di Franco Toscani
L. Feuerbach |
La volontà di
potenza illimitata e il rapporto uomo-natura.
L'umano e
l'essere non-umano in Feuerbach.
La volontà illimitata di potenza e
di dominio di cui si è a lungo nutrito il pensiero occidentale non ha mai fatto
i conti con e, soprattutto, non ha mai preso sul serio la fondamentale
dipendenza dell'uomo dalla natura. Soggettivismo metafisico, umanismo
prometeico, prassismo cieco e furioso si sono a lungo illusi di poter dominare,
manipolare e spremere la natura a piacimento, non riconoscendo mai pienamente
la profonda appartenenza dell'uomo ad essa. Il pensiero orientale ha invece
sempre cercato di pensare l'unità, l'intimo rapporto uomo/essere, uomo/ natura.
Noi oggi siamo talmente abituati alla riduzione della natura a "seconda
natura" lavorata, manipolata e modellata secondo i bisogni, desideri e
progetti umani che fatichiamo a prendere coscienza del fatto incontestabile che
la natura non solo non è un mero prodotto umano, ma sta anzi alla base e al
fondamento dell'umana esistenza.
Il cielo, l'aria, la luce, l'acqua, il fuoco, la terra non sono invenzioni
e prodotti umani né mai lo saranno.
Nell'aureo libretto Das Wesen der
Religion (L'essenza della religione,
1846) ciò fu messo in risalto con grande forza e lucidità da Ludwig Feuerbach,
per il quale ciò che Schleiermacher aveva chiamato das Abhängigkeitsgefühl (il
sentimento di dipendenza) dell'uomo dalla natura è il fondamento della
religione. Rispetto a Schleiermacher, per Feuerbach la natura è, nel contempo,
sia il fondamento della religione sia -
soprattutto ed essenzialmente - il fondamento (Grund), l'origine (Ursprung),
la fonte (Quelle) dell'esistenza
umana. Ciò
da cui l'uomo dipende, ursprünglich (originariamente), è la natura. Ma che
cos'è allora questo presupposto essenziale dell'esistenza umana? Risponde
Feuerbach in un passo assai pregnante ed efficace della prima redazione di Das Wesen der Religion: "Alles das,
was auβer dem Menschen ist: Licht, Luft, Wärme, Wasser, Feuer, Erde, Bäume).
Ein Anderes, vom Menschen unterschiedenes, nicht menschliches Wesen: Licht,
Luft, Feuer, Wasser, Erde - mit einem Worte - die Natur; denn in der Natur sind, leben und weben wir"
("Tutto ciò che è fuori dell'uomo: luce, aria, calore, acqua, fuoco,
terra, piante. Un altro essere, distinto dall'uomo, non umano: luce, aria,
fuoco, acqua, terra, - in una parola - la
natura; infatti, nella natura siamo, viviamo e ci muoviamo") (1). In Das Wesen der Religion
Feuerbach rammenta fra l'altro, con un implicito riferimento a Spinoza, che
"si può intendere la natura solo mediante la naturastessa; essa è
l'essere il cui 'concetto non dipende da nessun altro essere"(2).
Nel XX secolo il discorso di Feuerbach sarà ripreso e svolto originalmente
da Maurice Merleau-Ponty circa l'Être-brut,
l'Être-sauvage (3).
Agli inizi del XXI secolo l'uomo si erge più che mai a signore/padrone
degli enti e di tutto ciò che è, ma la natura gli rammenta continuamente - in
modi anche assai dolorosi per lui (come accade con la pandemia che ci concerne
oggi) - la sua priorità e originarietà, l'inflessibilità delle sue
leggi, a cui siamo rinviati costantemente, nonostante la ὔβρις, la
dismisura, la nostra presunzione sconfinata e i nostri deliri di onnipotenza.
Ciò che
resta meraviglioso dell'uomo sono il linguaggio e il pensiero, con cui egli può
esprimere e pensare in qualche modo l'ambito dell'incommensurabile e
dell'impadroneggiabile che lo circonda, l'unità profonda, l'intimità fra uomo e
natura, può rendere testimonianza della sua essenziale dignità di ospite, viandante, via via soggiornante.
Note
1. L. Feuerbach, Das Wesen
der Religion. I Fassung, 1846;
trad. it., L'essenza della religione. In redazione,
in F. Tomasoni,
Ludwig Feuerbach e la natura non umana.
Ricostruzione genetica dell'Essenza della
religione
con
pubblicazione degli inediti,
Presentazione di A.
Pacchi, M. Dal Pra,
E. I.
Rambaldi, G. Orlandi,
La Nuova
Italia, Firenze 1986, pp. 178-179.
2. L. Feuerbach, Das Wesen
der Religion, 1846;
trad. it. e
a cura di A. Marietti Solmi,
L'essenza della religione,
Einaudi, Torino 1972, p. 70.
3. Cfr. soprattutto M. Merleau-Ponty, Le visible et l'invisible, 1964,
a cura di C.
Lefort, Gallimard, Paris 1964, p. 260 e p. 301;
trad. it. di
A. Bonomi, Il visibile e l'invisibile,
a cura di M. Carbone,
Bompiani,
Milano 1993, p. 225 e p. 265.