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martedì 21 aprile 2020

AL DI LÀ DEL TUNNEL
di Paolo Savona*

Paolo Savona

Un commento al saggio di Marco Vitale

Il dibattito aperto sulla prima pagina di “Odissea” da Marco Vitale giovedì 9 aprile scorso con lo scritto Al di là del tunnel, ha avuto grande attenzione fra economisti, imprenditori, banchieri, docenti, filosofi, saggisti, ecc. Oltre 60 i riscontri ricevuti dallo stesso Vitale che sta pensando di farne un libro dal titolo Al là del tunnel. Se non ora quando. Il numero degli interventi, la qualità e la varietà delle voci, la copertura territoriale che va dalla Val Seriana a Marsala sono testimonianza della grande volontà di molti italiani a cogliere la sfida del Coronavirus per migliorare la struttura del Paese. “Odissea” ne pubblicherà una selezione cominciando da questo di Paolo Savona.


Chiunque si faccia guidare da saggezza ed esperienza, anche se non particolarmente sviluppate come quelle di Marco Vitale, scriverebbe le cose che egli sostiene in questo saggio. Sono perciò d’accordo su tutto e non per pura cortesia. Per completare il quadro che egli traccia desidero sottolineare un punto a me particolarmente caro: dalla crisi del 2008 gli italiani non sono più cicale, come sostengono i paesi europei del Nord e non solo quelli, perché risparmiano più di altri popoli, come testimonia una bilancia economica con l’estero positiva; questo risparmio in eccesso va a finanziare i paesi cicale, anche se più ricchi e meglio organizzati di noi. Cinque principali paesi del mondo (Stati Uniti, India, Regno Unito, Canada, Francia) sono cicale, mentre Cina (sempre meno), Giappone, Germania e Olanda (sempre più) e Italia sono formiche. L’Italia ha effettuato investimenti in attività finanziarie estere per un ammontare prossimo al suo debito pubblico. Il problema non è se siamo cicale o meno, ma quali sono i motivi per cui abbiamo perso fiducia nel nostro futuro e non usiamo per noi il risparmio che continuiamo ad accumulare, attuando gli investimenti pubblici e privati di cui necessitiamo e fornendo i mezzi finanziari, insieme alle tante capacità imprenditoriali, per attuarli all’estero, anche presso i popoli cicale. La risposta al problema è piuttosto complessa e riguarda il funzionamento sia delle nostre istituzioni, sia di quelle europee e le relazioni geopolitiche che intratteniamo, che sono tali da non ristabilire la fiducia nel futuro necessaria a un’uscita dalla crisi pregressa e da quella ancor più grave in corso.
Desidero inoltre insistere che la gran parte delle soluzioni da dare ai nostri problemi richiede il ristabilimento della fiducia nel futuro. La politica non riesce a ristabilirla, ma la colpa è anche dei cittadini e, in particolare, dei gruppi dirigenti che sono incapaci di comprendere i limiti da dare alle rispettive richieste e i contributi da offrire per la ripresa produttiva. I comportamenti dell’UE contribuiscono a spingere la fiducia in direzione negativa, ripetendo in continuazione le accuse di un’insostenibilità del nostro debito pubblico, senza indicare soluzioni diverse da quelle deflazionistiche per uscire da questa situazione. Poiché gli attori sono tanti, il problema di come ristabilire la fiducia è molto complesso, ma non irrisolvibile sul piano tecnico. 

R. Gualtieri

Anche questo Governo dichiara che vuole fare quasi tutte le cose che Vitale indica debbano essere fatte, ma non sceglie gli strumenti dotati di snellezza e rapidità necessarie, perché non trova l’unità di scelta indispensabile in una situazione di grande difficoltà, non a caso parificata a un’economia di guerra. Circa il problema della sicurezza sanitaria, se si vuole azzerare il rischio sanitario si deve essere pronti ad accettare la massimizzazione del rischio economico di una caduta del reddito e dell’occupazione, che sollecita più spese, più debito e, quindi, più sfiducia nel futuro. Einaudi ripeterebbe il suo suggerimento di scegliere una giusta misura nella soddisfazione delle istanze.
Si afferma che l’Italia potrà uscire dal lockdown in maggio, quindi dopo due mesi di isolamento. Secondo un calcolo aritmetico elementare, ciò significa che perderemo un sesto del PIL, anche considerato che l’effetto durerà nel tempo perché un buon 10% di imprese scomparirà e la disoccupazione aumenterà. I problemi sociali si aggraveranno riversandosi sulla politica facendole perdere lucidità. Conto ancora sulla vitalità delle imprese esportatrici, che pesano un terzo del PIL, le quali certamente riprenderanno vigore, ma non ce la faranno a reggere interamente una situazione più deteriorata, in una situazione in cui l’isolamento si trasferirà dalle persone alle istituzioni, che saranno sotto attacco. La speculazione e i pregiudizi internazionali faranno il resto.


Desidero infine condividere espressamente la severa critica mossa da Vitale alle burocrazie, anche perché sto vivendo per l’ennesima volta il dramma della quasi scomparsa di veri civil servant e del crescente parassitismo burocratico, un vero dramma che si sta sviluppando anche attorno agli interventi sanitari (simboli elementari: cinque diversi moduli per uscire di casa e ritardi nel fornire gli strumenti elementari ai medici e ai loro collaboratori impegnati nella lotta al coronavirus). Chi si pone seriamente al servizio della società non riceve protezione dall’esterno, più probabile che riceva critiche, in un Paese dove più nessuno si dichiara soddisfatto e chiede assistenza in continuazione, ponendosi sul solco della “decrescita in salute”, non più del tipo “felice”.
Spero che le posizioni di Marco Vitale diventino patrimonio comune di nuovi gruppi dirigenti che pensano al futuro oltre che al presente, convincendo la gente che non è solo la salute, ma anche il benessere un patrimonio comune alla cui protezione tutti si devono dedicare. Se ottenesse questo risultato anche in minima parte, sarebbe già un progresso capace di alimentare la materia prima per produrre il futuro: la fiducia.

*Economista, attuale presidente Consob, già ministro
e responsabile di altri importanti incarichi
[Roma, Giovedì 16 aprile 2020]