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lunedì 31 agosto 2020

DI PESSIMO GUSTO…
di Marzia Borzi


Body Shaming tra democraticità del gusto 
e limite d’intelligenza.

La bellezza e il gusto sono tra le cose più democratiche del mondo. L’intelligenza no, non lo è affatto. Se uno è cretino è cretino e che sia cretino è un dato di fatto che balza all’occhio subito, che si denota da ciò che dice e scrive, da come si comporta e non di certo dal “gusto personale”.
Che il gusto sia democratico ce lo sta dimostrando da qualche tempo anche il mondo della moda che, sempre più spesso, sceglie modelle anticonvenzionali cioè non rientranti nei canoni comuni dell’estetica.
È bello che questo accada perché apre la strada all’abbattimento dei pregiudizi che, lo sa bene chi un po’ di latino lo mastica, deriva da prae (prima) e iudicium (giudizio), cioè giudicare prima di conoscere e soprattutto rafforza la fiducia di quelle persone che magari si sentono meno “belle” o più lontane da quella bellezza patinata che dovrebbe essere, a detta di alcuni, la qualità esclusiva di chi calca le passerelle.
Peccato invece che l’intelligenza, che, assai poco democraticamente, non è stata distribuita a tutti allo stesso modo, fatichi a comprendere questi meccanismi e si presti ai soliti, stupidi luoghi comuni e soprattutto ricorra al Body Shaming cioè agli insulti gratuiti, fatti soprattutto dai “webeti social”, nei confronti di chi non è conformabile, di chi non rientra nel canone classico della bellezza.
Per “body shaming” si intende l’atto di deridere una persona per il suo aspetto fisico, prendendo di mira qualsiasi sua caratteristica: l’adiposità o la magrezza, l’altezza o la bassezza, la presenza o l’assenza della 
peluria corporea, l’acconciatura, il naso, lo sguardo e molto altro ancora. E chi si presta a queste cattiverie? Incredibilmente soprattutto le donne, quelle che oggi si vantano tanto di essere “anticonformiste”, “fuori dagli schemi” ma che, in realtà, sono ancora ferme ad una visione tutta maschile della bellezza o, come bambine non cresciute, si fermano fin troppo spesso a dirsi fra di loro “Tu sei molto meglio…”, “Tu sì che potevi fare la modella”, mettendo in scena un falso teatrino di frasi melliflue e cordiali che solo apparentemente cela una tonalità verde d’invidia contro chi, forte di un carisma che non è solo fatto di tratti somatici regolari, ce l’ha fatta più di loro. Donne sempre in competizione, sempre ferme allo stereotipo maschile del femmineo, sempre bisognose di essere accettate per quello che mostrano e non per quello che sono, sempre rancorose come la matrigna di Biancaneve davanti allo specchio delle sue brame.
Eppure le vere donne, quelle che hanno cambiato il mondo e sradicato il pensiero comune, non sono mai passate attraverso la bellezza, non si sono mai prestate all’omologazione, alla trasformazione chirurgica per rincorrere assurdi canoni inesistenti o al freddo e statico estetismo.
Per questo se le donne si fermassero un attimo a ragionare su se stesse, sulle lotte civili che hanno caratterizzato il loro percorso storico, anche solo sull’evoluzione dei canoni del gusto nel corso dei secoli, capirebbero che etica non fa mai rima con estetica e che stanno sbagliando tutto.
Che sono ancora delle cretine ferme al palo dell’evoluzione umana.
Per fare ciò però c’è bisogno di intelligenza e questa, a differenza del gusto, non è affatto una qualità democratica e purtroppo è ancora molto lontana dall’essere diffusa in modo capillare.