di
Angelo Gaccione
Niccolò Nisivoccia |
In
un’epoca di machismo diffuso e - diciamolo pure - di ottusa spietata crudeltà, una riflessione a tutto campo come quella operata da Niccolò
Nisivoccia sulla fragilità, nel suo recente libretto dall’omonimo titolo, può
apparire ai più fuori luogo. Eppure non c’è quasi nulla di così umano, e che
renda immensamente umani, più della fragilità. La fragilità ha come sorella la
tenerezza, e come figlie le lacrime. Da ragazzo lessi una frase che non ho più
dimenticato per tutta la vita: “L’uomo piange, ecco la sua grandezza”.
Ho dimenticato il suo autore, non la sua umanissima frase.
Quanta
saggezza è racchiusa nella parola fragilità, e come il mondo e la vita
dei “mortali” potrebbero essere diversi, se solo ne diventassimo consapevoli!
Ma lo sono mai stati consapevoli gli umani? Purtroppo no, e fin dalle epoche
più remote hanno esibito la loro minacciosa onnipotenza, il delirio
sterminatore della forza. E tuttavia, se vogliamo rintracciare i tratti della
nostra più profonda umanità, è alla fragilità di Antigone che dobbiamo
rivolgerci, piuttosto che alla forza tirannica di Creonte. Alle lacrime
supplichevoli e pietose della fragilità di Priamo, non al furore della forza
eroica di Achille.
È
molto probabile che il sogno faustiano della forza e l’illusione onnipotente
del dominio, non lasceranno scampo alla sopravvivenza della razza umana sulla
terra (gli ordigni nucleari a disposizione sono in grado di far tabula rasa
di ogni possibile forma di vita). O non lasceranno scelta alla natura che già
da tempo affina le contromisure per fare a meno di noi. Eppure, anche questa
recente contingenza determinata dal coronavirus, dovrebbe averci mostrato ad
abundantiam la fragilità di ciascuno di noi individualmente, e degli stessi
assetti mega-organizzati e macro-strutturali su cui le società planetarie più
evolute poggiano. Un semplice, invisibile, microscopico virus, può mettere in
ginocchio la più organizzata ed opulenta delle società, e farsi beffe dei suoi
arsenali militari e della forza.
Niccolò nel suo studio |
Il
prezioso volumetto di Nisivoccia è composto da 129 “proposizioni” sulla
fragilità, disposte rigidamente in numero di tre per ogni pagina; a volte
brevissime, di un solo rigo, perentorie e assiomatiche; altre volte più ampie e
argomentative. Qualche volta mostrano la lama affilata dell’aforisma
filosofico, qualche altra lo splendore luminoso del verso poetico.
Ciò
che emerge è “La fragilità di ogni cosa: perché tutto, sempre, può crollare,
da un momento all’altro. Tutto può venire giù, sempre”. E se questo vale
per l’oggettività del mondo, a maggior ragione vale per la soggettività: per i
nostri corpi, i nostri affetti, i nostri legami, i nostri rapporti, le nostre speranze, i
nostri sogni… Vale soprattutto per la nostra psiche. E non è un caso che a
introdurre il discorso di Niccolò sia una nota di uno psichiatra come Eugenio
Borgna. Un tema, direi, che non potrebbe essere più “borgnano” di questo.
Psiche,
dicevamo. E cosa c’è di più fragile di essa? Facciamone tesoro e meditiamo le
sagge parole di Nisivoccia, a cui aggiungerei queste dello scrittore statunitense
Morris West: “Siate premurosi fra voi, la psiche umana è un vascello troppo
fragile”.
La copertina del libro |
Niccolò
Nisivoccia
Sulla
fragilità
Edizioni
Le Farfalle 2019
Pagg.
56 € 10,00
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