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lunedì 24 agosto 2020

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

Bernardo Strozzi
"Le tre Parche"

Il Destino
Ho, già, avuto modo di dire che i convincimenti del pastore, su come avvengono i processi di formazione dell’essere, stimolano e generano la sua filosofia, che si rispecchia nella formazione delle parole. I greci avevano coniato τέρμα τέρματος, il cui significato più appropriato sarebbe stato: tappa, mutuata dalla metafora della creatura, che, prima di arrivare al termine, fa tante tappe. Infatti, i latini dissero che, dentro il concetto di terma, si deduce quello di arrivare alla fine del percorso e, quindi, di termine. Quindi, da termine, latini ed italici coniarono tantissime parole, tra cui: terminare, determinare, predeterminare ecc. Pastori e contadini avevano osservato che, in natura, tutto è predeterminato. Nella realtà, che è in continuo divenire (Empedocle), tutto è predeterminato (Democrito, Epicuro, Lucrezio). Il divenire dell’essere in formazione porta il pastore a identificare il dover essere con ciò che sarà e a considerare verità assoluta questa sua constatazione. Pertanto, tantissime parole contengono le teorie del pastore, il quale traduce in mito la sua visione della vita e del mondo.
Per il pastore greco c’è νάγκη: necessità, costrizione, che, poi, divenne: νάγκη: Destino, Fato. Quando la madre lega a sé la creatura, gli accadimenti sono necessari ed inderogabili, per cui anche per la vita di ogni uomo tutto è necessitato e, quindi, immodificabile, a tal punto che la divinità può solo prevedere gli eventi, ma non le è dato di modificare quel che necessariamente sarà. La stessa cosa esprime τύχη, che, più propriamente, rappresentò la Fortuna dalle due facce. Questo concetto è così stringente, nella cultura popolare, che ha dato luogo al verbo toccare, nel senso di spettare. Pertanto, mi tocca (m’attocch’d’) quanto mi è stato riservato da Τύχη o dalla sorte.
 I greci, inoltre, dal verbo di forma media μείρομαι: ricevo la mia parte, ho dal destino dedussero: μορα: parte assegnata a ciascuno, il destino assegnato, indicando, anche per questa parola, ciò che causa il processo di formazione della vita. I latini dalla radice fat, da tradurre: dal nascere il tendere (quando il grembo incomincia a sollevarsi e a spingere), dedussero fatum: fato, destino, aggiungendo um: la creatura rimane, a voler significare che resterà fino a quando non si formerà quanto è stato predeterminato e da fato dedussero fatale, che è ciò che necessariamente deve avvenire. Successivamente, fatale acquisì anche il significato di: funesto, mortale, in quanto la traduzione di fatale è: ciò che nasce da fato; in realtà il pastore latino annotò: è ciò che manca dal fato.

La Sorte

Gli italici dedussero dal verbo latino: de
stino destinas: stabilisco (ciò che è destinato): il destino, che è il risultato della seguente perifrasi: è ciò che lega (è ciò che consegue) al periodo di permanenza della creatura: è tutto stabilito. C’è da dire che gli abiti mentali sono manifestazioni di cultura, per cui la concezione fatalistica della vita fu molto lentamente superata, mentre nei territori della Magna-Grecia, fa fatica ad essere sradicata.
C’è da sottolineare che le parole, che hanno un contenuto iussivo, rimandano alla filosofia del deve essere così. Infatti, iubeo: io comando è il risultato della seguente perifrasi: è ciò che consegue all’andare a generare la creatura, che attiene al tu devi eseguire. In altri termini, il pastore latino pensò che il comando è un’imposizione forte che deve essere eseguita in modo pedissequo. L’omologo di iubeo è ρχω: comando, che consegue a questa perifrasi: genera lo scorrere il passare (durante la gestazione, quando si realizza la creatura), c’è chi impartisce ordini sequenziali per la realizzazione perfetta dell’opera.
Quando i latini coniarono statuo: stabilisco (in modo perentorio) dedussero questo concetto dal fatto che lo stare nel grembo della creatura non solo è preordinato, ma è anche efficace. Allora lo statutum (stabilito) ha valore di lunga durata e di inderogabilità. Da statuo fu dedotto instituo che indica lo stabilire d’ora in poi e nell’istituito si deducono le istituzioni, principi normativi, ma anche regole comportamentali, ma anche gli organi dello Stato. Da cerno, che è una radice generica che dette luogo a molteplici significati, modellata su κρίνω, furono dedotti decerno e decretum, che indica l’assoluta inderogabilità del disposto per conseguire gli effetti desiderati.
La stessa cosa fecero gli italici, quando adottarono la delibera e io delibero. La creatura si libera dopo il periodo stabilito, eseguendo tutte le prescrizioni.
Infine, il verbo dico fu coniato da questa perifrasi: genera il legare il passare, a voler significare che la gestante con la comparsa del segno gravidico dice agli altri del suo stato. Da detto fu dedotto indetto, che rimanda al giorno della nascita che è quello e solamente quello, in quanto tassativamente fissato.