Pagine

lunedì 11 maggio 2020

LA "S" PRIVATIVA
di Lisa Mazzi


Nella lingua italiana la consonante “S” davanti ad una parola ricopre spesso una funzione privativa, vale a dire trasforma il significato della stessa in modo negativo, depauperandola della sua positività. Ovviamente parlando non si riflette su questo fenomeno e tranquillamente si passa da contenti a scontenti, da mascherati a smascherati, da fortunati a sfortunati e via dicendo. In questi tempi di Covid la S ha un ruolo nuovo di notevole importanza, in quanto contraddistingue una parte non piccola della popolazione, cioè quella dei “Seniores”, i rappresentanti del Senium, spesso più sinonimo di senile, alias rimbambito, che non della “senectus” in quanto saggezza. Insomma stiamo parlando degli anziani o, più prosaicamente, dei vecchi. I Seniores vengono catalogati in base alla loro età anagrafica a partire dal momento in cui appare la famosa S davanti agli anni compiuti: sessanta, settanta, che riporta alla cruda realtà numerica di quanto abbiamo già vissuto e di come il count down possa accadere da un momento all’altro, anche se noi spesso e per fortuna ci sentiamo “for ever young”. O meglio ci sentivamo, perché a causa del Covid la suddetta categoria, pur essendo non di rado ancora in modo eccellente capace di intendere e di volere, viene considerata l’elemento più a rischio di exitus della nostra società. Del resto non si può negare che la variante Sars Co2 ce la mette tutta per toglierci i lati belli della vita e infatti si chiama Sars e non Ars che sarebbe molto più edificante. Ora poi quando termina il lock down le prospettive non sono affatto rosee, perché è evidente, se c’è più libertà, il rischio è maggiore. Se già siamo stati fortunati ad evitare la completa ghettizzazione invocata da alcuni con la proibizione totale anche di brevi passeggiate, il sentirsi sempre additati come “vecchi” non mette allegria. Così, oltre alla pace dei sensi - si fa per dire - non ci resta che leggere o scrivere passando dal famoso “De senectute” di Cicerone a “Le mie prigioni” di Silvio Pellico. E “dulcis in fundo” state in salute perché qui la S è di nuovo una semplice consonante.