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lunedì 4 maggio 2020

GAZZETTE E GAZZETTIERI
di Cataldo Russo


Ma siamo proprio certi che all’alto numero di media
corrisponde una maggiore democrazia?

È opinione diffusa che l’alto numero di giornali, di televisioni e di radio sia indice di maggiore democrazia. Di solito è così. Nelle democrazie più solide un’informazione capillare e diversificata garantisce pluralità di idee, di pensiero e di vedute. Perché ciò si realizzi, però, è necessario che i media siano fonti autorevoli di informazione cui tutti abbiano accesso, non solo come lettori e ascoltatori, ma anche come utenti di nuovi spazi di democrazia e come soggetti attivi nel proporre idee, progetti e soluzioni, altrimenti si rimane intrappolati nel tunnel di chi urla e pontifica dall’alto e chi deve ascoltare, senza diritto di replica, dal basso. È amaro costatare come oggigiorno l’alto numero di media non sia sempre un indicatore di democrazia e di emancipazione politica, culturale e civile. Anzi, spesso è esattamente il suo contrario.
Troppi media sono passati con disinvoltura dalla funzione primaria che, non ci si stanca mai di ripetere, dovrebbe essere quella di informare, arricchire culturalmente, rafforzare la coscienza civile e democratica, a quella di confondere, disorientare, omologare e controllare il consenso.
Stante queste condizioni, appare evidente che non è il numero dei media che fa da baluardo alla democrazia e alla libertà, ma la qualità e l’autorevolezza di chi li controlla e li gestisce. E, purtroppo, oggi molte proprietà di giornali, televisioni e radio sono in mano a persone e lobbies di potere e di affari che più che rafforzare la democrazia tendono a scardinarla e sovvertirla imponendo il punto di vista di chi comanda. Persino i media pubblici vengono di volta in volta lottizzati e gestiti nell’interesse di questo o di quel gruppo politico o economico.
Non si vuole generalizzare, ma mai come in questo periodo si vedono così tanti giornalisti e conduttori di programmi televisivi e radiofonici asserviti agli interessi delle lobby economico-finanziarie che mirano a condizionare e manipolare l’opinione pubblica. Oggi le voci fuori dal coro sono sempre più rare e sempre più emarginate da un sistema che tende a urlare, intimidire, confondere, condizionare con sondaggi commissionati ad hoc e con notizie false, il cui scopo è creare sgomento, paura e smarrimento.
Se si pensa allo spessore culturale e morale di alcuni direttori di giornali, di riviste, di radio e di televisioni viene proprio da dire che si è toccato il fondo della mediocrità e del cinismo e che l’informazione è sempre più spazzatura.
Tutto questo accade non solo per colpa delle proprietà dei media, ma perché vi è un patto scellerato tra politica, mezzi di informazione e utenti, i quali sono sempre più disabituati a saper decidere con la propria testa e che, perciò, dipendono in tutto e per tutto dal parere del tuttologo di turno, che il più delle volte non fa altro che dire banalità, luoghi comuni e baggianate. 
È evidente che la funzione di questo “patto scellerato” fra media e politica è quella di tenere lontana la rabbia e la protesta dal potere politico-economico. Televisioni e radio, con il loro enorme potere di penetrare nelle nostre case, e la loro rincorsa allo share, sono diventate dei veri e propri luoghi dove protesta e rabbia vengono fatte sbollire, vanificate e infine ridicolizzate. 
Orwell ne La fattoria degli animali scrive che “tutti gli uomini sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”. Non c’è massima più vera. Sono troppe le persone che, pur non avendo alcuna qualità morale e professionale, beneficiano delle corsie dei “più uguali” per rinvigorire il proprio prestigio e il proprio potere.


Da tempo sempre più falsi esperti vengono contesi a suon di gettoni e fatti sedere nei salotti dei media che contano per pontificare dall’alto della loro ignoranza e nullità su argomenti di cui non hanno alcuna competenza. Si tratta delle solite facce, che passano disinvoltamente da una trasmissione seria a una frivola in veste di tuttologi o di opinion leader.  
Il degrado oggi corre sul binario della trasversalità. Non esiste quasi più la linea di divisione tra un’informazione illiberale e un’informazione pluralistica, dove il dissenso vero diventi il sale della democrazia. Gli ingredienti con cui si infarciscono le trasmissioni televisive e radiofoniche sono gli stessi. Mettere a confronto voci apparentemente diverse e poi farle scontrare come in un’arena dove lo scopo è sollevare polveroni, confondere, urlare, offendere, zittire.
La verità è che oggi non si deve esprimere un concetto ma usare lo slogan, la frase ad effetto, l’aforisma rubato all’intellettuale di turno, inconsapevolmente coinvolto nella rissa, per intorbidire le acque e assecondare l’attesa patologica di un pubblico che il giorno dopo possa dire e commentare sull’autobus, al bar e sul posto di lavoro, “Hai visto? Gliele ha cantate di santa ragione!”. 
Quelle poche volte che qualcuno si azzarda ad esprime un pensiero ricco e articolato, subito si alzano decine di voci, generosamente retribuite, che lo coprono di banalità, offese e improperi di ogni genere.
Rincarando la dose, viene quasi spontaneo dire che i mezzi di comunicazione ai nostri giorni altro non sono che una “società di mutuo soccorso” di basso profilo per mantenere a galla persone, siano esse politici o esponenti di spicco della società civile, che hanno poco o nessun talento. E che l’Arlecchino della brillante commedia di Carlo Goldoni, oggi non serve due padroni soltanto ma numerosi e ibridi padroni. I pochi giornali che hanno il coraggio di svolgere la funzione primaria di informare sono condannati a una lenta agonia fatta di indifferenza e di difficoltà economiche. La libertà e la democrazia possono essere limitate con leggi liberticide ed è quello che accade nei regimi autoritari e nazisti, ma ci può essere una limitazione della libertà e della democrazia anche attraverso una overdose di informazione tendenziosa, falsa e patologica. Per esempio, è sufficiente creare o ingigantire la paura e l’insicurezza che alberga in ciascuno di noi perché inevitabilmente si manifesti la necessità di sistemi capillari di videosorveglianze, di pattugliamento del territorio, di limitazione degli spazi di democrazia in nome di una finta sicurezza che giova a chi tiene il popolo sotto custodia, perché tanto, a loro dire, non è in grado di autodeterminarsi.