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venerdì 10 aprile 2020

STATO
di Franco Astengo

Grafica di
Giuseppe Denti

Un primo bilancio riguardante la gestione dell’emergenza nel corso di queste settimane non può prescindere da una valutazione riguardante ruolo e funzioni dello Stato, in tempi di spinta verso un recupero di sovranità cui si accompagnano tensioni rivolte verso forme di isolamento nazionalistico e di autoritarismo interno sul modello assunto da alcuni paesi europei.
Un fenomeno che, nello specifico della vicenda italiana, si accompagna ad elementi di ulteriore debolezza dell’intero sistema politico.
Elementi di ulteriore debolezza collegati anche a due fattori: a) la difficoltà nel rapporto con l’Unione Europea. Una difficoltà frutto del processo di costruzione dell’unione stessa avvenuta al di fuori di meccanismi di effettiva scelta democratica, dal trattato di Maastricht in avanti; b) eguale difficoltà si è riscontrata nel processo inverso di decentramento regionale. Si è verificata una progressiva modificazione di ruolo da parte delle Regioni trasformate da Enti di coordinamento legislativo a soggetti esclusivamente votati alla nomina e alla spesa. Insomma: il discorso della cessione di sovranità da parte dello Stato-Nazione, di cui pure molto si è discusso nella fase della globalizzazione, ha portato a una situazione nella quale sia il livello sovranazionale, sia quello dell’assetto della dimensione interna hanno dato origine a spinte contrastanti in senso negativo per la capacità dello Stato centrale di corrispondere alle esigenze dell’immediato e di prefigurare adeguate capacità programmatorie per il futuro.
Tutto questo è risultato evidente nella rincorsa affannosa ai provvedimenti riguardanti la fase eccezionale che stiamo attraversando e la loro complicata applicabilità concreta. In una comunità giuridica evoluta i connotati delle sovranità possono essere individuati nell’originarietà, universalità, esclusività e inclusività:
1) Originarietà nel senso che la sovranità non deriva da un altro potere preesistente a esso: dal che se ne consegue la capacità di dare alla volontà collettiva un contenuto che la determini come ordinamento giuridico e la prerogativa di modificarlo senza limiti esterni (è proprio su questo punto che si colloca il tanto denunciato “deficit democratico” dell’Unione);
2) Universalità come facoltà dei detentori del potere politico di prendere decisioni legittime ed effettivamente operanti per tutta la collettività;
3) Esclusività nel senso che le comunità politiche esercitano la propria supremazia senza alcuna interferenza da parte di altri enti (BCE inclusa) e senza che, contro la propria volontà qualsiasi altro potere possa limitarlo;
4) Inclusività nel senso di facoltà d’intervento imperativo in ogni sfera d’attività dei membri del gruppo politico attraverso lo strumento dell’ordinamento giuridico (un passaggio fondamentale questo, nella modernità, riguardo al rapporto tra politica ed economia, ma anche su di un altro versante, riguardo il persistere di una sfera di diritti intangibili rispetto al potere statale).


Sulla base di queste definizioni la nozione di sovranità è apparsa sempre intimamente connessa con quella di Stato.
Nel corso dell’evoluzione dello Stato moderno tutti gli attributi che hanno connotato la dottrina classica della sovranità hanno subìto un indebolimento a ragione dell’affermarsi di dottrine concorrenti; prime fra tutte il federalismo e il cosmopolitismo.
È stata messa in discussione soprattutto l’esclusività dai fautori di un ordinamento cosmopolitico per cui il diritto internazionale ha assunto il carattere di vero e proprio ordinamento giuridico sovrastatale mentre il federalismo aveva già condotto a riconoscere l’esistenza di Stati non sovrani.
La costruzione dell’Unione Europea non ha risolto questo intreccio di questioni ed è venuta avanti costruendo una sovrastruttura di potere esclusivamente riservato alle azioni di carattere finanziario ispirate dal modello monetarista frutto del “pensiero unico” sulla cui base si è sviluppata l’ondata neo-liberista a partire dagli anni ’80 del XX secolo.
Adesso questa manovra mostra la corda e la scelta possibile, come sta dimostrando lo stesso “caso italiano” è quella della critica del parlamentarismo: sola via ritenuta possibile alla realizzazione del modello di cessione della sovranità, da parte di Stati indeboliti nel loro assetto istituzionale. L’Italia sta fungendo da “laboratorio politico” in questo senso.
All’interno del tessuto politico italiano si sta tentando di provocare una vera e propria “crisi della dottrina dello Stato”.
Una “crisi della dottrina dello Stato” che si sta mostrando evidente per il dispregio in cui appare essere tenuta l’istituzione parlamentare come è stato ben evidenziato nel corso della seduta del Senato svoltasi il 9 aprile per il voto di fiducia su uno dei decreti riguardanti l’emergenza.
Le cronache giornalistiche, in questo senso, appaiono descrivere il determinarsi di un quadro del tutto al di fuori non solo dal dettato costituzionale ma anche dall’evidente logica del buon senso.
Il tema del recupero di una dottrina dello Stato fondata sul libero esercizio della dialettica parlamentare rappresenta un altro punto su cui avviare la nostra possibile discussione del dopo-crisi.
Una discussione nel corso della quale sarà necessario porre all’ordine del giorno il recupero e il rilancio della democrazia repubblicana e la ricerca sulle forme di nuova possibile legittimazione sia per i livelli di comune governo sovranazionale, sia in vista del profondo ripensamento che sarà necessario svolgere al riguardo dei livelli decentrati di governo e di amministrazione.