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domenica 14 giugno 2020

IL RAZZISMO COME REGIME
di Franco Astengo

A. Lincoln

Se vi fate statua, vi abbatteranno
Angelo Gaccione (Il lato estremo, 2016)

Accade nella storia che le statue degli idoli siano abbattute ad ogni cambio di regime. Dopo essere stati elevate dai vincitori di turno la “Caduta degli dèi” avviene al cambio di regime da parte degli ex-vinti trasformatisi appunto in vincitori. Non a caso la Bibbia pone il divieto di rappresentare l’immagine di Dio, proprio per evitare che possa accadere ciò che succedeva agli idoli, quella di essere abbattuta.
La vanità del genere umano, invece, ha fatto sì che statue, ritratti, epigrafi, targhe fossero dedicati ai potenti di turno: generali, imperatori, poeti, capi della rivoluzione e generali della repressione, di volta in volta nella storia hanno trovato posto sui piedistalli in mezzo alle piazze e di volta in volta, quando è capitato, sono rovinati a terra.
In questo senso gli esempi rappresenterebbero, nella storia, tappe così numerose da consentirci di evitare citazioni. È il discorso sul revisionismo che appartiene anche e soprattutto alla storia e alla descrizione del suo divenire piuttosto che alla descrizione del suo scorrere. Il revisionismo serve a futura memoria, a ipotecare il futuro che rimane imperscrutabile e al riguardo del quale è bene che la memoria collettiva si prepari ad ogni evenienza, ad ogni possibile salto nella narrazione, ad ogni adattamento del sistema.
Il revisionismo quasi come la sede dei cantori di un futuro sempre possibile.
Oggi si sta però verificando un fenomeno che forse possiamo giudicare inedito. L’abbattimento degli idoli avviene per opera di chi è ancora nella condizione di “vinto”.

Il razzismo è l’oggetto di questa nuova forma di iconoclastia. Le vittime del razzismo abbattono i monumenti dei generali sudisti, di Cristoforo Colombo, del filantropo commerciante di schiavi. Le vittime del razzismo rifiutano addirittura il buonismo di Hollywood. Ciò avviene perché la democratica America, così come tante altre parti del mondo, è considerata un “regime” da quella che mi permetto di considerare come la sua minoranza più importante.
Un “regime del razzismo”.
Razzismo come sfruttamento, razzismo come crescita dalla disuguaglianza, razzismo come esclusione politica, razzismo come estrema marginalizzazione sociale. Il razzismo inteso come fondamento, come elemento di distinzione nell’identità dalla sua nascita come “Nazione”: ciò è rimasto nonostante ci sia già stato un Presidente appartenente alla parte oggetto della distinzione.
Un Presidente però collocato in una evidente condizione di “liberto”.
Un “regime del razzismo” diverso dal “regime razzista” apparentemente sconfitto nel caso dell’apartheid sudafricana. Una apartheid che continua però nella forma feroce delle disuguaglianze sociali.
Qui si apre ancora il discorso dell’intreccio delle fratture da realizzare attorno a quella eterna dello sfruttamento. Sul razzismo però si apre un interrogativo: può essere considerato sfruttamento oppure “condizione umana”?
La riflessione si può ampliare all’insieme delle democrazie mature che tengono dentro il loro “ubi consistam” tante forme di razzismo, compresa quella della differenza di genere.


Anche la differenza di genere può essere considerata “condizione umana”?
Fin qui banalità, ma veramente ci troviamo dentro a un fluire della storia nel corso della quale si erge a regime il dominio della differenza del più forte che  decide di farsi riconoscere quale “totus” escludendo gli altri ed evocando la propria insindacabile supremazia, per via del colore della pelle o dell’essere maschio piuttosto che femmina.
L’attualità dell’abbattimento degli idoli assume così la veste di una ribellione verso il dominio di un regime non proclamato ma reale, costantemente presente nella vita quotidiana, che sta sul collo di chi lo subisce.
Flavio Baroncelli scrisse qualche anno fa, prima di lasciarci prematuramente, Il Razzismo è una gaffe: credo che quel titolo debba essere idealmente corretto con: Il Razzismo è un Regime.
Un Regime oppressivo e totalitario perché fenomeno espressione di un modo d’essere prima ancora che fatto culturale e politico.
Così il razzismo come “modo d’essere” diventa il punto di continuità di una soffocante prevaricazione che percorre il mondo, tutto intero, senza eccezioni per le diverse forme di Stato e di Governo.
La Liberazione non può consistere nel rituale abbattimento degli idoli e ognuno la deve cercare, prima di tutto, dentro di sé per comunicarla agli altri.