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giovedì 7 maggio 2020

Taccuino
RICORDANDO CAMILLA
di Angelo Gaccione
 
Porta Romana

Domenica 3 maggio avevo vagato molto tra le vie del mio quartiere, osando anche delle forzature rispetto ai divieti regionali e governativi. Ero rimasto però sempre al di qua delle mura spagnole, limitandomi a fotografare l’arco di Porta Romana e il grattacielo. Un’occasione ghiotta perché nemmeno il 15 agosto mi era capitato di vedere la Porta senza un’anima viva, o un’auto parcheggiata. Sul Corso Lodi alcuni mendicanti, gli immancabili tossici e un silenzio irreale. Era un’ora sghemba e non c’erano neppure i cani a condurre fuori i loro padroni. È incredibile quanto sia cresciuto l’amore per gli amici a quattro zampe in questo periodo di pandemia; vedremo se resisterà fino ad agosto, nel caso si potrà andare al mare e in montagna, o se invece non aumenterà il fenomeno degli abbandoni. In più era domenica: giornata in cui anche Milano rallenta i suoi ritmi.

Il Grattacielo 
con le Mura spagnole

Girando da solo ho potuto fotografare a mio agio, scorci di vie in genere molto animate e piene di locali, ma anche dare sfogo ai miei pensieri e alle mie riflessioni. L’indomani sarebbe stato il fatidico lunedì 4 maggio: avremmo potuto incontrare, seppure con prudenza, i nostri cari, e io avrei deliberatamente trasgredito, percorrendo metà del Corso di Porta Romana fino alla basilica di San Nazaro in Brolo, davanti alla quale avevo un appuntamento per consegnare dei libri ad una cara amica.

San Nazaro in Brolo

Uscendo sul Corso, la mattina del 4, in una giornata magnifica e piena di luce, sono stato investito da un’animazione che ha esaltato il mio buon umore. La città tornava a pulsare con una naturalezza così sfacciata, come se il virus maligno che da mesi ci tiene in casa, non ci fosse mai stato; come se la conta dei morti che fino alla sera prima aveva aggiornato in crescendo la sua somma, fosse una burla. Vedere molti dei negozi riaperti, i gestori alle prese con le pulizie, il frenetico affaccendarsi, le auto sfrecciare, i crocchi di passanti in movimento, il proverbiale fervore meneghino… Ho avvertito nell’aria un’elettricità contagiosa, un sussulto poderoso: “Ecco il vecchio leone che si risveglia dal letargo e fa sentire il suo ruggito!
 Mi sono detto. Ecco che Milano si rialza!”

La Torre Velasca in una
elaborazione di Giuseppe Denti

E la Torre Velasca che si levava massiccia sui palazzi, mi è apparsa più solida e imponente. La basilica di San Nazaro con le cappelle funebri dei Trivulzio, è in una posizione rientrata rispetto al Corso, ed è una fortuna che sia rimasto il piccolo slargo prospiciente ad essa. Chissà come doveva essere bella questa zona, al tempo della Via Porticata. Quello che ho potuto vedere io sono simulazioni grafiche di urbanisti contemporanei; schizzi di piccole incisioni che servono appena a farsene un’idea. Da qui basta imboccare il Vicolo Santa Caterina per trovarsi davanti all’Università Statale. 

  
Il cortile centrale 
dell'Università Statale

Una seduzione troppo grande per me, per non tentare una trasgressione completa. In fondo si trattava di pochi passi. L’avevo vista più di due mesi prima completamente deserta, e anche ora l’avrei trovata deserta, ma coi portali aperti, per poter dare un’occhiata ai suoi meravigliosi cortili. Mi è bastata una fulminea associazione di idee: con pochi passi, e in un tempo molto contratto, avrei avuto la possibilità di godermi la facciata della Ca’ Granda, controllare lo stato del giardino dedicato a Camilla Cederna lì di fronte, e, da via Festa del Perdono, arrivare in piazza Santo Stefano per ammirare per la milionesima volta il campanile a cui ho dedicato dei versi. Avrei potuto vedere anche quello di Sant’Antonio Abate, e, dal limitare della via Bergamini, persino la Madonnina sulle guglie più alte del Duomo. Il rischio di trovare dei Vigili era piuttosto basso: sul Corso era più probabile; ma qui, senza la presenza degli studenti, era quasi nullo.



Il Giardino di Camilla perfettamente rasato, pulito e con i cespi di rose gialle, rosa, rosse, arancione, mi ha dato un enorme piacere. Gli studenti spesso lo sporcano di lattine e di cartacce. Forse nessuno di loro sa chi è stata la donna a cui la città ha dedicato il giardino. È probabile che ne ignorino le vicende e l’appassionata determinazione. Per me, e quelli della mia generazione, resta una meravigliosa milanese che la polizia ha dovuto guardare a vista, a causa dei suoi libri e della sua decisa testimonianza per la verità. 

Camilla Cederna
Una donna coraggiosa a cui Milano, e non solo, deve moltissimo. Lo dobbiamo al suo indefesso impegno civile, ai suoi scritti, se un presidente della Repubblica corrotto sia stato costretto a dimettersi; se abbiamo saputo presto di un’altra verità sulla strage di Piazza Fontana e dell’innocenza di Pinelli. Camilla non si è unita al coro di pennivendoli e si è assunta molti rischi: ha rifiutato di guardare dall’altra parte; si è schierata, ha parteggiato, non è rimasta indifferente.

La scena sul muro del Vicolo S. Caterina

Mi dico che ho fatto bene a svoltare in Vicolo Santa Caterina ed entrare tra i vialetti del giardino. Come una predestinazione, sul muro del Vicolo trovo raffigurata una scena ispirata al capolavoro di Manzoni: forse l’arresto innocente di Renzo da parte dei bravi; e ricamata in bella grafia gotica, una frase di Antonio Gramsci contro gli indifferenti e l’obbligo morale di parteggiare. 

La scritta sul muro del
 Vicolo Santa Caterina

Un muro di un Vicolo nel cuore di Milano, che non poteva essere più “cederniano” di così.

[Milano, 6 maggio 2020]