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sabato 4 luglio 2020

ARTE

Appunti di lettura delle opere di Jukhee Kwon esposte alla Galleria Patricia Armocida di Via Argelati 24 a Milano

Già due anni fa, nella stessa Galleria, ho avuto modo di ammirare questa bravissima artista nata in Corea del Sud, ora residente in Italia.
Dall’esterno, dalle ampie vetrate, si vede una cascata di corde bianche annodate che partono dalla volta e scendono a forma cubica e si piegano onda sul pavimento. Entrato, noto che questa sorta di Mecca, ha una entrata a destra ad altezza d’uomo. L’interno vuoto, ha luce filtrata che crea un’atmosfera di raccoglimento, una sorta di alcova o un luogo di preghiera, con eco di fascino orientale.
Con la stessa delicata sensibilità, l’artista si esprime col piccolo formato, con due temi: gli intrecci e i tagli dei libri. Nei primi vediamo nodi e trame tese di cordoncini chiari che creano fori dai quali si leggono scritti termini chiave e poi si irradiano per legarsi alla cornicetta lignea di supporto. Vera espressione letteraria che infrange le regole standardizzate e apre a nuovi valori carichi di poeticità, che sottolineerei tipicamente femminile ed evidenzia una sensibilità giovanile incontaminata da sovraccariche correnti e scuole in atto. Il sentitissimo rapporto con la carta e altri filamenti, crea pazienti sminuzzamenti che, intrecciati, formano cascate, esplosioni, nidi, raccoglimenti, riflessioni, dinamismo, liberazione e suggestivi legami a oggetti.
La pazienza certosina si concentra negli istogrammi sculture, leggere concentrazioni di voli. Molti di questi nastri, recano scritti che si liberano in aria in modo ascensionale e in precipizio.


Ci sono alcune opere che si possono includere nel genere della poesia visiva.
Certosina e ricamatrice, astrattizza i merletti dei sentimenti, i pizzi e il tombolo, con lo spirito orientaleggiante che si espande verso l’universale.
Il bisturi e le forbicine, con la delicatezza, l’accortezza e la precisione di un chirurgo e di un orafo che manopola la filigrana, vanno a incidere i fogli di libri per creare fantasiose aperture da volo o scavo piramidale o labirintiche fascette scritte che si incrociano.
Il clima che si respira dalle opere, richiama le preghiere bandierine buddiste che si muovono al vento dell’alta montagna.
Il personalissimo linguaggio della Kwon porta avanti l’arte che non ha bisogno di traduttori, è comprensibile a tutte le latitudini come la musica.
Vi invito a visitare la mostra per avere un contatto diretto con le opere e avere il piacere di sentirle e apprezzarle, più di quanto ho cercato di sintetizzare.
Non essendo un critico, mi fermo qui, augurando una felicissima e meritatissima carriera, ottimamente avviata, all’artista.
Vinicio Verzieri