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domenica 30 agosto 2020

CASCINA TORCHIERA
di Angelo Gaccione

Il saluto a Paolo Finzi alla Cascina Torchiera

C’è un luogo a Milano dove da 27 anni sventolano le bandiere anarchiche. Questo luogo è al numero 18 del Piazzale del Cimitero Maggiore, perché qui c’è il cimitero più grande della città. I milanesi lo conoscono anche come “il Musocco”, perché prima di essere inglobato come altre frazioni e piccoli comuni autonomi, si trovava nel comune di Musocco, non lontano da Garegnano. Gli amanti di “pietre vive” e di musica sacra come me, sanno che a Garegnano c’è l’omonima Certosa, ora meno isolata ed appartata di come era ai tempi della sua costruzione trecentesca. Il cimitero Maggiore fu costruito in meno di un decennio (1886-1895) su un’area che era stato un vero e proprio bosco: l’antico Bosco della Merlata, dicono le fonti. Vi traslocarono le spoglie custodite nei vari cimiteri della città, divenuti nel tempo troppo angusti e troppo centrali, come quello di San Rocco al Vigentino (che aveva accolto i corpi di molti dei caduti durante le Cinque Giornate), quello di Porta Garibaldi noto come la “Mojazza”, il “Gentilino” in Porta Ticinese, quello di Porta Magenta che qualche anziano ricorda ancora col nome di “Fopponino”, o quello di Porta “Tosa”, zona ribattezzata Porta Vittoria dopo le insurrezioni antiaustriache del 1848. 

Il Cimitero Maggiore

Non si può negare che il Cimitero Maggiore abbia una sua imponenza: già il suo frontale vi si presenta come una sorta di bastione militare, come un massiccio e robusto fortilizio. Più che a defunti fa pensare a un Mausoleo per la custodia di glorie belliche. Per arrivarci con i mezzi pubblici da casa mia in Porta Romana, è una bella tirata. Lo era ancora di più nel 1906 quando una delle stazioni funebri si trovava proprio in Porta Romana, a ridosso delle mura spagnole; in seguito la struttura divenne dopolavoro dei ferrotranvieri, sala da ballo, e ora ospita le raffinate e costose Terme di Milano. Da qui partiva il tram con le sue vetture rigorosamente nere, che Comune e società Edison avevano voluto. Era il tram che l’ironia macabra dei milanesi aveva battezzato “La Gioconda”; io lo appresi per la prima volta dal racconto orale del commediografo e poeta dialettale milanese Sandro Bajini, di cui sono stato amico e che collaborò all’edizione cartacea di “Odissea”. 
Ricordo di essere rimasto molto colpito dal nome conferitogli dalla geniale inventiva popolare dei milanesi, e di averne anche riso. Era, mi disse Bajini, il loro modo di esorcizzare un evento doloroso come la morte.

"La Gioconda"

Chiedo scusa ai lettori per questa lunga digressione, ma non vorrei che si fossero fatta l’idea che le bandiere rosse e nere degli anarchici sventolino sugli spalti del Cimitero o al posto dei suoi candelabri. Vorrei subito tranquillizzarli informando loro che il numero 18 è di fronte al cimitero, e che le bandiere sventolano, dunque, sopra e dentro la Cascina Torchiera. Cascina che i Padri della vicina Certosa custodirono fino al 1888, e, di questo possiamo starne certi, se ne sono presi minuziosamente cura facendola prosperare. Finita in mano al demanio comunale, il cosiddetto bene pubblico, è stata lasciata andare in malora. 


Dal 1992 è divenuto uno spazio aggregante per il quartiere e per segmenti di città che mal tollerano il degrado, i beni lasciati allo sfascio, le speculazioni immobiliari che ingrassano le fameliche consorterie che fanno incetta di aree edificabili. Nel 1995 la Giunta Comunale di allora taglia la fornitura dell’acqua alla cascina per costringere i collettivi ad andarsene, ma questi resistono, e provocatoriamente la ribattezzano: “Cascina Autogestita Torchiera Senz’Acqua”. Nel 2009 il Comune decide di vendere l’intera area attraverso il gruppo bancario BNL Paribas; un migliaio di metri quadrati non sono cosa da poco. “Dal gennaio 2011 la Cascina Torchiera è stata stralciata dall’elenco dei beni immobili in vendita nel Fondo Immobiliare del Comune di Milano ed è tornata proprietà del demanio”, ma come abbiamo appreso dalle notizie di questi giorni, il rischio di sgombero è tornato alla ribalta. Cosa è stata in questi lunghi anni la “Cascina Senz’Acqua”, lo leggerete nelle brevi note che seguono a questo scritto. 

Cascina Torchiera Senz'Acqua

La Città degli ipocriti (IpocriCity, come hanno definito le varie Giunte succedutesi, i frequentatori della Cascina, suona troppo raffinato alle mie orecchie) veste una casacca identica ed ha un identico pensiero, anche se tenta di mimetizzarsi sotto simboli differenti. Incassare un po’ di soldi per ripianare qualche debito e fare il deserto della socialità è una veduta comune. La Lega ladrona ha avuto persino la spudoratezza di andare a protestare davanti alla Cascina, ma ben protetta dalla polizia, qualche tempo fa. 


Uno striscione per la Lega

Uno striscione prontamente realizzato dai creativi della Cascina con la scritta: “49 milioni di buone ragioni per difendere 27 anni di autogestione”, è stata l’ironica risposta. Per chi l’avesse dimenticato, i 49 milioni sono la cifra che la Lega deve alle casse pubbliche, per averli intascati illecitamente e fatti sparire attraverso un complesso gioco di scatole cinesi con la complicità delle banche. Finanziamento statale che non spettava alla Lega ladrona di Salvini-Bossi, dunque un furto pubblico ai nostri danni. 

Il tetto si ripara

La Città degli ipocriti si divide in due nettissime categorie: una componente minoritaria, ma che amministra ed ha potere, pronta ad alienare, a cancellare esperienze, a fare della solidarietà un deserto; e una componente maggioritaria che subisce, che è danneggiata. Dentro questa maggioranza è presente un’area di donne e uomini di buona volontà che non si piega, non si arrende, resiste e si adopera per costruire, riparare, medicare. Lo vedrete dalle foto con cui accompagniamo questo scritto: spesso a mani nude; da anni rigorosamente senz’acqua. Dategliela voi a queste donne e uomini la definizione che più meritano.

Lavoro in Torchiera

Egoisticamente vorrei che i Torchieresi abbandonassero volontariamente la Cascina; è in diverse parti coperta di amianto, uno dei minerali dalle fibre più letali. Lo dico perché i libertari mi stanno a cuore più degli ipocriti che vogliono sfrattarli, e gli Stati con i loro apparati di morte mi fanno più paura di chi dissente. Ma so altrettanto bene che sono due visioni di mondo che si fronteggiano dentro e fuori dalla Cascina: quelli di dentro si prendono cura della vita e delle sue forme, quelli di fuori non se ne curano. La differenza è abissale. Dovete scegliere da che parte stare. Io sto con loro.

Si ristruttura

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IPOCRICITY

Fare insieme


Da 27 anni la nostra comunità si riconosce in un obiettivo comune: restituire alla città, attraverso l’autogestione, uno spazio di libera aggregazione, di cultura dal basso, di autorganizzazione. Ci siamo riusciti e siamo orgogliosi di essere diversi da un pub o da una discoteca: entrando nei nostri spazi non sarà necessario compilare tessere associative e non ne uscirete con il portafogli svuotato, ma sarete arricchiti dalle tante attività, concerti, dibattiti, proiezioni, mostre, cabaret, saltimbanchi, la Banda degli Ottoni a Scoppio, la squadra di calcio antirazzista, la scuola di Italiano, la sala prove, il corso di yoga, le presentazioni di libri, il mercato contadino, la biblioteca-archivio, il tutto in uno spazio reso accessibile per chi ha disabilità motorie.
Oggi, consapevoli di essere bersaglio di una possibile svendita bandita da chi ci definisce “luoghi rimasti a lungo senza identità”, all’IpocriCity delle amministrazioni rispondiamo con l’unica arma possibile: occuParty della città! Il prossimo 19 settembre ci riverseremo per le vie del quartiere e della città con chi si preoccupa da sempre di beni comuni: saltimbanchi del libero mutuo soccorso, acrobati dello scambio gratuito di saperi, equilibristi dell’impiego sociale del tempo. Un’umanità consapevole, allegra e resistente, che sfilerà per le strade di Milano, con lo stesso spirito con cui, nei mesi di lockdown si è fatta brigata solidale. Non stiamo convocando solo una marcia, stiamo invitando la cittadinanza a una performace collettiva: feconda interzona culturale libera da sessismi e razzismi, fucina di relazioni, linguaggi e pratiche libertarie, circo(lo) di sapere, storie, generazioni, ecologia di arti, immunità di gregge all’asfissia di una metropoli pacificata, operosa e impoverita. Torchiera non si cancella con un avviso d’interesse pubblico, così come siamo complici e solidali con il Centro Sociale Lambretta, nuovamente sotto sgombero in una città incapace di cogliere il valore delle esperienze autogestionarie.
Sabato 19 settembre coloreremo le strade milanesi con una parata di gioia, rumore, arte e cultura per ricordarlo ai distratti, agli ingenui, agli smemorati, ai feroci banditori di città pubblica.
[Cascina Torchiera]

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GIÙ LA MASCHERA

La corte della Cascina

Da oltre 27 anni Cascina Torchiera Senz’Acqua è uno dei punti di riferimento di un’altra Milano, Da oltre 27 anni è la fucina di un pensiero libertario che si è tradotto in azione sul vivere quotidiano.
Laboratorio del vivere solidale, antimilitarista, antisessista, laboratorio includente e senza barriere a cominciare da quelle architettoniche, al di fuori dalle logiche del denaro e del mercato. Una zona liberata.
Cascina Torchiera Senz’Acqua è stata ed è una delle identità di una città che altrimenti sarebbe solo una vetrina orribile dove vivere sarebbe un incubo.
[Cascina Torchiera]


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ASSEMBLEA PER RIPARTIRE


Il valore dell'autogestione

Ciao a tutte e a tutti,
Milano si è fermata. La pandemia ha realizzato l’impensabile bloccando i corpi, la vita sociale, la produzione. Ogni certezza ha vacillato, l’ineluttabilità yuppie del meneghismo militante è stata messa in discussione, ma non è stato come nei film hollywoodiani: nel finale, la sofferenza e la crisi incombente non ci hanno permesso di festeggiare sulle macerie del discorso tossico ben riassunto da 
#milanononsiferma.
Eppure oggi è un giorno perfetto per dichiarare che, fuori dalle beatificazioni effimere degli angeli della pandemia, c’è una città che non si è mai arresa. Si è fermata, non c’è vergogna in questo, ma non si è arresa. Tante e tanti di noi hanno animato le brigate, le staffette e le colonne della solidarietà. Altre e altri di voi si sono attivati per costruire forme alternative di socialità, d’incontro, di mutuo soccorso. Ancora nell’autogestione, nel sindacalismo di base, nelle associazioni, si è tessuta la trama delle relazioni, delle lotte nel lavoro riconosciuto e non, nel sostegno agli ultimi e alla comunità tutta.
Tutto questo è una parte integrante di Milano, importante, diversamente protagonista di un rimboccarsi le maniche che non si misura in termini di PIL, altezza dei grattacieli, volume di turisti, ma fa dell’inclusione e della solidarietà pratica quotidiana, piuttosto che vocazione elettorale.

È il caso della Cascina Autogestita Torchiera SenzAcqua che da 27 anni osa la pratica della convivialità, dell’autogestione, delle controculture, dentro questa città, anzi meglio, in una delle sue periferie. Cascina Torchiera, al pari di storie che oggi portano il nome di Ri-Make, Lambretta, Fornace, rappresenta la città che non si è arresa, antifascista, migrante, femminile, bambina, e che resiste perché crediamo che una città senza conflitti, informalità, stress alle maglie del diritto, non sia una città pubblica.
Un’epidemia ha rinfrescato la memoria sull’importanza della sanità pubblica, dell’istruzione, del lavoro di cura. Il prezzo pagato da tutte e tutti noi è stato enorme e ingiustificabile. Non permetteremo che sia una tornata elettorale o l’assenza di coraggio della politica maiuscola a mostrare l’asfissia di una Milano normalizzata e privatizzata. Un’epidemia ha mostrato la fragilità della folle rincorsa alla turistificazione e all’aumento dei valori immobiliari, dunque non dimentichiamo quale sarà l’ulteriore prezzo da pagare non appena si esaurirà l’interregno dello stop ai licenziamenti.
Torchiera in musica

Quella del prossimo 19 settembre non può e non deve essere una parata di Torchiera o per Torchiera. Ci piacerebbe fosse una parata di quella città che non si arrende ad una Milano esclusiva e quindi escludente. Di questo luogo sì, ci sentiamo parte integrante. Non sappiamo garantirvi cosa accadrà poi: un fuoco fatuo o l’inizio di un percorso? Possiamo garantirvi che non siamo un vuoto (d)a rendere, uno spazio privo di identità, un pezzetto di città da mettere sul mercato perché il Comune è indebitato mentre investitori, fondazioni, sviluppatori hanno fame di affari. Tutte le giunte che abbiamo conosciuto in questi anni hanno sistematicamente disapplicato gli strumenti di legittimazione degli spazi sociali per costringerci e quindi accusarci di essere illegali. A noi questa definizione non crea problemi, e non crea problemi perché crediamo nella legittimità della nostra azione e siamo consapevoli che senza autogestione non esisterebbe alcuna Cascina Torchiera.

Ci piace immaginare che questa parata sia l’occasione per la città dei territori, della cura, dei diritti ma anche la città della creatività piuttosto che delle regole stantie, della festa piuttosto che degli eventi, dell’accessibilità piuttosto che dell’iconicità, della diversità piuttosto che del decoro. Le voci, i suoni, le tappe, le arti performative che metteremo in campo, non devono essere che un pezzetto di quanto coralmente sapremo esprimere. Vogliamo vivere, non solo resistere in una colata di cemento. Vogliamo respirare, non solo ansimare nell’aria che resta. Vogliamo realizzare quello che non hanno previsto, non solo accontentarci delle conquiste di ieri.
Questi appunti sono un invito. Vi aspettiamo tutte e tutti a un’assemblea cittadina che convochiamo il prossimo giovedì 3 settembre, alle ore 20.48, nell’aia della Cascina. 

[Cascina Torchiera]
 ALBUM
Al lavoro per ristrutturare

Partigiani

Bandiere in Cascina

Pacifisti in Torchiera

La Cascina dipinta

Le insidie dell'amianto