un estratto di un intervento di Maria Rosa Cutrufelli contenuto, nella sua interezza, nel numero che “Alternative per il Socialismo” ha dedicato a Rosa Luxemburg nel centenario del suo assassinio perpetrato dalle squadre speciali del governo di Weimar.
In questo testo si ritrovano due passaggi che vale la pena riportare.
1) Il primo della stessa Luxemburg che scrive: “Mi sento molto più a casa mia in un pezzetto di giardino come qui, oppure in un campo di calabroni e l’erba che a un congresso di partito”;
2) L’altro passaggio riguarda una citazione di August Bebel, che pure era considerato un “femminista”. A un certo punto Bebel afferma che Rosa Luxemburg “era troppo donna e non abbastanza compagna di partito”. Un giudizio al riguardo del quale Rosa replicava “non posso insegnarvi a restare umani”.

Rosa Luxenburg

“Restare umani” il messaggio che può lanciarci ancora oggi quella che il titolo dell’articolo definisce come “femminista riluttante”.
 “Restare Umani” come punto di partenza per quel mutamento di paradigma che è necessario invocare in quello che sarà il post dell’esperienza che stiamo vivendo. Una esperienza del tutto inedita anche per noi appartenenti alla generazione uscita dalla guerra mondiale e che ha vissuto come totalizzante l’impegno sulla specificità di una contraddizione che abbiamo sempre giudicato come “principale” sulla linea di un progresso pensato come storicamente infinito.
Sul piano del pensiero un grande contributo potrà venirci dal recupero di un’idea dell’articolazione di cui fa parte il pensiero femminista.
Pensiero femminista intesa come visione del mondo come sede di una comunanza centrata sulla necessità di una non separatezza tra la teoria e la nostra specifica soggettività, allargando la nostra capacità di riflessione fuori dai dogmi della dottrina, cercando di mettere assieme libertà individuale e modello sociale. Intendiamoci bene: nessuna riduzione del pensiero femminista al ritorno all’Arcadia o alla “decrescita felice”, nella piena consapevolezza della decisiva importanza che quel pensiero ha e deve avere, sul piano teorico, nella lotta allo sfruttamento.
Quella lotta allo sfruttamento che proprio nel pensiero femminista si pone su di una molteplicità di piani, rispetto all’idea storicamente data della “contraddizione principale”.
 “Amore per il mondo” ed “etica della cura” come sintesi della specificità del “femminismo riluttante” di Rosa Luxemburg da intendersi come punti di paradigma per una idea di progetto fondato sul massimo di eguaglianza possibile. Idea di progetto di cui dovrebbe far parte anche una visione di forme originali di democrazia di cui pure la stessa Luxemburg fu portatrice, nella logica dei suoi tempi, esprimendo la sua critica rivoluzionaria.
Eguaglianza da realizzarsi in una società posta fuori dagli sprechi derivanti da una produzione destinata esclusivamente ad un consumo senza limiti.
Consumo di suolo, risorse, scienza, relazioni, che si sviluppa con l’obiettivo dell’alimento per un meccanismo di indiscriminata accumulazione.
Un consumo ormai evidentemente insostenibile.
Ci potrà salvare soltanto il recupero di una politica praticata al fine di rappresentare l’umano. Una politica fondata su di una base di riflessione posta sull’insieme delle difficoltà di oggi e capace di elaborare un progetto di sistema. “Restare umani nella politica”, questa potrebbe essere il riassunto di una visione utile a descrivere un futuro ancora possibile.