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domenica 9 agosto 2020

VALTELLINA. LE DOLÉANCES DI VITALE
di Marco Vitale

Marco Vitale

Seguo con ansia, preoccupazione ma anche indignazione, il dibattito (forse sarebbe meglio chiamarlo: il “non dibattito”) sulla situazione dell’assistenza ospedaliera e sanitaria in Alta Valle, con riferimento specifico all’azione in corso per smantellare, con la scusa del Coronavirus, il complesso ospedaliero Morelli di Sondalo, presidio fondamentale per tutti coloro che permanentemente o saltuariamente vivono in Alta Valle. Seguo il dibattito con ansia e preoccupazione perché, pur non essendo nativo in Valle, ho qui casa da quasi cinquanta anni, nella quale passo almeno due mesi all’anno, e con i miei figli e nipoti siamo alla terza generazione presente in Alta Valle. Sono dunque uno dei milioni di turisti stabili che, con la loro presenza, alimentano una delle attività economiche fondamentali dell’Alta Valle e, dunque, di tutta la Valtellina. Certamente la parola spetta, in primo luogo, ai nativi residenti. I loro bisogni e le loro esigenze vanno posti in primo piano davanti a tutti ed a tutto. Ma poi anche noi “stranieri”, stabilmente presenti, abbiamo diritto e, forse, dovere di parola su un problema che tocca, comunque, anche noi da vicino.
Naturalmente in tanti anni sono stato cliente sia del presidio ospedaliero di Bormio, quando esisteva, con piena soddisfazione (qui il bravissimo Dott. Maggi riuscì, con grande bravura, a raddrizzarmi un ossicino del piede chiamato astragalo senza operarmi) che, recentemente, del Morelli a Sondalo. Qui ho avuto la possibilità di ammirare a lungo la magnifica e modernissima struttura del Morelli, perché ricoverato al pronto soccorso alle 8,30 per una frattura semplice all’avanbraccio, ho potuto uscire, ingessato, solo alle 15,00. Una così lunga attesa, mi fu detto, era dovuta alla scarsa disponibilità di medici. Ma apprezzai molto anche la cortesia e l’efficienza del personale, sia del pronto soccorso che della radiologia. Ed ebbi il tempo per riflettere su quale straordinaria fortuna è, per l’Alta Valle, poter contare su una struttura eccellente localizzata in un luogo così salutare e attraente e sulla grande lungimiranza che ebbero coloro che lo concepirono e lo realizzarono, sia pure per motivi, in parte, diversi da quelli di un ospedale generale.
Ma se oggi nutro ansia e preoccupazione non è solo per me, i miei figli, i miei nipoti, ma per la popolazione tutta dell’Alta Valle. Sembra che dovremo convivere con un’assistenza ospedaliera ancora peggiore della già cattiva attuale, sicché anche la classifica dell’Alta Valle nella scala turistica, subirà un declassamento (il confronto, ad esempio, con il Trentino è già oggi impietoso). Quando si farà strada nel turismo la consapevolezza che non esiste più un presidio ospedaliero adeguato in Alta Valle, gruppi non piccoli del turismo si dirigeranno verso altre montagne. La classifica di una località di montagna non è basata solo sul paesaggio ma su un insieme di servizi, tra i quali i servizi sanitari occupano una posizione fondamentale. 

Il Morelli di Sondalo

Invece un Morelli riorganizzato, potenziato e rilanciato adeguatamente non solo assicurerebbe servizi sanitari migliori alla popolazione, ma funzionerebbe come attrattiva per turismo, attività scientifiche, alleanze strategiche con altri centri di ricerca sanitaria. Il Morelli può e dovrebbe diventare non solo un buon ospedale per la popolazione e per i turisti dell’Alta Valle, ma un fiore all’occhiello, un motore di sviluppo per la Valtellina. Per questo la subdola operazione in corso di graduale svuotamento del Morelli non solo è un delitto contro l’Alta Valle e la sua popolazione, ma è una stupidaggine colossale, anche da un punto di vista economico. Ma la Regione Lombardia ci ha abituato, in campo sanitario, a stupidaggini colossali.
Circola un documento della Regione denominato “progetto di riqualificazione delle sedi ospedaliere di Valtellina e Alto Lario”, basato su un piano che si dice elaborato dal Politecnico di Milano. Di quest’ultimo il giudizio più gentile che ho letto e che sottoscrivo interamente è il seguente: “È una vergogna che il Politecnico si presti a speculazioni di carattere politico, presentando un documento indecente” (Paolo Gotta Frattini, imprenditore biomedico, in Centro Valle, 18 gennaio 2020). A me sembra che i membri del Politecnico che hanno stilato questo documento, ignorino o comunque abbiano le idee molto confuse su dove si trovi la Valtellina e sulla sua struttura territoriale. Perciò può essere utile per loro e per il vertice della regione un breve ripasso.
La Valtellina dispone di una orografia tipica della montagna, con percorsi lunghi, tortuosi e densità di popolazione residente bassa. Una popolazione che subisce un drastico incremento durante le stagioni di interesse turistico, con persone che vi giungono dall'esterno, sia dall'Italia, cioè inserite nel Sistema Sanitario Nazionale, che dall'Estero, visitatori questi che non gravano sul SSN ma, in genere, vengono rimborsati dalle loro Assicurazioni. È costituita da una valle principale, servita da un unico collegamento stradale, la cui percorrenza completa richiede da 120 ai 180 minuti, completata da valli laterali che a sua volta richiedono tempi di percorrenza significativi. Il territorio complessivo è di circa 3.195,68 km3 con una popolazione di 181.095 unità, con una densità di popolazione di 56,67 ab/km3. Vale la pena ricordare che il valore medio italiano è di 199,82 ab/km3, cioè circa 4 volte superiore (Urbistat). Già questo valore, spesso invocato ma poi raramente preso in considerazione realmente, mostra come l'applicazione di una regola nata per territori piani con collegamenti stradali regolari e una densità di popolazione quattro volte superiore, come lo sono quelli utilizzati dalla Regione e dal Politecnico (DM 70), non può in alcun modo soddisfare i bisogni di questa realtà demo e geografica. Parlare di "sanità della montagna" senza concretizzare cosa si vuole intendere, e precisamente senza chiarire che si tratti di una realtà organizzativa strutturalmente differente, è vano ed erroneo.

Il Morelli

Tra i principi fondamentali della Buona Medicina, dai quali trae il suo calcolo il DM 70, vi sono i seguenti. In primis abbiamo il concetto della organizzazione della offerta sanitaria differenziata tra assistenza generale con bassa specializzazione e grande diffusione territoriale verso quella ad alta specializzazione e alta concentrazione. Se una volta il paradigma della sanità posava sulla prima fattispecie, ponendo il fulcro sulla capillare diffusione della offerta sanitaria sul territorio, la evoluzione della scienza medica verso sempre maggiori e dettagliate competenze specialistiche ci obbliga a tenere conto delle esigenze e peculiarità descritte nella seconda fattispecie.
Senza entrare troppo nel dettaglio, è ovvio che una giusta, competente ed efficace medicina necessita di due elementi irrinunciabili: i mezzi per praticarla e le persone competenti per farlo. I mezzi costituiscono un insieme organizzato di strumenti, che vanno dal semplice letto fisico alla PET ed alla alta e altissima tecnologia, le competenze si acquistano con lo studio e la esperienza, che deve essere mantenuta con un continuo ed ininterrotto flusso di casi da diagnosticare e curare. Per questo la medicina, per essere efficace (purtroppo oggi si parla sempre meno di efficacia e sempre di più solo di efficienza), deve concentrare l'alta specialità in alcuni punti, dove possono esistere sufficienti flussi di pazienti, incompatibile con il principio della diffusione capillare.
Nasce così il concetto della organizzazione "a stella" degli ospedali, con un centro di alta tecnologia e specializzazione, dove i pazienti arrivano da posti anche lontani ma permangono per poco tempo, collegati a punti di erogazione normali, la cui caratteristica deve essere la diffusione territoriale capillare. Per chi ama l'inglese, il modello prende il nome di "hub and spoke".


Il legislatore ha creato una griglia, come appunto troviamo nel DM70, che incrocia alla meglio queste due esigenze: alta specializzazione accentrata, bassa specializzazione diffusa, applicando i parametri della domanda storica per territorio. Fino a qui tutto logico e condivisibile. Lo stesso legislatore poi, rendendosi conto della possibilità dell'esistenza di fattori ulteriori del semplice calcolo esposto, che possano entrare nella organizzazione della buona medicina, lascia lo spazio generico di "sperimentazioni" e casi "specifici" ove applicare parametri più consoni alla realtà specifica. Se a questo punto passiamo da una realtà dove le comunicazioni stradali si svolgono in piano con rete radiale ad una di montagna, dove tutto lo sviluppo territoriale si assiepa lungo una sola dorsale, per giunta non autostradale, è evidente che dobbiamo fare riflessioni diverse sulla possibilità di ragionare in termini di numerosità dei pazienti e basta. Se aggiungiamo il fatto che tutta la Valtellina ha meno abitanti di un quartiere di Milano, ma occupa una superficie ben diversa, con una densità di popolazione di appena un quarto di quella italiana sulla quali si basano i calcoli del DM70, non vi dovrebbero più essere spazi di discussione sulla necessità di accantonare i numeri teorici a favore di numeri reali. Tanto più che il DM70, anche a livello nazionale, fa una grossa sottostima della necessità di letti con un parametro di 3,7% ogni 1000 abitanti, contro gli 8,5 e 8,8 di Francia e Germania e contro i 6 della Russia. Solo gli Stati Uniti usano un parametro inferiore a 3 e sono dietro di noi nella classifica nazionale, occupando noi il 67° posto.

Sondalo

Purtroppo, questi semplici calcoli reali restano del tutto assenti dal "piano" regionale proposto. Il "piano" in sostanza non fa altro che cercare di adattare, avvicinare, comprimere il più possibile la situazione attuale in essere, verso una maggiore integrazione dei valori del DM70, sacrificando realismo e efficacia clinica ad una accademica visione teorica di efficienza economica ad minima. Visione poco corretta, del resto, anche sotto il punto di vista economico, perché la incomprimibilità della domanda sanitaria (liberiamoci dalla follia della affermazione del "governo della domanda" che in sanità suona tanto come lasciamo morire chi non è più conveniente curare) crea solo una migrazione incontrollabile della domanda con problemi organizzativi. In sanità è auspicabile la crescita, non la compressione, della domanda. Altrimenti si ostacola la diagnosi precoce e la cura efficace a favore di più costosi eventi emergenziali tardivi gravati da una morbilità e da costi aggiuntivi sensibilmente più elevati.
Questo primo dato scientifico e certo, si scontra con il paradigma "riorganizzare per ridurre, migliorare l'efficienza per spendere meno", oggi predominante in Sanità. La ricerca di ridurre i costi ha fatto perdere di vista il fatto che la giusta e doverosa battaglia contro lo spreco, la corruzione e la disorganizzazione non possono andare a danno della efficacia delle cure.
Bisogna decidere, ed è una decisione eminentemente politica, se si vuole considerare la Sanità come una erogazione di un beneficio, quantificato e commisurato con temi come "domanda" sanitaria e "costo del servizio", o se si vuole vedere nella Tutela della Salute un bene ipso facto di interesse pubblico, che va ricercato indipendentemente dal fatto che qualcuno lo chieda. Bisogna chiedersi se si vuole erogare servizi sanitari perché considerati di per sé stessi un bene, una risorsa dello Stato, o solo nella misura in cui cittadini malati ne invocano l'erogazione ("governo della domanda"). Se insomma la Sanità non debba tornare ad essere vista come un servizio diretto alla comunità, alla stessa stregua della educazione (scuola) e della sicurezza (polizia), e come tale debba essere erogata in base ai bisogni possibili e non solo alla domanda emergente. Chiariamo meglio: bisogna far emergere la domanda, suggerendo al cittadino di sottoporsi a esami di controllo periodici, o aspettare che arrivi lui stesso, magari dissuadendo la domanda "inutile" con lunghi tempi di attesa? È più utile per lo Stato ridurre la spesa alla sola domanda "appropriata", sostenuta da un bisogno ben evidente e reale, o piuttosto tollerare anche una residuale domanda "inappropriata" che però permette di mantenere elevato il controllo della salute pubblica e fare vera e credibile prevenzione, superando il criterio minimalista e scientificamente discusso degli "screening"?
La risposta è ovviamente di carattere sociale, etico e politico, e non può essere nemmeno affrontata in questa sede, ma va tenuto presente come elemento fondamentale importante per ogni programmazione strategica degna di tal nome.

Sondalo in festa

Era necessario illustrare sia pur brevemente questi concetti generali di una buona politica ospedaliera, per i quali ho attinto ampiamente al parere di un direttore sanitario con il quale, in passato, ho lungamente collaborato nella mia veste di Commissario del Policlinico di Milano e che stimo molto (Dott. Guido Broich), proprio perché essi sono totalmente assenti, certamente per quanto riguarda la Valtellina ma non solo, nel piano regionale. Che siano assenti nel piano regionale non desta particolare meraviglia, dato che l’organizzazione sanitaria lombarda a livello regionale è in mano ad un livello di incompetenza sorprendente. Che siano assenti anche nel documento del Politecnico è molto triste, perché il ruolo di questo soggetto dovrebbe essere di assicurare un livello di decenza che non esiste nel piano regionale per la Valtellina che si fa scudo del Politecnico.

Il Politecnico di Milano

Non posso qui discutere tutti gli aspetti di questo piano e mi concentrerò sul punto centrale di importanza assolutamente vitale: i rapporti tra il complesso ospedaliero di Sondalo (al servizio dell’Alta Valle) e quello di Sondrio. È in atto una manovra, che non si ha il coraggio di esporre con chiarezza, di svuotare il complesso di Sondalo per concentrare il grosso dei servizi ospedalieri di tutta la valle nell’Ospedale di Sondrio (che nella mente di alcuni dovrà essere sostituito da un ospedale nuovo con una spesa colossale, che farà molti felici).
Il presidio di Sondalo nasce con una storia e destinazione di respiro non solo regionale ma nazionale e internazionale, per la sanità di eccellenza e superspecialistica. Da quando il presidio è stato assorbito dalla sanità provinciale ha subìto un continuo declino. Una pneumologia ridotta ai minimi termini, una tisiologia declassata a struttura semplice, un pronto soccorso mal tollerato dall’AREU, una medicina dello sport stimatissima a livello nazionale ma lasciata languire, sono alcuni grandi segni del degrado. Questo processo ha avuto una forte accelerazione con il Covid19 che ha trasformato l’intero complesso in presidio dedicato solo a fronteggiare il Coronavirus. È venuto il momento di interrompere questo degrado e di respingere, con veemenza, il piano regionale che è basato su concetti puerili di efficacia apparente che porteranno a una sanità nell’Alta Valle sempre più debole e precaria con danni per la salute della popolazione e dei turisti stabili, oltre che ad una gestione sempre più economicamente insensata (con sperpero di  viaggi in elicottero che è il mezzo di trasporto più costoso), ed allo svuotamento di un complesso che, sia come struttura che come storia, che come ambiente che come qualità del personale è assolutamente straordinario e deve essere valorizzato e non svuotato per il benessere e lo sviluppo anche culturale  generale della Valle.
Alcuni sindaci e imprese sanitarie dell’Alta Valle hanno predisposto un contropiano interessante e che, per idee, si pone in un rapporto di 4 a 0 rispetto al piano della Regione e del Politecnico. Ma è necessario che questi coraggiosi siano supportati da tutti quelli che hanno interesse che l’Alta Valle si sviluppi e si qualifichi sempre più come territorio attrezzato ed intelligente. Penso ai ristoratori, agli enti della montagna, a quello che resta delle banche locali, ai turisti stabili, a tutti quelli che vivono del turismo sportivo (in primo luogo della crescente attività ciclistica).

Sondalo in una foto d'epoca

Tutti insieme dobbiamo premere affinché:
1) si blocchi il demenziale piano Regione-Politecnico;
2) si rilanci Sondalo come ospedale per l’Alta Valle connesso e coordinato con Sondrio per tutto quanto sia necessario;
3) ma, al contempo, Sondalo deve essere rilanciato come centro specialistico e alla specializzazione a gestione autonoma in campi come:
* ortopedia e traumatologia, neurochirurgia postraumatica, riabilitazione motoria, medicina dello sport. Eccellenze già presenti che vanno sostenute e che devono diventare attrazione a livello almeno nazionale;
* polo di emergenza-urgenza per tutta l’area della Valle come centro a stella del trasporto elicotteristico principalmente sulla traumatologia sportiva, alpinistica e stradale;
* malattie polmonari e infettive con particolare competenza alle malattie di ritorno, come tubercolosi e altre.

Veduta di Sondrio

Un programma di questo tipo richiede un’organizzazione adatta. Bisogna costituire una fondazione di partecipazione mista pubblico-privata accreditata o contrattualizzata con il SSN, ma libera dall’asse diretto di governo della Regione, sicché da ufficio periferico dell’assessorato della Regione ritorni ad avere dignità operativa e programmatoria propria con la possibilità di stabilire direttamente accordi di programma con soggetti nazionali e internazionali. Tra questi io vedo, con chiarezza, accordi di ricerca con Università italiane ed estere e centri di ricerca non universitari, pubblici e privati. Penso ad un accordo strategico con un grande centro di assistenza per il Parkinson, a certe attività riabilitative. Penso anche che Sondalo sarebbe una sede ideale per una Summer School di una grande università internazionale, ad esempio, nel campo della medicina sportiva. Tante cose si possono fare potendo contare su un centro di questa qualità strutturale e ambientale e di questa tradizione.
Ma ciò richiede un grande strappo, con partecipazione sia del popolo dell’Alta Valle che dei turisti che in essa sono radicati, per liberare la Valle, e soprattutto l’Alta Valle, dalla mentalità di ladri di galline o di ragionieri falliti, che domina i vertici della Regione Lombardia in campo sanitario, e proiettare, invece, l’Alta Valle nel ruolo che le compete tra le migliori località di tutto l’Arco Alpino, e indirettamente,  come propellente per tutta la valle.