L’INCENDIO DI ROCCABRUNA
di
Giorgio Riolo
Giorgio Riolo |
Alla ricerca delle radici o mondo da cui redimersi?
I racconti spietati di Angelo Gaccione.
I.
Un
grande disagio prende chi ha le radici in quel mondo agropastorale e montanaro
evocato dall’autore nella raccolta di racconti L’incendio di Roccabruna.
Siamo
dei fuorusciti e la maledizione dell’emigrazione diventa una benedizione se
abbiamo la fortuna di non venire annientati in altri mondi ostili, di trovare
altre comunità, altri incontri umani, altri rapporti sociali, altre occasioni
di espressione della nostra soggettività.
Altra
cultura, né superiore né inferiore. Solo semplicemente altra cultura, altra
antropologia culturale, altri usi e costumi. E allora ritorniamo alle radici.
“Straniati” e resi edotti da questa nuova consapevolezza, nello “straniamento”
che ci rende più lucidi e riflessivi, possiamo vedere meglio, possiamo capire
un poco più, di noi e della realtà da cui veniamo. Possiamo essere più
equanimi, né apologeti né denigratori.
Il
Sud è Sud, ma ci sono molti Sud. La Calabria è Calabria. Molto in comune con
alcuni aspetti di cui dirò dopo della Sicilia. Ma molto distante dal mondo,
anch’esso disperato e “senza redenzione”, così ben descritto da Carlo Levi, dei
poveri contadini della Lucania.
Un
mondo cupo, arcaico, feroce, elementare, dalle passioni estreme, quasi ferine.
Un mondo nel quale i rapporti sociali, i rapporti tra dominanti e dominati,
sono duri, spietati, feroci, animaleschi quasi, da logica del branco, del
gregge, della muta. Dove la parola giustizia o la parola Stato sono nozioni
lontane, spesso solo di pertinenza dei dominanti.
Un
mondo dove “le offese si lavano col sangue”. Il barone Vincenzo Baffi,
domineddio nelle sue terre, al quale appartengono beni e cose, animali, uomini
e donne, in quelle terre, non si arresta alla passione libidinosa, elementare,
da maschio alfa di quel grande branco, esseri umani e animali, e si prende
Nerina, la ragazza di 13 anni figlia di un suo contadino. “Nerina è sangue mio”
dice il povero bifolco e subito viene sgozzato dagli sgherri del barone.
A
Roccabruna, nome di fantasia a denominare un borgo in provincia di Cosenza,
come Regalpetra sta per la Racalmuto di Leonardo Sciascia, quanto accaduto
supera la ampia e dilatata soglia di tolleranza. Non esiste giustizia per la
povera ragazza e per il povero padre. Allora scatta, anche se differita, la
“giustizia” elementare e popolare. Al momento giusto, con il feroce caldo delle
estati arse di quelle terre, un fuoco divampa improvviso nel bosco attorno al
palazzo del barone. Tre giorni e tre notti di fuoco. Nessuno scampa, cose,
animali, esseri umani.
Un
altro incendio ci ricorda il racconto. L’incendio appiccato da Antonello
Arghirò al bosco di don Filippo Mezzatesta in Gente in Aspromonte di
Corrado Alvaro. Come disperato gesto per lavare le angherie e le ingiustizie
del signorotto locale.
Pastori,
contadini, montanari e i notabili locali, i “galantuomini” dell’Italia unita,
che hanno preso il posto dei nobili di un tempo. Usurpatori, con o senza
violenza, sempre con l’intimidazione, delle terre demaniali, degli “usi
civici”, dopo l’Unità d’Italia. Fonte di nuove, ulteriori ingiustizie, di nuovi
dolori, di nuova povertà per il popolo meridionale, calabrese in questo caso,
defraudato. Ma anche per le famiglie usurpatrici, nella loro contesa
predatoria, nel grande furto, altro alimento di faide efferate, di generazione
in generazione.
Un
mondo senza cuore e senza redenzione e che fa dire all’autore in uno dei
racconti che un tormento c’è per chi scrive, poiché: “A volte, devo
confessarlo, sono terrorizzato, pensando a che sangue mi scorre nelle vene”.
(“I cannibali” pag. 55).
Migranti
o briganti, questa sembra essere nella Calabria qui descritta l’alternativa per
chi mal si accorda con il contesto in cui si trova a vivere.
Gaccione con l'editore Valeria Di Felice a Casa Merini a Milano 21 febbraio 2020 |
II.
La
forma-racconto è un genere letterario importante. Anton Cechov diceva “la
brevità anzitutto, e la semplicità”. E il grande russo è stato maestro in
questo. Angelo Gaccione è scrittore e intellettuale impegnato, ha una ben
precisa visione del mondo e sa bene da che parte stare e allora questa forma
letteraria si accorda molto bene con la materia che tratta.
La
brevità e la semplicità aiutano molto. Proprio la brevità crea la sensazione
dello “estremo”, quasi della inverosimiglianza delle vicende narrate. Con il
tanto di magico, di leggendario, di credenze, di superstizioni, di credo
religioso molto esteriore e molto manipolato dal clero meridionale, così
caratteristici nel mondo agropastorale meridionale. La cruda e ctonia realtà e
il supplemento fantastico così ben commisti. Nella raccolta addirittura
compaiono esseri umani con parti del corpo animali, e con animali che delinquono
e quindi arrestati e processati quasi fossero esseri umani.
III.
La
lettura di questi racconti ci spinge a fare alcune considerazioni, non
marginali. Ma proprio come occasione per precisare la nostra concezione del
mondo. Oltre lo specifico, il peculiare, della realtà narrata.
La
donna nel Sud in generale, ma soprattutto in alcune aree come la Calabria e la
Sicilia, ha condotto una vita quasi da bestia da soma. Il lavoro duro, i lavori
più umili (le raccoglitrici di olive dall’alba al tramonto, è l’esempio più
immediato), uniti alle tante gravidanze e aborti, con la cura della casa e dei
figli e del marito rendono la vita delle donne un tormento. La funzione di
“trasportatrice”, tipica nel Sud e soprattutto in Calabria, completano il
quadro. Quella elegante figura, la leggiadria del portamento, pur con il
pesante carico sulla testa, in sentieri impervi, a piedi scalzi, è l’immagine
anch’essa emblematica di tutta una condizione.
La
dimensione maschile, travisata, maleinterpretata, il travisato “onore”, da uomo
che “deve” dominare, ipocrita e foriero di imprese efferate, è il corrispettivo
maschile, in questa polarità uomo/donna. La violenza come monopolio maschile,
nella sua crudezza ed elementarità. Dalla violenza del padrone, del dominante,
alla violenza del subalterno. Non si sfugge.
L’emigrato
in America Rosario Monaco non può sottrarsi alla vendetta, tornando in
incognito al paese per uccidere la moglie-bambina e il suo amante
(“L’innocente” pag. 73). La tragedia dell’emigrazione forzata e la tragedia delle
cosiddette “vedove bianche”. E delle mogli lasciate in paese e facile preda dei
maschi predatori rimasti.
Vinicio Verzieri "Ex Libris" |
IV.
Un
mondo cupo in luoghi ameni spesso, sotto e nella chiara luce mediterranea.
Quale contrasto e quale dialettica storica.
Angelo
Gaccione ci ha reso, quasi in modo unilaterale, un mondo. Del passato. Ma è
passato i cui retaggi si prolungano fino a oggi. E fino a quando non avremmo
fatto i conti, veramente e in profondità, con questi retaggi, una inquietudine
rimane. Il multilaterale, un ricco multidimensionale, che purtuttavia ci sono,
e non occorre ricordarlo, spesso si dileguano a causa di quell’unilaterale.
Certo
mafia, ‘ndrangheta, camorra ecc. sono “accumulazione feroce, violenta,
intimidatoria del capitale”, sono, soprattutto oggi, raffinate strategie di
entità nazionali e sovranazionali. Non sono solo entità locali. La commistione
di legale e illegale è nel nostro tempo, nella globalizzazione neoliberista e
nella finanziarizzazione spinta dell’economia, un tratto distintivo che non
dobbiamo trascurare. Il rapporto di dette entità con la politica e con le
istituzioni sono elementi costitutivi. Ma altrettanto costitutive sono le
antropologie, le culture e le subculture, di cui sono impregnate, di cui sono
portatrici e che ulteriormente alimentano.
Il
fare i conti con le proprie radici implica un ripensamento profondo. Per chi
vuole farlo, beninteso. E il disagio e l’inquietudine rimangono. A noi che poi
alla fine rimaniamo degli spiantati, estranei al luogo d’origine e
relativamente estranei, nostro malgrado, al luogo d’arrivo. Qui però non voglio
coinvolgere, impropriamente e abusivamente, l’autore. Il quale ci ha offerto
solo l’occasione, e quale occasione, per queste semplici riflessioni.
Angelo
Gaccione
L’incendio
di Roccabruna
Introduzione
di Vincenzo Consolo
Post-fazione
di Giuseppe Bonura
Di
Felice Ed. 2019
Pagg.
120 € 12,oo